In nome di una giustizia più veloce ed efficiente si possono fare acrobazie da capogiro. E il bello è che le carte sono tutte a posto, così a posto che una prescrizione di massa è garantita al mille per mille. Tutti lo sanno e nessuno fa niente, nessuno muove un dito per rianimare un processo, per salvarlo, per trascinarlo fuori da una palude che lo sta inesorabilmente inghiottendo.

Del caso ce ne siamo già occupati un mese fa, ma ora abbiamo qualche elemento in più per parlare di uno scandalo giudiziario (e come altrimenti definirlo?) che si sta consumando in un tribunale giù in Sicilia.

Gli imputati eccellenti

Il caso è il processo Montante che si celebra a Caltanissetta, secondo troncone, imputati oltre all'ex vicepresidente di Confindustria Calogero Antonio Montante detto Antonello, il neo governatore della Sicilia Renato Schifani, l'ex capo dei servizi segreti Arturo Esposito, il re della monnezza Giuseppe Catanzaro e il re dei supermercati Massimo Romano, l'ex governatore Rosario Crocetta, un paio dei suoi assessori, qualche agente segreto e un codazzo di manutengoli.
In tutto trentuno imputati, quasi tutti accusati di associazione a delinquere, rivelazioni di segreto di ufficio (spiavano le indagini che erano in corso su Montante e su loro stessi) e qualche altro reato compiuto strada facendo. Trentuno imputati che, per come stanno messe le cose oggi, non sconteranno mai alcuna pena anche nell'eventualità di una condanna. Tutto è già scritto.

E grazie a un’“acrobatica” decisione del presidente di sezione del tribunale Francesco D'Arrigo che, il 12 settembre scorso, ha deciso di “riunire” due tranche del processo Montante, trasformandolo in un maxi dibattimento che non vedrà mai una fine. In sostanza ha incollato un secondo processo con tredici imputati a un primo processo con diciotto imputati, n’è venuto fuori un mostro ingovernabile.

Meno di due udienze fissate al mese sino al prossimo giugno, una cadenza identica dei quattro anni precedenti, dibattimento di esasperata lentezza mai decollato. In quegli stessi quattro anni, sempre a Caltanissetta, si è concluso il primo e il secondo grado del processo alla giudice Silvana Saguto, affare assai complicato anche quello, alla sbarra erano in tredici e settanta i capi di imputazione.

Una scelta non condivisa

La scelta del presidente D'Arrigo, giustificata per la mancanza di giudici, ha di fatto ucciso il processo su Montante & Company. Scelta tutta sua. C'è solo la sua firma lì, sulla "riunificazione”. Mai richiesta dalla maggioranza degli avvocati difensori, mai richiesta naturalmente dalle parti civili, avversata dai quattro pubblici ministeri che avevano in largo anticipo intuito i pericoli di un processo unico. Anche perché, con la riunione dei due procedimenti, il dibattimento dovrà ricominciare da principio e dovranno riascoltare i testi (come giustamente chiedono le difese) già sfilati nel primo processo.

I quattro sostituti procuratori titolari dell'inchiesta su Calogero Antonio Montante hanno avanzato la proposta di tenere due udienze a settimana contro le quindici udienze fissate in nove mesi, il presidente D'Arrigo formalmente non si è opposto e ha rimandato tutto ai suo superiori, presidente facente funzione del tribunale di Caltanissetta e presidente della Corte di Appello.

Nessuno, ufficialmente, ha ancora battuto un colpo. Per inerzia? Per pigrizia? Per cosa? Certo non è un bel vedere l'agonia di un processo come questo, anche perché - proprio nel Palazzo di Giustizia di Caltanissetta - sono note a tutti le promiscuità tra Calogero Montante e moltissimi magistrati.

In più ci sono quegli imputati eccellenti che rischiano di farla franca, a cominciare dal neo governatore Schifani e dall'ex direttore dell'Aisi Arturo Esposito. La sensazione è decisamente sgradevole.

Un piccolo giallo

La vicenda negli ultimi giorni si è arricchita di un piccolo giallo. Il giudice a latere, Santi Bologna, ha chiesto di lasciare il processo perché - pare - non sarebbe d’accordo sulla riunificazione voluta dal suo presidente. In pratica si è è schierato sulla posizione dei pubblici ministeri. Il suo presidente gli ha negato la possibilità di abbandonare il processo e, così, il giudice Bologna si è rivolto al consiglio giudiziario.

L'affare si sta complicando. Ma, al di là delle formalità e dei riti spesso incomprensibili della giustizia, c'è qualcuno che dovrà rendere conto e ragione di un processo che si sta spegnendo davanti agli occhi di tutti? C'è ancora qualcuno, nel palazzo di giustizia di Caltanissetta, che può prendere in mano la situazione ed evitare la prescrizione di massa?

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