Sono lontani i tempi di Max Weber. Nessuno direbbe oggi che la burocrazia sia sinonimo di razionalità ed efficienza, come sosteneva, invece, il grande fondatore delle scienze sociali contemporanee. Anzi, nella vulgata pubblica ma anche privata di ognuno, la burocrazia è sinonimo di lungaggini e adempimenti incomprensibili.

In questo senso il rifiuto della burocrazia, oltre a essere una legittima lamentela individuale, è la bandiera, spesso populista, di chi dice di volere meno stato, ma non dice di volere anche meno servizi. Se è vero che spesso gli adempimenti burocratici ci sembrano incomprensibili, oltre che inutili, in realtà spesso derivano da sacrosante esigenze: di imparzialità della legge, di trasparenza, di tracciabilità delle informazioni, di privacy individuale, eccetera.

Chi proclama di voler fare leggi e iniziative pubbliche senza burocrazia è anche la stessa persona che, per ignoranza o in malafede, richiede leggi trasparenti, imparziali, e oggetto di valutazione. Tutte esigenze impossibili da soddisfare senza la burocrazia.

I tentacoli

La tendenza verso la burocratizzazione amministrativa, spesso tentacolare anche quando parte da esigenze legittime, ha pervaso ogni lavoro e dimensione della nostra società. E anche il lavoro universitario ne è stato fagocitato. Nonostante perduri la favola dell’università comandata da baroni che non rendono conto a nessuno, la vita concreta di migliaia di docenti universitari è oberata da adempimenti pervasivi e spesso incomprensibili. Qui, on si stanno denunciando abusi, sfruttamento o discriminazioni.

I docenti universitari (se strutturati) sono, rispetto ad altre professioni, ancora relativamente privilegiati. Eppure, c’è motivo di guardare criticamente alla situazione perché la realtà è ben lungi dall’immaginazione. E, oltre a questo, la burocratizzazione risucchia enormi risorse di tempo e di personale che dovrebbe essere occupato in altre mansioni (ricerca, insegnamento, progresso scientifico e culturale).

I docenti vivono la quotidianità tra verbali di commissioni, repliche a uffici, rendiconto delle loro attività, valutazione di altri, compilazione di moduli, e tanto altro: tutte attività che li rendono dei burocrati di medio livello.

Le esigenze legittime di valutazione della didattica e della ricerca, di gestione del rapporto docenti-studenti, di responsabilizzazione del corpo docente e di trasparenza delle decisioni hanno prodotto, in realtà, un’enorme massa di commissioni, deleghe, verbali e scadenze amministrative che richiedono la produzione di una gran mole di documenti.

Le tipologie

Come sopravvivere a questa realtà che sembra ineluttabile? Ci sono tre strategie che corrispondono a tre tipi umani: gli stakanovisti, i guerriglieri e gli imboscati. Gli stakanovisti sono coloro che abbracciano pienamente ogni adempimento burocratico come fondamentale. Dalle nuove linee guida su come compilare la scheda di insegnamento all’acribia nel commentare le statistiche degli indicatori di performance, lo stakanovista vive le regole amministrative come un fine e non uno mezzo che, in teoria, dovrebbe migliorare il risultato ma che in realtà porta via solo tanto tempo.

Frutto di una personalità dedita alla correttezza, può agire per puro senso del dovere, oppure nascondere un vuoto nel riconoscere l’insensatezza di ciò che fa. In tal caso si tratta dello stakanovista passivo-aggressivo che prende le attività strumentali come un destino amaro, una colpa originaria che, come umani o come privilegiati, dobbiamo espiare. In università, invece, non vi è la variante solo aggressiva e non passiva dello stakanovista (il crumiro) dato che, mancando scioperi e proteste, non può nemmeno esistere chi si oppone alle proteste.

Talvolta lo stakanovista rinsavisce e si rifiuta. Oppure sin dall’inizio rifiuta questa logica. In tal caso abbiamo il guerrigliero. Comprende la mostruosità esistenziale di molte cose da fare e si ribella ai diktat. Si impegna quindi in una serie di rivendicazioni, lamentele, micro-battaglie per mostrare quanto sia inutile fare una certa cosa richiesta dai piani alti. Può avere una tendenza ideologica, solitamente di sinistra, se vede nella burocratizzazione universitaria un dispositivo amministrativo per controllare e subordinare lo spirito critico del docente.

L’imboscato

Infine, c’è l’imboscato. Figura cardine della società e archetipo arci-italiano, per istinto o calcolo si tiene fuori dagli oneri e non li contesta. Ciò nell’università italiana è molto più possibile che in altri ambiti perché sopportare il carico degli adempimenti amministrativi è, nella stragrande maggioranza dei casi, fatto su base volontaria (dagli stakanovisti). Far parte delle commissioni, valutare, avere ruoli gestionali, sono compiti a cui ci si può sottrarre.

E anche quando gli adempimenti riguardano tutti, il non assolverli raramente comporta conseguenze negative. Sarebbe facile moralizzare questa situazione e dire che i buoni sono solo gli stakanovisti poiché portano avanti il bene collettivo del funzionamento generale, mentre gli imboscati sembrano egoisti e i guerriglieri si incaponiscono in battaglie di principio. È meglio, invece, incrociare la valutazione morale con un’analisi costi-benefici.

Da un punto di vista individuale, sembra ovvio che gli imboscati abbiano ragione nel minimizzare i costi poiché, così facendo, si ritagliano più tempo per altro (i fatti propri o l’avanzamento della ricerca). Gli stakanovisti sembrano quelli che, nel tirare avanti la baracca, ne sopportano tutti i costi, ma non è detto che l’adesione acritica ai diktat sia sempre la migliore risposta al funzionamento del sistema. I guerriglieri, invece, spesso sopportano costi maggiori in termini di stress e frustrazione poiché raramente ottengono qualcosa, pur dovendo dedicare tempo e risorse alle loro battaglie.

Ma la questione non deve solo dipendere dalla natura dei singoli, in un gioco sadico che lascia il cerino in mano alla predisposizione individuale. Dovrebbero essere le istituzioni centrali (il ministero in primis) a chiedersi se i continui e nuovi adempimenti siano sostenibili. Il procedere su questa china non può che dare ragione ai guerriglieri che combattono battaglie inutili e agli imboscati che si sottraggono ai doveri di cooperazione.

Una più sensata valutazione di ciò che è richiesto porterebbe anche gli stakanovisti fuori da un gioco dell’oca in cui si sentono dalla parte del giusto, pur non facendo altro che permettere al sistema di galleggiare.

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