Il Professore ormai esprime in chiaro i dubbi sulla strategia della leader. Ma lei segue uno schema diverso dal vecchio Ulivo, oggi non replicabile
Alle quattro del pomeriggio alla sala stampa di Montecitorio si presentano i rappresentanti di tutte le opposizioni. Tutti insieme, scatto raro per i fotografi di vedetta nei palazzi. Elly Schlein siede fra i rossoverdi Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, a destra ci sono Maria Elena Boschi (Iv) e Riccardo Ricciardi (M5s), a sinistra Riccardo Magi (+Europa) e Matteo Richetti (Azione). Tutti insieme chiedono a Giorgia Meloni di venire in aula a riferire sul rimpatrio del libico Osama Njeem Almasri, ricercato dalla Corte penale internazionale, arrestato in Italia, liberato e poi rimpatriato di corsa a Tripoli.
Una vicenda «estremamente opaca», per la segretaria Pd. Meloni aveva annunciato «la guerra ai trafficanti di esseri umani, in tutto il globo terracqueo. Ne avevano arrestato uno sul suolo italiano e l’hanno accompagnato a casa». «Andremo fino in fondo», chiosa Ricciardi. Più tardi, sui social, parleranno anche Giuseppe Conte e Carlo Calenda.
L’iniziativa è la dimostrazione pratica di come la segretaria procede per mettere insieme le opposizioni: «Lavorare insieme», «ritrovarsi nelle battaglie comuni». Una risposta indiretta a chi in questi giorni le sta ripetutamente chiedendo di darsi una mossa a costruire il nuovo centrosinistra. Romano Prodi, che è quello che pesa più di tutti, le chiede: «Tra due anni riusciamo a fare una coalizione che possa arrivare al governo?»
Schlein non replica, un deputato vicino alla segretaria suggerisce: «Stiamo provando a costruire qualcosa e a fare opposizione». Come? «Non certo litigando fra noi». Due passi oltre, un altro deputato spiega il silenzio su questi temi: «Prima o poi parlerà. Ma non vuole farsi stringere dalle discussioni autoreferenziali, e non ama il rimpallo. Dopodiché il messaggio di Prodi e Gentiloni è semplice, non è che non si capisca: ti sei agitata per due anni, ora scansati, tocca ai professionisti». Ma è un’analisi sbagliata, secondo il nostro interlocutore: «Non tiene conto del disastro che c’è intorno a noi, non tiene conto che nella società tutto si è radicalizzato».
Abbandono di prof
«Io darei delle risposte», ammette Andrea Orlando a Repubblica, «sicuramente le domande sono tutte sul tavolo». Ormai da un mese il Professore, a titolo personale ma nella sostanza a nome di molti, pronuncia apertamente le sue preoccupazioni sulla capacità competitiva del futuro centrosinistra. Questioni che prima riservava ai conversari confidenziali. Ora invece avanza apertamente dubbi sul fatto che la segretaria abbia «la capacità» di «creare una coalizione la più ampia possibile», sul fatto che voglia davvero farlo, e che pensi «che una sola persona possa giocare questo ruolo». Le ragioni di queste uscite, spiegate da chi ci ha parlato di recente, sono due, oltre all’irresistibile passione politica e all’angoscia di vedere la sua antica creatura procedere tentoni.
Prima ragione: dopo aver chiarito che non ci sarà una “cosa cattolica”, dopo aver aiutato i vecchi amici ex popolari del Pd a farsi calcolare dalla segretaria, ora non intende abbandonare a sé stesso (o a altri impresari) Ernesto Maria Ruffini, del quale è il più autorevole consigliere al di qua del Tevere. Le prime uscite dell’ex direttore dell’Agenzia delle entrate sono stati passi falsi. «Una cosa ha detto, e l’ha sbagliata: che serve una maggioranza Ursula», ride un altro deputato. Cioè, tradotto al caso italiano, ha evocato un Pd alleato con Forza Italia, senza M5s e Avs: il contrario di un’idea che unisce il centrosinistra. Seconda ragione dell’attivismo di Prodi: quella sottolineatura su «una persona sola» dice della delusione per il fatto che Schlein si fa sentire poco e niente, poco chiede consigli, zero ne segue.
Una delusione che hanno altri seniores del Pd che, pur facendo professione di volontà di ricambio generazionale, poi alla fine “una mano” la darebbero: comunque non si sono autorottamati. Ma Schlein ha preso la storia del ricambio per il verso utile alla sua leadership: ha finto di apprezzare, in realtà stoppato, la nascita del correntone-minestrone delle nuove leve sinistra-areadem, che le veniva offerto: sceglie lei con chi parlare, quando strettamente necessario. Morale: i big parlano in tv e sui giornali, da Prodi a Bersani a Gentiloni. Oppure tacciono, come Dario Franceschini.
Due diversi schemi di gioco
Al di là delle forme – ma «non è un problema di buona creanza, è una scelta politica», viene spiegato – il cuore della non comunicabilità sta nel fatto che fra la scienza politica di Prodi e la filosofia pratica di Schlein c’è una differenza, e forse è irriducibile. Sono due schemi diversi. Lo schema del Prof è quello del vecchio Ulivo, cioè di un leader senza partito che fa gioco di squadra e che cura tutto il “popolo del centrosinistra”. Ma ai tempi suoi, viene opposto, non c’era il Pd, e neanche i Cinque stelle. L’«analisi», insomma, viene giudicata superata dalla storia.
Invece lo schema della segretaria, per dirla ancora con uno dei suoi, è quello di un’alleanza «pattizia», stretta con un «contratto»: l’unica che Giuseppe Conte offre e che il movimento regge. Schlein è certa che ci si arriverà, ma ci si arriverà «con la teoria del piano inclinato, cadendoci dentro per inerzia». Nel frattempo il Pd deve crescere e l’elettorato deve restare sempre mobilitato.
Schemi diversi. Di più, lei è convinta che gli schemi di gioco (politico) non interessino gli elettori, stanno alla voce «dibattiti avvitati» ad alto rischio di politicismo, agli elettori interessano le «battaglie concrete». E la credibilità di chi le fa, cioè lei e il suo nuovo Pd. E pazienza se nel Pd i riformisti hanno ritrovato la voce per dire no al referendum contro il Jobs act. Tanto la linea sarà quello che voterà lei: cinque sì. E così, almeno per ora, le divergenze con Prodi, e con gli altri, restano parallele. Due linee che non si incontrano.
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