«La legge Severino va abrogata. Noi sindaci vogliamo ascoltare la città, stare in mezzo ai cittadini, ma poi come sindaci dobbiamo decidere, e nel momento delle decisioni noi vogliamo essere sereni e lavorare senza avere paura». Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e presidente di Ali, le Autonomie locali italiane ovvero l’ala piddin-progressista dell’associazione dei comuni d’Italia, parla in una sala di un albergo nel centro di Bologna. Ricci è un democratico di peso dai tempi di Pier Luigi Bersani a quelli di Enrico Letta, passando naturalmente per quelli di Matteo Renzi in cui è stato vicepresidente del partito.

Ad applaudirlo sono in trecento fra sindaci e amministratori. La scena si svolge nello stesso giorno in cui parte formalmente la raccolta delle firme sui sei referendum sulla giustizia promossi da Lega e Partito radicale. All’assemblea c’è un’ovazione per l’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, arrestato nel 2016 con l’accusa di turbata libertà degli incanti, assolto in secondo grado quest’anno. Applausi anche per la sindaca di Crema Stefania Bonaldi, indagata perché un bambino si è schiacciato un dito nella porta di un asilo comunale. Giù dal palco Ricci avverte che l’argomento referendum scotta: «Personalmente non firmo, per disciplina di partito. Ma su questo tema il movimento dei sindaci è molto unito. Certo quelli del Pd non vorrebbe firmare i quesiti, ma se il parlamento starà fermo anche questa volta, alcuni sicuramente lo faranno»

La questione è delicata. I sindaci si sentono a rischio di diventare collezionisti di avvisi di garanzia. Con tutta l’Anci il 7 luglio saranno a Roma a chiedere di essere coinvolti nella cabina di regia del Pnrr ma soprattutto di «porre all’attenzione delle istituzioni le condizioni normative nelle quali oggi operano i sindaci, e proporre soluzioni correttive che consentano loro di continuare a lavorare per le comunità in un clima di maggiore serenità». In poche ore hanno aderito in più di seicento primi cittadini, fra cui Beppe Sala (Milano), Chiara Appendino (Torino) ma anche amministratori del Pd come Dario Nardella (Firenze) e Giorgio Gori (Bergamo). Del resto il problema è comune e trasversale, ragiona ancora Ricci, «non possiamo rischiare ogni giorno per un atto che firmiamo o per una delibera che votiamo, né dal punto di vista penale né dal punto di vista erariale». Il collega di Mantova Mattia Palazzi pensa a «una proposta di legge popolare bipartisan» (del resto i colleghi di centrodestra chiedono l’abolizione della Severino da sempre) «sulla responsabilità penale dei primi cittadini, dal superamento della legge Severino alla candidabilità dei sindaci alle politiche». L’incandidabilità viene considerata «incostituzionale». «Perché dobbiamo dimetterci sei mesi prima per candidarci al parlamento e gli altri no?», è la domanda ripetuta: le elezioni politiche presto arriveranno e qualcuno il problema vorrebbe porselo.

La scorciatoia

Ma una legge di iniziativa popolare ha una strada lunga, la scorciatoia è firmare i referendum. Almeno il sesto quesito, quello che vuole abrogare tutto la legge Severino in modo da cancellare gli automatismo su incandidabilità, ineleggibilità, decadenza per parlamentari, consiglieri, presidenti regionali, sindaci, amministratori locali condannati, consegnando ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se applicare anche l’interdizione dai pubblici uffici.

E così il segretario Letta, nettamente contrario ai referendum e a favore del pacchetto della ministra della Giustizia Marta Cartabia, ora deve fare i conti con un pezzo del partito tentato dal mettersi in fila ai banchetti radical-leghisti. Fin qui solo Goffredo Bettini ha detto apertamente di volerlo fare. Al segretario in questi giorni non mancano le preoccupazioni, in attesa che la crisi del M5s prenda una direzione chiara. Le riforme sulla giustizia sono le prime a soffrire del caos grillino. Comunque dal Nazareno viene spiegato che le parole dei sindaci saranno ascoltate: «A più riprese il segretario ha espresso consapevolezza sui rischi enormi cui sono esposti sindaci nell’esercizio quotidiano dell’azione amministrativa. Il caso Crema è solo il più recente. Il punto è intervenire selettivamente, col cacciavite, per correggere storture senza alterare il quadro della necessaria legislazione anticorruzione».

E così se la destra si spacca sui referendum, e Giorgia Meloni abbandona Lega e Forza Italia contro la richiesta di limitare l’uso del carcere preventivo, anche nel centrosinistra non va tutto bene. Anzi. Italia viva da tempo ragiona sull’idea di aderire ufficialmente alla campagna. A titolo personale lo ha già fatto il radicale Roberto Giachetti. Ieri Renzi in un’intervista al Giornale, ha preannunciato, se non proprio ancora annunciato, la firma: «Non sono un fanatico dell’istituto referendario, ci ho pure perso palazzo Chigi sono referendum. Però se le cose restano ferme, allora la spinta di un referendum secondo la grande esperienza di Marco Pannella, può essere decisiva. Spero nel parlamento. Ma se il parlamento non fa la sua parte ben vengano i referendum».

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