Il giornalista Roberto Saviano ha vinto in tribunale contro il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Lo scrittore aveva dato al ministro nel 2018 del «galoppino di Cosentino», collegando la sua ascesa in Rai all’ex sottosegretario del governo Berlusconi condannato in via definitiva come referente della Camorra. Sangiuliano gli ha chiesto di risarcirgli i danni, ma per il tribunale di Roma «non può considerarsi un fatto falso» e rientra nel diritto di critica. Inoltre, si legge nella sentenza della giudice Silvia Albano, il danno che avrebbe patito Sangiuliano non è chiaro, visto che quattro anni dopo è diventato pure ministro.

La vicenda

LAPRESSE

Tutto parte da due post del 2018, che Saviano ha scritto quando Sangiuliano è stato promosso direttore del Tg2. Il primo su Twitter: «Sangiuliano direttore del Tg2! Peggio non si poteva. Vicedirettore del Tg1 con Berlusconi, galoppino di Mario Landolfi, Italo Bocchino, Nicola Cosentino, Amedeo Laboccetta. E ora la promozione: con il Governo del Cambiamento (ovvero giallo-verde, ndr), al sud, la società incivile non perde posizioni, anzi».

Il secondo, versione estesa del primo, è andato su Facebook: «Tutto questo è ammissibile solo in un’ottica di spartizione, non certo di alleanza, né di applicazione del contratto di governo. Solo in una spartizione si può giungere a un tale livello di cinismo. E adesso Sangiuliano diventa addirittura direttore del Tg2, direttore in quota Lega. E a chi dice che la Lega non è più antimeridionale rispondo: ma non vedete come, con l’avallo del M5S, continua la triste tradizione di valorizzare il peggio della cultura, della politica?».

Per Sangiuliano, si legge nella sentenza, Saviano era colpevole di aver collegato la sua nomina a direttore del Tg2 «a esponenti politici coinvolti in diverse inchieste giudiziarie nell’ambito della criminalità organizzata».

Nel dettaglio «il Saviano si sarebbe rivolto all’attore definendolo in modo dispregiativo “galoppino”, termine utilizzato al fine di indurre nell’enorme numero di seguaci (c.d. followers)» l’idea che la nomina fosse il compenso per la collaborazione prestata. Il ministro ha visto così leso il suo onore. Ma la giudice no.

Albano ribadisce l’importanza del diritto di critica: «Garantito dall’articolo 21 della Costituzione, pilastro dello stato democratico e della effettiva possibilità per il popolo di esercitare la propria sovranità anche in ordine al controllo del potere politico in tutte le sue manifestazioni». Quindi passa a vagliare le espressioni.

La nomina

Sulla nomina legata a Cosentino, la giudice dà ragione a Saviano: «Non può considerarsi un fatto falso, né da escludere dal dibattito politico attuale e già, in passato, ampiamente affrontato». Allo stesso modo, parlare di lottizzazione in Rai è più che lecito: «Una critica senz’altro sferzante, ma che comunque deve ritenersi rientrante nel diritto di libertà di manifestazione del pensiero».

Quelli di Saviano, prosegue, non sono insulti, come ritiene Sangiuliano, ma «giudizi politici», «sebbene aspri e pungenti».

Per la giudice c’è l’interesse dell’opinione pubblica. Infine non si vede nessun danno. Sangiuliano da una parte non ha prodotto prove, dall’altra «non sembra avere avuto ripercussioni nel proprio ambito professionale e sociale tenuto conto del fatto che all’epoca della pubblicazione dei post era direttore del Tg2, mentre nell’attuale governo è stato nominato ministro».

Il tono di Saviano, concede la giudice, era oggettivamente aspro, quindi ognuno pagherà le sue spese.

La sentenza Cosentino

Nel frattempo, è arrivata le sentenza definitiva su Cosentino per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex sottosegretario è stato coinvolto dal 2013 in almeno quattro importanti processi, tra cui tre per reati di camorra. In due, “Il Principe e la Scheda Ballerina” e il cosiddetto "Carburanti", Cosentino ha ottenuto l’assoluzione, ma non è andata così nel processo più importante, l'Eco4, vera e propria architrave della tesi accusatoria della Dda di Napoli sul ruolo di Cosentino quale «referente a livello nazionale del clan dei Casalesi». Che la cassazione ha confermato pochi giorni fa.

Le implicazioni politiche

Mentre la commissione parlamentare Antimafia è in stallo, per Saviano bisogna tenere in considerazione anche questo elemento: «Sono sotto scorta perché minacciato dal clan dei casalesi e sotto processo perché la premier, che con il referente del clan dei casalesi è stata al governo, ha deciso di querelarmi e costituirsi parte civile». Quindi è «inutile domandarsi, adesso, perché questo governo non abbia ancora attivato la Commissione parlamentare antimafia… Sarebbe una domanda retorica».

La partita, che si gioca in parlamento, vede come primo azionista il partito della presidente del Consiglio. Meloni, ricorda ancora Saviano, non ha detto nulla nemmeno su Cosentino: «Giorgia Meloni - non è un dettaglio, anche se oggi passa sotto silenzio - è stata ministra della Gioventù nel 2008, nello stesso governo e nella stessa coalizione di Nicola Cosentino, condannato in via definitiva a 10 anni di carcere». L’ex sottosegretario che adesso è nel carcere di Rebibbia: «Giorgia Meloni non ha nulla da dire al riguardo?»

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