Il governo, nato sotto la stella sovranista, si lascia corteggiare dagli inglesi e cede alle lusinghe del gigante delle università telematiche Multiversity. Il ministero della Pa, guidato da Paolo Zangrillo (Forza Italia) ha infatti consentito l’ingresso del fondo britannico Cvc capital partners, che controlla la società a cui fanno capo l’Università Telematica Pegaso, l‘Università Mercatorum e l’Università Telematica San Raffaele Roma, nel ricco mercato della formazione del personale della Pubblica amministrazione.

Sovranità, si fa per dire

Un paradosso per un esecutivo che a ogni occasione utile parla di difesa del made in Italy e della sovranità (al punto da modificare i nomi di alcuni ministeri). L’operazione porta la firma del berlusconiano Zangrillo, che negli ultimi mesi ha potenziato le occasioni formative, secondo quanto recita la motivazione ufficiale, per gli statali nell’ambito del progetto “Pa 110 e lode”. Un’accelerazione rispetto al passato.

Il ministro ha guardato a una specifica realtà del settore, Multiversity. Società che negli anni è diventata un colosso delle università telematiche sotto la guida dell’amministratore delegato, Fabio Vaccarono, ex presidente di Google Italia. I connotati dell’azienda sono italiani. La sede è a Roma, in piazza Mattei, ma nei fatti è una branca del fondo britannico Cvc.

Attualmente è proprietaria di tre atenei virtuali in Italia: la Pegaso, fondata da Danilo Iervolino (editore del settimanale L’Espresso), la Mercatorum, l’università fondata dal sistema delle Camere di commercio, e la San Raffaele (ex Unitel), che faceva riferimento alla famiglia Angelucci, imprenditori della sanità privata e noti anche per essere editori di Libero e Il Giornale.

Qui passa lo straniero

Con il governo Meloni, e quindi con l’approdo di Zangrillo al vertice di palazzo Vidoni (sede del dipartimento), i corsi delle università legate a Multiversity sono stati messi a disposizione dei dipendenti pubblici. A ogni iscritto verranno garantite delle agevolazioni fino alla riduzione del 50 per cento della retta. La metà dei costi per le iscrizioni può essere coperta dalle casse pubbliche, attraverso i fondi stanziati sullo specifico capitolo.

Ed è una manna dal cielo per i lavoratori statali: da un lato risparmiano, come avrebbero fatto per gli altri atenei, e dall’altro possono seguire le lezioni senza spostarsi da casa, collegandosi semplicemente a un pc. L’iniziativa è destinata a rivelarsi un affare per gli atenei telematici, che fanno capo al fondo inglese. È facile prevedere un incremento delle iscrizioni.

Ma l’operazione ha un prezzo implicito per le università tradizionali, quelle fisiche, che dal progetto non otterranno gli stessi benefici che speravano di conseguire in un primo momento. La mossa di Zangrillo le indebolisce. E, al momento, taglia fuori altre realtà italiane del settore.

La storia è iniziata quando Brunetta, da titolare della Funzione pubblica del governo Draghi, aveva sottoscritto un accordo con la ministra dell’Università Maria Cristina Messa lanciando l’iniziativa ribattezzata “Pa 110 e lode”. Lo scopo era quello di prevedere dei «percorsi specifici, finalizzati al conseguimento da parte dei lavoratori pubblici, dei titoli di studio di rispettivo interesse» con «la valorizzazione delle competenze delle amministrazioni di appartenenza».

Da qui la promozione di appositi master, corsi di perfezionamento e aggiornamento nella «logica della formazione permanente». Una strategia ambiziosa per migliorare il know how del settore pubblico con un occhio all’attuazione del Pnrr, che necessita di una formazione più alta.

Brunetta aveva stipulato una serie di protocolli d’intesa con vari atenei, da quelli pubblici – come La Sapienza e la Federico II di Napoli – ai privati, tra cui la Bocconi di Milano e la Link Campus di Roma. Tutte strutture “fisiche”, mentre erano escluse dagli accordi le università telematiche.

Zangrillo, a pochi mesi dall’insediamento, ha dato una sterzata: prima il 20 aprile ha firmato l’accordo con la Mercatorum e la San Raffaele, poi il 22 giugno ha siglato con la Pegaso. Tutto definito, nei minimi dettagli, nelle convenzioni datate 13 luglio, che hanno completato il tris con le università della galassia Multiversity.

«La firma va a sanare l’esclusione degli atenei digitali, la cui illegittimità è stata confermata da una decisione dell’Antitrust del 2022 che avrebbe portato il dipartimento della funzione pubblica a gestire un rischio enorme di contenzioso», dicono dal dipartimento della Funzione pubblica.

La sfida da “24 Ore”

Ma è solo un pezzo della partita della formazione e delle business school, che si gioca anche su altri campi. Il competitor di Multiversity è infatti Digit’Ed, partecipata del fondo Nextalia sgr (che tra gli azionisti annovera Coldiretti, Confindustria, insieme a banche e assicurazioni, tutte italiane) e da Banca Intesa Sanpaolo. I due player si contendono il settore della formazione che, secondo i dati più recenti, movimenta circa 20 miliardi di euro all’anno. L’ultimo scontro, come raccontato dal quotidiano La Verità, si è materializzato intorno al marchio della formazione targata Sole 24 Ore.

La 24Ore Business School, brand storico nato nel 1994, era stata ceduta nel 2017 al fondo britannico Palamon, e nelle ultime ore è stata sua volta rilevata dalla società Digit’ed, che fa riferimento a Nextalia sgr, riportandola in una proprietà italiana.

Nel frattempo, però, è partita una contro-operazione della concorrenza: Il gruppo del Sole ha lanciato l’attività della “Sole 24 Ore formazione”, che ha intrapreso una collaborazione con Multiversity (dove siede Vaccarono che è stato anche membro del cda del Sole 24 Ore). Digit’ed, in risposta, ha avviato un’azione legale per rivendicare l’uso esclusivo del marchio “24 Ore”.

L’amministratore delegato della 24Ore Business School, Manuel Mandelli, ha voluto indirizzare una lettera agli studenti e a docenti annunciando il cambio di proprietà, da Palamon a Digit’ed, e spiegando la vicenda: «Iniziare con della confusione non è un buon primo giorno di una nuova scuola», si legge in un passaggio, «e noi tutti – aggiunge Mandelli – porteremo la nostra esperienza per fare chiarezza che 24 Ore Business School siamo noi, da sempre».

Ma lo scontro non sembra destinato a chiudersi. Anzi. «lI reingresso nel settore della formazione era previsto dagli accordi stipulati nel contesto della cessione di Business School 24 s.p.a. in favore del gruppo Palamon», sostiene il gruppo 24 Ore. «È avvenuto – si legge in un documento – nel pieno rispetto delle condizioni convenute, anche e specificamente per quanto riguarda il marchio adottato, ossia Sole 24 Ore Formazione. Tale marchio, alla luce delle pattuizioni intercorse e della riconosciuta valenza distintiva di ogni segno che contenga la locuzione “Sole 24 Ore”, non può quindi ingenerare alcuna confusione all’interno del mercato di riferimento».

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