Nelle ore degli attacchi al governo anche dal proprio interno, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha i suoi colpi da parare. Il primo è la sconfitta sostanziale della linea che aveva dato per inamovibile sulle “scuole aperte” e sulla didattica in presenza: l’ultimo Dpcm impone alle superiori la didattica a distanza (Dad), oggi “didattica digitale integrata”, «almeno» al 75 per cento. E poi c’è lo stesso concetto di Dad a metterla in difficoltà: la ministra lo aveva osannato nella prima ondata di pandemia, ma poi era finito molto ridimensionato da uno studio dell’Istat e uno, più recente, della Cgil, sugli insuccessi. Oggi è lo stesso ministero che ne mette in luce le «criticità», fra mancanza di coperture di rete su tutto il territorio nazionale e difficoltà per gli studenti disabili. Il trionfalismo ministeriale della primavera è solo un ricordo.

Ieri i sindacati hanno firmato il contratto dei docenti per la Dad. I prof in isolamento fiduciario, non malati, potranno insegnare a distanza. Ma per la Uil, che non ha firmato l’intesa, i docenti non sono tutelati: «In otto mesi non si è fatto nulla. E nulla si può fare senza risorse aggiuntive».

La scuola non è MasterChef

All’indomani della firma del nuovo Dpcm, i presidi fanno sentire il loro dissenso. L’obbligo per le scuole secondarie superiori alla didattica a distanza viene accolto come la rottura del patto di collaborazione dell’estate, nella preparazione della riapertura dell’anno scolastico. Per giunta la ministra continua a sostenere che «la scuola non ha inciso nell’aumento dei contagi. Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità ha funzionato bene».

I presidi prendono per buoni questi dati (che invece sono contestati dagli studiosi del Patto della scienza e dalla regione Campania, e prima ancora dal nostro giornale). Ma se è vero che a scuola «si sta più sicuri che fuori», perché far tornare a casa gli studenti? «Non si può imporre con decreto l’organizzazione dell’orario alle scuole. L’autonomia esiste proprio perché le scuole possano organizzare il servizio adattandolo alle esigenze del proprio bacino di utenza. Non ha senso obbligare tutto il territorio ad adottare la stessa organizzazione, i bisogni delle famiglie sono diversi», attacca Antonello Giannelli, presidente dell’associazione dei presidi. Giannelli indica due punti su cui il Dpcm fa acqua: gli studenti con bisogni educativi speciali e i portatori di handicap, per i quali la Dad è molto problematica; e quelli degli istituti tecnici che hanno bisogno dei laboratori. «Uno studente dell’istituto alberghiero che deve imparare a fare la carbonara non può vedere il suo professore al monitor. La scuola non è MasterChef», ironizza al sito di Orizzonte scuola. Ma soprattutto il provvedimento va in contraddizione con la narrazione della ministra Azzolina. «A oggi ridurre la frequenza a scuola che non è luogo di contagio, o comunque lo è meno di altri, è un controsenso. È sempre più chiaro che la scuola paga il tilt in cui sono finiti i trasporti e la medicina territoriale», conclude Antonelli. Sotto accusa anche le diverse modalità delle quarantene da regione a regione, ma anche da Asl ad Asl dello stesso territorio, una giungla di procedure in cui è difficile trovare un bandolo comune.

Conte capisce il guaio in cui ha infilato la ministra. E da Colleferro, dove partecipa alla cerimonia in ricordo di Willy Duarte, il ragazzo ucciso mentre difendeva un amico, corre ai ripari: la didattica a distanza oggi è «necessaria», assicura, «però confidiamo di farla solo per poche settimane. Il tempo necessario per riportare la curva sotto controllo». Ma è una promessa a cui non crede neanche lui. I consulenti del governo ormai dicono apertamente che per governare la curva dei contagi è indispensabile una vera stretta.

La ministra nel mirino

Quanto alla scuola, Toscana e Veneto avevano chiesto la Dad al 50 per cento. I presidenti Eugenio Giani e Luca Zaia alla fine si sono adeguati. Ma proclamando il dissenso. «Non ho alternative. Oggi o dico zero o dico 75. Ma trovo assurdo come viene impostato il lavoro», tuona Zaia. Azzolina a sua volta punta il dito contro le regioni per il mancato rafforzamento dei trasporti. «Il governo ha dato 330 milioni di euro, 120 sono stati spesi. Alcune regioni hanno acquistato degli autobus, lo facciano anche altre». Ancora dal sito Orizzonte scuola la senatrice Bianca Laura Granato (M5s), caterpillar della ministra, attacca: «Sui trasporti alle regioni i soldi sono stati distribuiti a giugno. Il primo tavolo con le regioni sul trasporto invece è stato il primo settembre».

Ma la contestazione ad Azzolina ormai arriva anche da alcuni settori della maggioranza, gli stessi da cui parte un pericoloso gioco di dissociazione dal Dpcm, quello che Nicola Zingaretti chiama «il diluvio dei distinguo». Da Matteo Renzi in primis, che pure ha spalleggiato la ministra sui concorsi per i docenti precari che continuano a svolgersi in piena pandemia (secondo la Uil sono almeno 7mila quelli che non potranno partecipare, su oltre 64mila). «Noi lo diciamo da tempo. Chiudere di nuovo le scuole è una ferita devastante. Servono i tamponi rapidi a scuola, non i banchi a rotelle. Servono le aziende private per i trasporti, non complicate regole sulla didattica a distanza», scrive sulla sua newsletter. E la ministra delle Pari opportunità Elena Bonetti (Italia viva) avverte: «Questa sospensione della didattica per la scuola di secondo grado e per le scuole superiori non può durare più di due-tre settimane altrimenti faremo perdere un altro anno scolastico a questi giovani e creeremo un buco nella loro formazione non colmabile». Sembra un avviso di scadenza, ma non solo all’indirizzo della Dad e della ministra.

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