«Io, insieme a voi, voglio diventare la segretaria del nuovo Pd». Il fuori programma della kermesse di Elly Schlein arriva qui, dopo tre quarti d’ora di discorso, quando lei tira finalmente le conclusioni: sì, nei prossimi giorni si iscriverà e da ora è in corsa per guidare il partito. Dal pubblico parte «Bella ciao», canta anche lei, c’è qualcosa di liberatorio per tutti nell’inno della Liberazione.

Il Monk, ex locale di musica oggi co-working, è zeppo, stipato, all’esterno viene acceso uno schermo per chi è rimasto fuori. Lei parla dopo un pugno di interventi, belle storie di giovani amministratori, alcuni del Pd, accenti diversi, dal pugliese al marchigiano al lombardo. Parla del congresso come «un’occasione che la comunità democratica offre», cose prevedibili ma stavolta in mezzo agli «affolliamolo di idee e contenuti» piazza alcuni colpi. A chi l’accusa di puntare a un Pd minoritario spiega di volere un Pd dalla linea «chiara, comprensibile e coerente». Dunque la sfida è «a tutte le culture del Pd: come cambiamo un modello neoliberista che è inadeguato per il pianeta. Possiamo fare questa discussione o dirci che è andato tutto bene?». Parole che sembrano rispondere alle questioni che pone la sinistra Pd, e l’ex ministro Andrea Orlando, ormai quotidianamente. 

Ancora, in mezzo ai titoli di questioni ciclopiche - sanità pubblica, scuola pubblica e nidi, diseguaglianze, questione meridionale, diritto alla casa (che raccoglie l’applauso più grande), transizione ecologica, salario minimo, il nuovo statuto dei lavori – assesta qualche affondo. A Giorgia Meloni: «Di una premier donna che non aiuta le altre donne non ce ne facciamo nulla». Ma è rivolto a quest’altra parte il pezzo forte del discorso. A Matteo Renzi, che vanta di averla mandata a  fare l’europarlamentare, «Ho preso 50mila preferenze», replica, ma soprattutto ricorda che quel segretario «ha spinto me e altri fuori dal Pd con le sue scelte scellerate, con una gestione arrogante, incapace di fare sintesi delle diversità, ha lasciato solo macerie e poi se n’è andato pure a fare altro. Non ci faremo dire, da chi sta ammiccando in parlamento alla destra, chi può contribuire meglio a ricostruire la sinistra».

Da qui racconta il riscatto incarnato nella sua corsa da segretaria: «La mia esperienza è partita con Occupy Pd, contro i 101 che hanno voluto affossare Prodi e i tentativi di Bersani per un governo del cambiamento. Allora dicevamo che le larghe intese erano un errore, che sarebbero diventate strutturali, forse avevamo ragione». Vale la pena ricordare che in quell’anno, era il 2013, il premier delle larghe intese fu il segretario che oggi la riaccoglie a braccia aperte nel Pd, Enrico Letta.

A chi l’accusa «di occuparmi solo di diritti civili per via delle mie preferenze sessuali», è lesbica dichiarata, propina un elenco di battaglie sociali. Si rivolge ai «compagni e alle compagne» del Pd, sgarrando consapevolmente il politicamente corretto del Pd, e in risposta ai «riformisti» che minacciano di uscire dal Pd, in caso di sua vittoria, assicura che invece lei è pronta ad accettare la sconfitta, dice «camminiamo insieme», formula dei sacerdoti della pastorale di strada, dal cardinal Pellegrino a don Ciotti. Usa solo parole di elogio per il candidato favorito Stefano Bonaccini, che l’ha voluta sua vice alla presidenza dell’Emilia Romagna, e per gli altri in corsa, Paola De Micheli e Matteo Ricci, «tutte persone che stimo».

Non risparmia un po’ di retorica «anti correnti», ipocrisia obbligatoria di questo congresso Pd, ma la dice meglio degli altri: «Venite liberi e siete i benvenuti, venite liberi o non venite affatto», «ora ci mischiamo e ci organizziamo», «Vi assicuro che non ci saranno mai gli “schleiniani”, saremo un’onda non una corrente».

chi c’era

Del resto in mezzo alla folla, tanti giovani ma anche parecchi signori e signore, ci sono Michela Di Biase, Alberto Losacco, Pino Battaglia, Chiara Braga, dell’area di Dario Franceschini; c’è Peppe Provenzano, della sinistra Pd, che Schlein abbraccia platealmente. Saranno venuti liberi, il fatto è che sono venuti. Ci sono anche Marco Furfaro, Laura Boldrini, Cecilia D’Elia. Stefano Vaccari, capo dell’organizzazione, è nella sua Emilia Romagna ma segue la diretta social. C’è l’ex presidente della Regione Lazio Piero Badaloni, gli ambientalisti Rossella Muroni, Roberto Della Seta e Francesco Ferrante (ex Pd), Alessandro Genovesi della Cgil.  Arturo Scotto, Piero Latino e Simone Oggionni di Art.1.

Del resto il suo primo scoglio è il voto dei circoli. La deputata sa che deve attrezzarsi. Anche se il suo appello è rivolto soprattutto «alla base, a chi si è avvicinato ora e agli elettori delusi», ma anche a quelli che sono rimasti nel Pd quando lei se n’è andata via con Pippo Civati: riconosce valore a chi ha dato battaglia da dentro. Agli «amministratori e alle amministratrici che vincono e convincono». 

Su questa partita il patto tosco-emiliano fra Bonaccini e Dario Nardella dispone di più tessere: Toscana ed Emilia Romagna da sole fanno il core business degli iscritti Pd. Insieme alla Lombardia, però: e Schlein chiama un applauso per Pierfrancesco Majorino, candidato alla presidenza. E fra gli interventi che la precedono c’è quello di Giulia Pelucchi, giovane tosta, presidente del municipio VIII di Milano, che parte in quarta: «Amministro un territorio che è più grande della città di Bergamo». Seguita da Elvira Tarsitano, assessora a Mola di Bari (e molto vicina al presidente Michele Emiliano), e Matteo Rossi, ex presidente della provincia di Bergamo. Sorveglia la kermesse Marta Bonafoni, consigliera regionale del Lazio e amica di Schlein da tempo.

Vincere fra nei circoli resta per lei una mission impossible. Vincere alle primarie significa diventare segretaria. Ma il Pd, a cui non è mai successo di avere un leader preferito dagli iscritti e un altro dai gazebo, rischia di andare in tilt. Stavolta il congresso è aperto sul serio, ed è aperto anche il finale.

 

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