È stata revocata la misura cautelare in carcere per Cecilia Marogna, la presunta esperta di diplomazia internazionale al centro dell’ultimo scandalo che ha scosso il Vaticano, e protagonista – insieme al cardinale Angelo Becciu – di uno dei filoni dell’inchiesta condotta dalla Santa Sede. Indagata dai pm del papa per peculato e appropriazione indebita aggravata, era stata arrestata tre settimane fa dalla Guardia di Finanza, dopo un mandato d’arresto spiccato dall’Interpol.

La Corte d’Appello di Milano ha però revocato stamattina la misura cautelare, e la Marogna adesso avrà solo l’obbligo di firma. La manager è difesa dagli avvocati Massimo Di Noia e Fabio Federico, che hanno puntato la loro istanza di scarcerazione sull’inesistenza di un trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Vaticano, e sulla differenza sostanziale delle due giurisdizioni, in cui processo e diritti della difesa sono molto diversi come già segnalato da Domani. «Osservato che la difesa ha introdotto una complessa tematica in ordine alla possibilità di concedere l'estradizione dell'odierna istanza, relativamente alla quale si intravedono profili di apprezzabile sostenibilità, certamente suscettibile di ulteriore e doverosa valutazione nella sede di merito allorché verrà esaminata la domanda di estradizione formulata dalla Santa Sede», scrivono i giudici della Corte d’appello accogliendo la richiesta dei legali.

Marogna, 39enne con natali a Cagliari, è divenuta nota come la «dama del cardinale» per il rapporto fiduciario che la legherebbe all’ex numero due della Segreteria di Stato vaticana, Angelo Becciu.

Nel mirino degli magistrati di papa Francesco sarebbero finiti bonifici della Segreteria di Stato per mezzo milione di euro, spediti da Becciu alla Marogna  per operazioni segrete umanitarie in Asia e Africa, ma finite secondo l’accusa in gran parte nell’acquisto di borse di lusso, cosmetici e altri beni di marca.

In un’intervista esclusiva a Domani, la Marogna aveva spiegato di aver conosciuto il cardinale Becciu nel 2016, e di aver lavorato per lui per creare una «diplomazia parallela» di cui però nessuno, nella Santa Sede, era al corrente. Secondo l’entourage della porpora licenziato tre settimane fa da Bergoglio, i soldi girati dalla Segreteria di Stato a una società slovena riferibile alla Marogna servivano invece ai costi delle trattative segrete per la liberazione di alcuni missionari rapiti in Mali.

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