Un sit-in per la libertà di stampa e il pluralismo, e un nuovo affondo contro Giorgia Meloni, la premier che usa la Rai come ufficio stampa del suo governo: «Mi hanno segnalato un titolo di ieri nella televisione pubblica: “Mille euro in più per gli anziani, si vota l’8 e il 9 giugno”. Una propaganda nella forma più becera, sulla pelle degli anziani», dice Elly Schlein dal palco della Sala Pacis di Cassino, «Non è vero niente, ahimé, la raccontano così, come se a milioni di anziani andassero mille euro. Invece è una sperimentazione e riguarderà al più 24mila persone». Il Pd chiede al direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci di riferire in Vigilanza, ma a ribaltare la frittata è il nuovo sindacato giallo UniRai, nato in opposizione all’Usigrai: «Invitiamo gli esponenti del Pd alla prossima riunione di sommario del Tg1 perché possano dettare argomenti e titoli del notiziario. Da parte del Pd è in corso un grave attacco alla libertà del servizio pubblico».

Mercoledì scorso in aula Schlein aveva definito Meloni «la regina dell’austerità», ora, dice, «sembra diventata la Regina delle Televendite, forse si è ispirata a Wanna Marchi. Basta TeleMeloni». La segretaria del Pd ha scelto Cassino per la partenza ufficiale della campagna «per un’Europa sociale, verde, giusta, che non dimentica». Nel nome di David Sassoli, il presidente dell’europarlamento scomparso due anni fa: viene citato in ogni intervento dal palco, ed è sempre l’applauso più caldo. Sei tappe, la prossima sarà in Sicilia, fra un paio di settimane. Nel giorno del calcio d’avvio, i cronisti le stanno addosso nella speranza di incrociare il momento in cui dirà se correrà per Bruxelles. È l’unica a sapere quando lo dirà, insieme ai suoi stretti collaboratori. Ma il momento non è arrivato. Tarda, troppo per tutto il gruppo dirigente. Il rischio è che “la mossa” la faccia prima proprio l’avversaria Meloni, e che la segreteria del Pd finisca per fare una scelta – per il sì o per il no – alla rincorsa della premier.

Cassino città simbolo

Intanto ha scelto il 27 gennaio, la Giornata della Memoria, e la città per la quale è passata la storia del Novecento: costruita per bloccare l’avanzata degli Alleati, e poi bombardata dagli Alleati proprio per questo. Lo scontro tra le forze alleate e quelle tedesche durò fra il gennaio e il maggio del 1944. «Abbiamo alle spalle una vicenda tragica, ma siamo il simbolo della rinascita dopo la distruzione», dice il sindaco Enzo Salera, che ricorda che nel cimitero polacco sono sepolti i primi morti per l’Europa. È uno dei cinque cimiteri di guerra della zona, c’è anche quello francese e quello del Commonwealth. E quello tedesco.

Salera cinque anni fa è riuscito a strappare il comune alla destra. Cassino andrà al voto nello stesso giorno delle europee. Salera si ricandida. All’ora di pranzo, finita la mattinata di lavori – un intervento dello storico del cristianesimo Alberto Melloni, un dibattito sull’Europa della sostenibilità e poi la chiusura della segretaria, tutto sotto la guida di Marta Bonafoni, giornalista, coordinatrice della segreteria e donna di polso del Pd di Schlein – il sindaco prende sotto braccio Schlein e la porta a vedere il Teatro Manzoni riaperto dopo anni, la Casa della Cultura, il centro antiviolenza. È una città suggestiva: sopra i tetti dei palazzi si vede l’abbazia ricostruita e sul fianco della montagna il maestoso e inquietante monumento alla pace, un intrico di tubi di acciaio forgiati nelle officine di Terni, undici metri per cento tonnellate, opera dello scultore Umberto Mastroianni.

TeleMeloni

Dal palco Schlein spinge a lungo sul tasto dell’informazione libera, parla degli attacchi della premier contro Repubblica e contro la trasmissione Report. Lancia un sit-in: «Il Pd si mobilita per difendere la libertà di stampa e il valore di un sevizio pubblico che sia davvero libero e plurale e che non può essere a servizio del governo di turno e della sua propaganda. Si è oltrepassato il segno. Non staremo a guardare». Neanche sulle privatizzazioni, che al Pd non piacciono, almeno in questa stagione: «Questo governo sta svendendo gli asset pubblici strategici del paese. Questa svendita da 20 miliardi non l’accetteremo». Occhio anche a quello che succede alle Poste: «Ricordiamo il volantino di Giorgia Meloni appena più giovane che diceva “No alla privatizzazione”, a proposito di nazionalisti sedicenti che stanno svendendo i gioielli dello Stato».

Torna sulla questione del Medio Oriente. Domani alla camera inizia la discussione su una mozione del Pd che chiede al governo di farsi promotore di iniziative diplomatiche per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Schlein sfida Meloni a votarlo. E chiede al partito di mobilitarsi: «Vorremmo che la mozione si trasformasse in un ordine del giorno in tutti i comuni, per il cessate il fuoco umanitario immediato per far ripartire il processo di pace verso l’unica soluzione possibile, due popoli e due Stati che possano vivere in pace e sicurezza». Infine le riforme: «C’è stato uno scambio evidente tra autonomia e premierato per andare verso il modello del capo solo al comando. Lo abbiamo già provato e non è andata bene. Noi non ci vogliamo tornare. È un modello che non esiste in nessun paese del mondo: è un meccanismo che scardina i poteri dello Stato».

L’annuncio non arriva

L’annuncio della corsa non arriva, ma la segretaria si muove come se già fosse in campo. Il suo partito un po’ meno. Questo sabato a Cassino la sala era piena ben oltre i 300 posti a sedere, ma non c’era il pienone di dirigenti. In prima fila c’era il segretario regionale Daniele Leodori, il dem più votato del centrosinistra alle scorse regionali. E il presidente del Pd regionale Francesco De Angelis, uomo di peso del Sud del Lazio (e secondo le voci in procinto di candidarsi alle europee); del consiglio regionale – di cui fa parte Bonafoni – c’era Sara Battista (la compagna di Albino Ruberti, dimissionato da capo di gabinetto del sindaco Gualtieri dopo una storiaccia di una lite in un ristorante, poi il Campidoglio lo ha recuperato a Risorse per Roma), il capogruppo del Pd Mario Ciarla, la collega Emanuela Droghei. Solo quattro i deputati presenti: Andrea Casu, Nicola Zingaretti, anche lui in odore di corsa all’europarlamento, Claudio Mancini, gran consigliere del sindaco di Roma, e Matteo Orfini, che è eletto da questi territori. Annunciato nel programma ma assente giustificato Peppe Provenzano, richiamato nella sua Sicilia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario e per un’iniziativa contro l’autonomia differenziata.

E solo tre gli europarlamentari, tutte donne: Camilla Laureti, Beatrice Covassi e Daniela Rondinelli, ex M5s. Una così scarsa presenza degli “uscenti” in teoria non significa molto: ormai, nei weekend, chi pensa di ricandidarsi resta nelle proprie circoscrizioni a fare campagna elettorale.

Ma la verità è che nella delegazione di Bruxelles il clima non è dei migliori. L’europarlamentare Massimiliano Smeriglio ha da poco annunciato il suo abbandono alla delegazione del Pd di Bruxelles. Lo ha fatto con una lettera riservata indirizzata al capogruppo Brando Benifei e ai colleghi, e con un’intervista al manifesto. La segretaria non commenta. I suoi puntualizzano riservatamente che «era un indipendente nelle file del Pd, quindi non è corretto dire che lascia il Pd». Ma era un indipendente molto particolare: proveniente da sinistra, si era avvicinato al Pd di Nicola Zingaretti, di cui è stato collaboratore storico, dai tempi della provincia di Roma a quelli della Regione Lazio, in cui è stato assessore e vicepresidente. Soprattutto, Smeriglio è stato coordinatore del movimento Piazza Grande che ha portato Zingaretti alla vittoria delle primarie. Ora l’eurodeputato “torna” con i compagni rossoverdi.

Il caso Smeriglio

La segretaria gli ha offerto un posto in lista, ma qualcosa nella comunicazione non ha funzionato. La scelta dell’addio era nell’aria da tempo: sono state molte le posizioni in dissenso di Smeriglio, ma nessuna in teoria, cioè a parole, aveva mai interrotto il rapporto con il gruppo di Bruxelles e neanche con la segretaria. Ma la lettera ha fatto affiorare un po’ del dietro le quinte di casa dem: «Si può andare in minoranza costantemente e rispettare l’esito della discussione se ci si sente parte di una comunità e una storia comune. Non ha senso se intorno si percepisce indifferenza o aperta ostilità. E ovviamente non mi riferisco a voi», scrive, «Così come la mancanza di relazioni, con il gruppo dirigente, fondate sulla trasparenza e il coinvolgimento hanno lasciato il segno», e ancora «Non mi ritrovo in una direzione politica chiusa e incerta che allude a suggestioni piuttosto che costruire una robusta e duratura linea politica. Che dialoga, apre e include. Non le figurine ma culture politiche e pezzi di classe dirigente». Valanghe di solidarietà in privato, rari nantes in pubblico. Si fa sentire l’amico Goffredo Bettini: «Quando si allontana un dirigente del valore di Massimiliano Smeriglio, resta sempre l'amaro in bocca», «È un intellettuale che scrive e pensa, venendo dal popolo e rappresentandolo», «Vanno ragionate le sue motivazioni, che non meritano il silenzio».

© Riproduzione riservata