Il risultato delle elezioni politiche è stato netto. La destra ha sconfitto un centrosinistra che ha mostrato tutte le proprie contraddizioni e che non ha saputo rispondere per tempo alle esigenze del Paese. Inutile girarci intorno. La sconfitta del centrosinistra viene da lontano, non è certo maturata negli ultimi mesi.

La politica concentrata nei palazzi di governo ci ha portato a trascurare il dialogo e il rapporto con il nostro elettorato storico - operai e giovani su tutti - e con il ceto moderato, che in massa ha deciso di votare altrove. Non abbiamo saputo affrontare la questione delle differenze sociali che si alimentavano a causa delle crisi ed emergenze quando eravamo al governo.

Non siamo riusciti ad offrire un programma chiaro e credibile per migliorare le condizioni di vita degli italiani. La lotta alla povertà, il sostegno ai lavoratori soprattutto precari, una fiscalità meno aggressiva per gli imprenditori, la riattivazione dell’ascensore sociale erano i nostri principali obiettivi che abbiamo declinato in maniera evidentemente tardiva o poco credibile. Le responsabilità di questa sconfitta sono oggettive e solo un processo lungo, nuovo e di ricostruzione, una vera fase costituente per il centrosinistra - che vada oltre i nomi e le leadership e che si basi su idee nuove e realizzabili per le quali il nostro elettorato possa di nuovo individuarci come interlocutori seri - ci potrà dare una nuova identità, che non può che avere come modello l’organizzazione e le politiche delle socialdemocrazie europee più avanzate. Si avverte, oggi più che mai, la mancanza in Italia di una forza politica strutturata a sinistra che difenda il welfare, promuova la giustizia sociale e dia tutele agli ultimi, salvaguardando le nuove diversità.

La sinistra che si guarda addosso

Mentre nel Pd, il maggiore partito della sinistra italiana, colpito dal virus del correntismo permanente, si dibatteva su quale quota privilegiare nella spartizione dei seggi, fuori c’era un paese distrutto, in preda ad un aumento spropositato delle bollette e sotto la morsa della povertà. È lì che ha ha sbagliato la sinistra. Guardare a sé stessa senza vedere cosa c’era fuori.

E il Pd guidato da Enrico Letta non è riuscito ad aggregare attorno a sé una coalizione ampia capace di arginare la destra. Come non è stato un gesto politicamente responsabile, quello di Calenda, che si è reso protagonista di giravolte e impegni subito sconfessati.

Non abbiamo capito che bastava guardare ai bisogni e affrontare la questione sociale per provare ad essere quello che siamo sempre stati: la sinistra vicina agli ultimi.

In Italia si è verificato ciò che in Svezia è successo qualche settimana fa e ciò che è avvenuto di recente in Germania, alle elezioni in Bassa Sassonia dove l’Afd, il partito di estrema destra, aumenta le proprie percentuali di oltre il 6 per cento. La paura per la guerra, le incertezze economiche e il caro energia che stanno mettendo a dura prova la vita delle famiglie e delle imprese, sono leve di malcontento sulle quali i partiti di destra in tutta Europa stanno cavalcando il malumore dei cittadini.

O proporzionale o morte

Oggi siamo al punto della rottura sociale: c’è un esercito di persone – soprattutto tra le fasce più povere e meno istruite – che non vota più (il dato dell’astensionismo a livello nazionale alle ultime politiche è arrivato al 36 per cento con punte del 50 al Sud) perché percepisce il voto non più come strumento di cambiamento. La piaga dell’astensionismo è un fenomeno ormai sempre più crescente in Italia.

La retorica del “bisogna avvicinare i cittadini alla politica” non ha più alcun senso se non cambiamo atteggiamento, approccio e se non li accompagniamo alla modifica della legge elettorale e troviamo una soluzione al voto per i fuori sede: è arrivato il momento di introdurre un sistema proporzionale, con preferenze, per avvicinare di nuovo gli eletti agli elettori e sarà necessario attivare il voto elettronico per i fuori sede.

Ripartire riconoscendo i propri errori, come quello di avere contribuito anche da sinistra, con qualche eccezione come quella dei socialisti che si sono schierati contro, ad acuire la crisi della rappresentanza politica con la riforma del taglio del numero dei parlamentari, tra l’altro avvenuto in assenza di una riforma della legge elettorale. O come quello di avere inseguito i populisti sui grandi temi della giustizia, preferendo nella riforma e nei referendum posizioni giustizialiste e non garantiste.

Anche la guerra in Ucraina ha condizionato la campagna elettorale perché ha contribuito ad alimentare quel sentimento di paura e ansia negli italiani. Nelle ultime settimane la Russia ha intensificato gli attacchi all’Ucraina, distruggendo molte infrastrutture civili e aumentando il numero di morti innocenti. Per questo consideriamo un errore le manifestazioni pacifiste “orizzontali” ovvero quelle che mettono sullo stesso piano aggressori ed aggrediti. Tutti noi siamo perché torni quanto prima la pace, ma è ormai inevitabile che per avere un cessate il fuoco reale e duraturo la Russia deve lasciare i territori occupati in Ucraina. Non possono esserci altre strade o vie di mezzo.

Le presidenze infelici

Il Governo Meloni non è nato sotto una buona stella. E lo ha dimostrato al Senato, quando si è frantumata alla prima curva dopo essere uscita forte e coesa dalle urne del primo turno, di fronte all’elezione dell’ex missino Ignazio La Russa, che da seconda carica dello Stato, come primo augurio, ha incassato un sonoro “vaffa “dal Cavaliere.

Con il dovuto rispetto per la democrazia e per le cariche dello Stato, la scelta di La Russa, per quello che rappresenta e ha rappresentato in termini ideologici, appare infelice e desta preoccupazione, come lo è quella del nuovo presidente della Camera, Lorenzo Fontana, famoso nelle cronache politiche italiane per tutte le posizioni omofobe e di contrasto alle nuove frontiere dei diritti civili. Hanno saputo nascondere bene le divisioni nel corso della campagna elettorale, ma oggi viene presentato il conto sul tavolo della premier. E la situazione diventerà ancora più complicata quando il neo governo dovrà affrontare la questione della guerra, delle alleanze internazionali, del caro energia, dell’economia e delle riforme, dove le visioni e le idee dei tre azionisti di maggioranza del governo sono finanche opposte. Siamo molto preoccupati.

Per noi è il tempo di armare l’opposizione. E la faremo, certo, lasciando alle spalle una delusione che sarebbe inutile nascondere, ma con l’entusiasmo che non ci ha mai abbandonato, mettendo in campo le nostre battaglie: guardando a un welfare sociale che questa destra ha intenzione di buttare giù a picconate. Lavorando per ridurre la forbice delle diseguaglianze, costruendo una proposta che ridia dignità ai lavoratori, difendendo la sanità pubblica e la scuola, sollecitando i giovani alla partecipazione. Dobbiamo essere capaci di far prevalere la politica e anche dall’opposizione si può fare. Anzi, con le mani libere e con spirito garibaldino, dobbiamo pungolare le forze di opposizione a unirsi contro questa onda nera che dall’Europa si è spinta fino in Italia.

Non entriamo nel Pd

Il Pd attraversa una grande crisi e hanno messo un congresso sullo sfondo dagli obiettivi poco chiari.

Quello che a noi è chiaro è che il Psi non ha alcuna intenzione di partecipare, votare ed eleggere il segretario del Pd. Il tema non è mai stato all’ordine del giorno. A maggior ragione che il dibattito relativo al congresso dei democrats ci appare tutto concentrato sulla contrapposizione tra le correnti interne, molto meno diretto a sciogliere i nodi ideologici che restano sul campo sin dalla sua nascita e ne continuano a minare il percorso. Una fusione a freddo, un compromesso storico bonsai, come lo definì Ugo Intini, che non ci convince oggi come non ci convinse quindici anni fa, quando i socialisti decisero di non partecipare ed aderire a questo progetto politico. Ad oggi i socialisti sono fuori dal Parlamento. Più di tutti scontiamo la sconfitta elettorale del centrosinistra.

La nostra strada è sempre la stessa, è stata tracciata da ultimo al congresso nazionale ed è quella di lavorare sulla nostra autonomia politica ed organizzativa, potenziando la nostra comunità ed alimentando un lavoro a partire dai territori attraverso la presentazione di nostre liste ai prossimi appuntamenti elettorali con l’obiettivo di presidiare e rafforzare una presenza nel centrosinistra, che abbia una forte identità ispirata ai valori delle socialdemocrazie europee, che è quello che è mancato alla coalizione per le elezioni politiche.

Assemblea per la socialdemocrazia

Per questo organizzeremo nei prossimi mesi una grande assemblea pubblica per la socialdemocrazia in Italia per riattivare un confronto con tutti e trovare convergenze sui temi e sulle priorità per il Paese, provando a serrare le fila del nostro mondo.

Nel frattempo, quanto ai primi passi del nuovo governo, se il buongiorno si vede dal mattino, non avevamo dubbi che la campagna elettorale sia una cosa, governare e dare risposte ai problemi reali del Paese un'altra. La destra ha vinto grazie alla spinta di una moltitudine di spot e oggi, alla prova della concretezza richiesta a chi è al governo del Paese, sembra del tutto cambiato l'approccio ed è in corso il tentativo di distrarre l'opinione pubblica dai problemi reali, che sembrano essere oggi molto diversi dalle priorità affrontate da questo Governo. Il premier aveva promesso ferro e fuoco al primo consiglio dei ministri, a partire da una svolta più incisiva sul caro bollette, accompagnato da un radicale cambiamento nei rapporti con l'Europa. Nulla di questi obiettivi trova concretezza nella prima seduta del cdm, che si è concentrato su misure manifesto che hanno dato immediatamente il polso di quello che ci dovremo attendere da questa destra. Sugli aiuti alle famiglie per il caro energia, ci si è limitati di fatto a confermare il lavoro fatto dal governo Draghi, e poi una serie di misure di cui nessuno sentiva il bisogno ma che, evidentemente, servono a definire il perimetro nel quale si muoveranno ministri e sottosegretari. A iniziare da quell’aumento del tetto del contante, una misura ingiustificata che alimenterà, inevitabilmente, l’economia del sommerso: dal lavoro irregolare alle attività illegali. Una misura che favorirà gli evasori e chi vuole sottrarsi ai controlli fiscali e nascondere i propri introiti allo Stato.

Così come il decreto legge “anti rave”, un provvedimento scritto malissimo, intriso di ideologismo controproducente. Un pericolo per la democrazia che apre ad una più ampia repressione del dissenso e delle libertà costituzionalmente garantite. Non si può assolutamente tacere. Ora sia chiaro che i giovani hanno il diritto di divertirsi, ma essi hanno anche l'obbligo di non rovinarsi ed andare contro le leggi. E per questo bastavano quelle esistenti, che hanno consentito di intervenire efficacemente al rave di Modena. È necessario fin da subito fare sentire la nostra voce e evitare di sottovalutare tali provvedimenti.

Autonomi e diseguali

Mi spaventa ancor di più come questa destra stia iniziando a rimettere mano all'autonomia differenziata per le Regioni, che il ministro Calderoli ha annunciato qualche giorno fa. Anche su questo sarà necessario vigilare per evitare che si creino ulteriori disuguaglianze tra cittadini delle varie regioni, soprattutto a danno di quelle del Sud, già penalizzate, ad esempio, nel riparto dei fondi per la sanità e non solo. Gravissimo sarà il tentativo di spezzare l’Italia in due e le rassicurazioni della Meloni circa una maggiore attenzione per il Mezzogiorno, non sono certo una garanzia sufficiente. Una forbice, che nel nostro Paese, si è già ampiamente spalancata. Un baratro che nei prossimi mesi potrebbe trascinare giù migliaia di famiglie, che non avranno né il contante per fare la spesa e pagare le bollette né sanno cosa sia un “rave party”.

*segretario del Partito Socialista Italiano

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