Riformista. Non c’è parola più abusata, e confusa, nella storia della sinistra. Ma le parole sono importanti, diceva Moretti. E chi parla male pensa male.

L’origine

Quando nasce, fra Otto e Novecento, il termine si riferisce a chi vuole fare avanzare i diritti, o gli ideali del socialismo, all’interno del sistema vigente. In modo incrementale e pacifico.

Si contrappone a rivoluzionario, o massimalista (e le parole sono eloquenti). Partendo dall’analisi empirica. Nelle società europee, si cominciò a osservare che lo sviluppo capitalistico non stava producendo un aumento delle disuguaglianze, come aveva previsto Marx, ma l’opposto: un crescente benessere anche per le classi meno favorite.

Da qui, l’idea che il proletariato potesse trovare la sua emancipazione all’interno del sistema liberal-democratico e dell’economia di mercato, opportunamente e gradualmente corretti (con le riforme, appunto).

Il Pd di Schlein

Dalla fine della Guerra fredda, almeno, una visione di questo tipo è condivisa dalla grande maggioranza della sinistra italiana e occidentale, salvo alcune frange minoritarie.

Sicuramente, è condivisa in tutto e per tutto dal Pd di Elly Schlein, che alcuni accusano di non essere riformista. Ma perché allora questa accusa, se le cose sono così semplici? Perché negli ultimi decenni il termine ha assunto una connotazione diversa. Riformista è chi vuole le riforme per adattare il sistema paese ai desiderata della globalizzazione neo-liberale. Cioè flessibilità del lavoro, riduzione del welfare e della spesa pubblica: le riforme non servono più a fare avanzare i diritti, quelli sociali e del lavoro, ma a contenerli o ridurli. Il contrario del termine originario.

I tempi non sono cambiati

Si dirà, i tempi cambiano. Ma il punto è proprio questo. I tempi sono cambiati ancora. Oggi noi abbiamo capito che la gran parte delle riforme neo-liberali sono incompatibili con la sinistra. E lo abbiamo capito sulla base dei fatti (l’ideologia non c’entra).

Dati alla mano: aumento delle disuguaglianze, crisi ambientale, crisi della democrazia.

Nel caso italiano, peraltro, queste riforme non hanno evitato il declino economico-sociale e anzi per certi aspetti lo hanno favorito.

Di più. Il tema oggi, a livello mondiale e nei paesi avanzati, non è più come adattarsi ai dettami della globalizzazione neo-liberale, peraltro in cisi.

Ma come realizzare, in tempo utile, politiche che evitino la catastrofe ambientale, salvaguardando al contempo i diritti sociali e le nostre società aperte.

Il punto “esistenziale”

Il punto “esistenziale”, del nostro tempo, è tutto qui. Di nuovo, dati alla mano. Correggere il capitalismo per renderlo compatibile con l’ambiente e con i diritti umani è la sfida, oggi, dei riformisti e della sinistra.

Chi non lo riconosce è semplicemente fuori dal riformismo, o dalla sinistra. Si chiama conservatore, o reazionario.

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