I discorsi di malcontento dentro il Pd ormai vengono giù tutti insieme, tutti verso una stessa direzione, da gocce sparse sullo stesso pendìo diventano un torrente, forse un fiume. Oggi alle 9 e mezza Elly Schlein riunisce la segreteria in vista della direzione di lunedì. Un momento che la minoranza guidata da Stefano Bonaccini, che si riorganizza in corrente, aspetta come «l’ora della verità».

Almeno come l’occasione di un chiarimento vero su quale «direzione» il Pd deve imboccare in vista delle europee. La segretaria medita di offrire una cabina di regia per sminare le polemiche sulle liste. I «big» si preparano a parlare, naturalmente, spiega uno dei più autorevoli, «dopo aver sentito la relazione, e capito come intende impostare la discussione».

Ma è già una notizia. Del resto il confronto interno si è ufficialmente aperto nel gruppo di Montecitorio con la contestazione di Lorenzo Guerini, Piero Fassino e Enzo Amendola del “demansionamento” di Piero De Luca.

Poi c’è stato il “caso Ciani”, il nuovo vicepresidente del gruppo che ha chiesto che «il Pd cambi linea» sulle armi a Kiev. Sabato hanno replicato le due ex capogruppo, entrambe della minoranza, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. La linea sull’invasione russa «non cambia», per Serracchiani, «ha fatto bene la segretaria a precisarlo, ha fatto bene Ciani a chiarire quella che è una sua posizione personale». Malpezzi si spinge oltre: «Siamo un partito plurale; ma questo non significa non essere in grado di avere una linea comune».

In realtà nel Pd le voci discordanti sono un classico. Oggi però il rischio è, c’è chi spiega, «diventare un gruppo misto, il più grande gruppo misto della storia del parlamento italiano». Schlein non se ne preoccupa. Sabato, a margine di una conferenza stampa sul femminicidio, ha difeso Ciani: «È persona di grande spessore. Affidargli un ruolo di direzione nel gruppo conferma la necessità di aprirsi a un mondo cattolico che va incoraggiato a stare nel campo progressista». E sulla guerra «ha solo auspicato un’evoluzione del dibattito. Non mi sembra uno scandalo».

Infatti il tema stavolta non è quello delle armi, sul quale già la settimana scorsa il Pd è andato in confusione (la segretaria ha detto no all’uso del Pnrr per le munizioni, il gruppo di Bruxelles ha votato sì). Il tema è quello dei cattolici democratici. «Ma abbiamo capito chi è Ciani?», finge di chiedersi una cattodem della minoranza. «Non è un pacifista qualsiasi». E chi è Ciani?

Paolo Ciani è il segretario nazionale di Demos, acronimo di Democrazia Solidale, partito nato da una costola della Comunità di Sant’Egidio nel maggio 2022 dopo una lunga fase da associazione. A differenza di Art.1, non si è sciolto per partecipare al voto interno delle primarie Pd, nonostante le insistenze di Enrico Letta che poi comunque li ha imbarcati nelle liste delle politiche. Demos ha sostenuto Nicola Zingaretti alle primarie del 2019. Ciani, storico dell’arte ed esperto di politiche sanitarie e abitative, era già consigliere regionale del Lazio.

È uno stretto collaboratore di Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, e di Mario Giro, ex viceministro degli Esteri e di fatto ambasciatore della comunità, a cui è vicinissimo l’attuale presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi; uomo a sua volta vicinissimo a papa Francesco, nonché suo inviato in Ucraina come mediatore di pace.

Il filo del ragionamento è: la scelta di “valorizzare” Ciani serve a tacitare chi dice che Schlein trascura i cattolici democratici; anzi serve a sostituirli, nell’interlocuzione interna, con i cattolici vicini alla Cei. Alla Cei di Bergoglio, ovviamente. Sembra un ragionamento capzioso. E invece lo mette in chiaro a La7 Rosy Bindi: «Si continua a dire che con la Schlein non c’è spazio per i cattolici. Nel momento in cui viene nominato un vicecapogruppo che appartiene a una tradizione del cattolicesimo italiano, allora a quel punto non va più bene?»

Il Pd come Nupes

E questo è un punto. C’è un altro punto altrettanto delicato. Schlein ha promesso un Pd «plurale». Ora lo sta praticando. Va letta così la promozione di Ciani e le nomine in direzione di molti “esterni”, fra cui le sardine Cristallo e Santori. E va letto nella stessa maniera l’ingresso in forze negli organismi del Pd degli ex Art.1: Alfredo D’Attorre e Cecilia Guerra in segreteria, un folto gruppo in direzione, fino al recente incarico di Federico Fornaro a segretario d’aula a Montecitorio.

Anche in quest’area c’è dissenso sulle armi. Al rinnovo del decreto per l’invio di aiuti a Kiev, Nico Stumpo ha votato no e Arturo Scotto non ha partecipato al voto. Anche in questo caso la segretaria non si è scomposta: domenica sarà presente alla morte con rinascita di Art.1 a Napoli, la città in cui è nel 2017 il partito fu fondato da Pier Luigi Bersani, Guglielmo Epifani e Massimo D’Alema (oggi sotto inchiesta in merito a una fallita vendita di armi alla Colombia, allora governata da un feroce governo di destra). Sabato dunque Art.1 si scioglie come partito, ma resuscita come associazione.

Il Pd «plurale» di Schlein, che si misurerà alle europee, potrebbe finire per assomigliare alla coalizione della sinistra francese Nupes (Nouvelle Union populaire écologique et sociale) guidata da Jean-Luc Mélenchon, dove sono confluite le sinistre radicali ma anche gli ecologisti e i socialisti. Non sarà un caso che nei giorni scorsi la segretaria ha chiesto ai rossoverdi Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di riallacciare i contatti.

Trovando porte aperte, per un’alleanza, ma non per una confluenza nelle liste Pd alle europee: per Bonelli «non c’è alcuna possibilità»; neanche per Fratoianni, «senza dubbi. Lavoriamo per confermare anche in quella tornata l’Alleanza Verdi sinistra».

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