Per il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, poteva rivelarsi fatale il pasticcio sulla proroga dei vertici dei servizi segreti. Una norma inserita nel calderone del decreto emergenza, come fosse un mille proroghe qualunque.  Ma il voto di fiducia imposto per approvare il decreto emergenza alla fine ha salvato il governo. Anche i ribelli 5 Stelle contrari hanno dovuto digerire la modifica- inserita nel decreto che prolunga lo stato di  emergenza fino al 15 ottobre- della legge del 2007 sugli apparati di sicurezza che permetterà il rinnovo per quattro anni dei vertici di Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza), Aise  (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna): rispettivamente Luciano Vecchione, Gianni Caravelli, Mario Parente. Chi ne beneficerebbe da subito sono Vecchione e Parente. La nuova norma in realtà premia soprattutto Parente, che ha esaurito a capo dell’Aisi i suoi 4 anni, due più due, limite massimo previsto dalla legge del 2007.

Palazzo Chigi fornisce un’interpretazione alternativa: la nuova norma, sostengono nel governo, si limiterebbe a prevedere più rinnovi consecutivi ma comunque senza superare il tetto di due rinnovi per 8 anni complessivi. Cambia la forma nel presentarla, ma la sostanza resta immutata. Del resto è nota l’attenzione di Conte sugli 007, tanto che fin dal primo governo con la Lega ha mantenuto le deleghe sugli apparati di sicurezza per sè. 

Secondo palazzo Chigi l’innesto dell’articolo sui servizi segreti nel decreto emergenza si era reso necessario per garantire continuità al vertice negli apparati di sicurezza in una fase storica critica per il Paese, reso fragile dalla pandemia e perciò esposto a tensioni che potrebbero sfociare in proteste  e violenze. Mantenere i vertici degli 007 senza stravolgimenti di sorta garantirebbe, nella versione di Palazzo Chigi, maggiore sicurezza.

Parallelamente alla narrazione ufficiale, ne scorre una ufficiosa. E racconta di un rapporto d’intesa tra il premier e Luciano Vecchione, il generale di Corpo d’armata della guardia di finanza, nominato al Dis- l’ufficio che coordina l’attività dei servizi segreti- nel 2018, durante il primo governo Conte.

Vecchione è uomo di fiducia del presidente del consiglio, che lo ha voluto fortemente a capo del Dis. Insieme hanno affrontato le scorie del russiagate americano: finiti nel mirino del Copasir, il comitato di controllo parlamentare sull’attività dei servizi segreti, che ha contestato ai due la gestione dei rapporti con il ministro della Giustizia William Barr. L’uomo che insieme al procuratore John Durham stava indagando sull’ipotesi che Donald Trump, accusato di essere stato aiutato dai russi nella campagna elettorale del 2016, sia al contrario vittima di un complotto ai suoi danni. Il presidente del Consiglio e Vecchione, davanti al Copasir, hanno negato con forza che la nostra intelligence abbia girato a Barr informazioni sensibili sul presunto complotto.

Mario Parente, invece, ha sponsor più trasversali. Il generale dei carabinieri, 62 anni, è arrivato all’Aisi come vice direttore nel 2015, in pieno governo Renzi e con Marco Minniti ministro dell’Interno con delega ai servizi. Parente è un nome che piace a destra come al centro e a sinistra. Al vertice con Renzi, rimasto con Gentiloni, Conte gli ha dato fiducia per altri due anni e addirittura, grazie alla norma inserita nel decreto emergenza, resterà ancora. Parente, insomma, accontenta tutti a tutti i livelli: partiti e istituzioni, fino al grado più alto della gerarchia.

Nel frattempo, però, Parente deve fare i conti con una grana giudiziaria esplosa in Sicilia. Precisamente nel processo ad Antonello Montante, l’ex presidente di Confidustria Sicilia, che aveva, secondo il giudice che lo ha condannato, «occupato, mediante corruzione sistematica e raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali».

Nella sentenza su Montante troviamo proprio Parente: interrogato dal giudice su alcune fughe di notizie e un presunto tentativo di preservare un colonnello dei servizi vicinissimo a Montante dall’inchiesta giudiziaria, avrebbe mentito ai giudici. Mente sapendo di mentire, ha scritto il giudice che ha condannato Montante: per preservare «un patto scellerato, al quale potrebbe aver aderito, lo si afferma con grande desolazione, anche l’attuale direttore Mario Parente». Con queste motivazioni il giudice ha sono stati trasmessi gli atti alla procura di Caltanissetta, che ha così indagato il capo dell’Aisi, che ora Conte vuole riconfermare nel nome del Covid.

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