È il 27 novembre 2019 e attorno a un tavolo ci sono diverse persone. Tutte lavorano nelle riviste di Visibilia, la società di Daniela Santanchè, all’epoca manager e deputata di opposizione, intima di Giorgia Meloni, e oggi ministra del Turismo. Santanchè è presente insieme al compagno, Dimitri Kunz D’Asburgo. Si parla di conti, bilanci, ma anche di acquisti da fare.

La futura ministra non sa che tra i dipendenti c’era chi registrava tutto. Santanchè iniziava così la riunione parlando dei giornali, della crisi delle vendite, del crollo del settore editoriale. E mentre in pubblico sparava a zero contro il Reddito di cittadinanza, da imprenditrice utilizzava gli aiuti di stato.

«Il primo gennaio 2021 siamo liberi, cioè, nel senso, non ci son più gli ammortizzatori sociali, per cui noi come editori prenderemo le nostre decisioni», spiegava Santanchè.

Prima di addentrarsi nella valutazione dei conti parlava anche dell’accordo raggiunto con tre giornalisti di Visto, una delle riviste del gruppo, che riassumeva così. «Insomma, per farvela breve, stiamo facendo l’accordo dove loro avranno il 50 per cento in meno del loro stipendio, ma lavoreranno il 100 per cento. Quindi hanno acconsentito a... un nuovo contratto, a un nuovo contratto», diceva sperando in un ok del sindacato. Con i presenti si parla poi della possibilità di utilizzare per l’ultimo anno la procedura di solidarietà per i dipendenti della rivista mensile Pc, edita da Visibilia.

Ma dopo la fine della solidarietà? Santanchè cerca soluzioni e ne propone una: quella di organizzare convegni. I presenti smontano però l’idea della politica-manager, spiegandole che «siamo quattro gatti» e che «non se lo fila nessuno il convegno sul 5g».

Abortita l’idea, si passava oltre. La voce di Santanchè, all’epoca parlamentare, si precisa negli atti, viene registrata dai dipendenti e depositata in procura. Non si tratta, dunque, di intercettazioni disposte dalla procura.

«Quando ho dei giornalisti che rinunciano al 50 per cento di stipendio, alle ferie e al 100 per cento che lavorano, è evidente che tutti i conti cambiano», dice Santanchè, prima di riconoscere l’unica sua competenza: «Io i giornali non li faccio e non sono capace a farli e non è il mio mestiere, io faccio il venditore, io sono pubblicitaria».

Una delle dipendenti interveniva per precisare che non c’erano solo la crisi e il crollo settoriale, ma il problema era anche altro: «Noi non facciamo il 30 per cento di solidarietà, cioè noi ci siamo (...) io comunque sto usando il 100 per cento del mio tempo. Cioè, io quando non... il 30 per cento è so... è solo, tra virgolette, fittizio. Cioè, vi stiamo dedicando il 100 per cento». Quel fittizio anticipava perfettamente quanto emergerà anche dalle dichiarazioni rese dai dipendenti alla procura nel momento in cui l’azienda passa dalla solidarietà alla cassa integrazione speciale grazie al Covid.

Testimoni

In particolare, come emerge da un report degli ispettori dell’Inps, i lavoratori hanno continuato a lavorare anche se in cassa integrazione nel periodo marzo 2020-dicembre 2021. Nelle schede dei giornalisti-dipendenti emergono gli illeciti amministrativi riscontrati dai funzionari dell’Inps e raccontati dagli stessi lavoratori.

«Era impossibile produrre un mensile, lavorando il 30 per cento di tempo in meno...nominalmente eravamo al 30 per cento, lavoravamo, eh, il 100 per cento del tempo, se non di più, perché la rivista era da chiudere per mandarla in stampa», racconta alla procura un dipendente. «Nonostante non vi fosse sospensione dell’attività lavorativa, la retribuzione dei giornalisti è risultata decurtata dalle giornate indicate dall’azienda come sospese per Cig, approfittando illecitamente dell’integrazione a sostegno del reddito erogata dall’Inps», scrivono gli ispettori dell’istituto di previdenza.

«Quando eravate in cassa integrazione ordinaria era consapevole che stesse lavorando, giusto?», chiedono gli ispettori a un’altra lavoratrice. «Sì, sì, era una gentile concessione che (...) la dottoressa ci faceva perché diceva: “O accettate questa situazione e chiudete il giornale tutti i mesi oppure chiudo baracca e burattini e vi lascio tutti a casa”, gentilmente ci concedeva gli ammortizzatori sociali», risponde la lavoratrice.

La dottoressa è Daniela Santanchè, la ministra. Secondo gli ispettori (la procura per questo contesta la truffa) le società dell’attuale ministra hanno utilizzato le misure adottate dal governo per aiutare le aziende colpite dalla pandemia usufruendo della cassa integrazione in deroga mentre il personale continuava a lavorare «traendone vantaggio economico a danno dell’Inps».

Finita la solidarietà, finita la cassa, «siamo andati avanti con gli ammortizzatori. Poi questo tempo finisce», diceva Santanchè ai dipendenti il 20 gennaio 2022. E il tempo è davvero finito.

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