Dieci mesi dopo le dimissioni del capo politico Luigi Di Maio, il Movimento 5 Stelle ha portato a termine il suo primo congresso di decisioni prese solo a metà. Dagli Stati generali esce solo un indirizzo di massima sulla futura leadership del Movimento, e corrisponde a quanto già si anticipava nel documento guida alla discussione.

Sarà un organo collegiale, sì, ma il resto è ancora tutto da definire: quanti debbano essere i componenti, quali siano le modalità di candidatura e di voto, se si debba prevedere la presenza di un primus inter pares, una figura con più poteri e responsabilità degli altri. Anche questi aspetti verranno decisi con una serie di quesiti su Rousseau. Con quali tempi non è ancora chiaro.

«Per giungere al completamento del percorso sulla leadership si potrebbe anche intervenire con più di una votazione, non è detto che ne basti una singola», fanno sapere dal Movimento. Rimane congelato anche un altro tema spinoso: la regola del doppio mandato per ora non si tocca.

«Nessuna deroga, valorizzeremo comunque le esperienze maturate nelle elezioni amministrative», ha detto ieri il reggente Vito Crimi dal parco tutto virtuale dell’evento. Alla conclusione del secondo giorno di dibattito, non si è aggiunto molto di più quanto fosse già emerso dalla “mappa” che sintetizzava le posizioni regionali.

Tutti col governo

Nel gioco delle parti, ognuno ha aderito al ruolo previsto. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nel suo videomessaggio di saluto, ha incoraggiato i Cinque stelle a guardarsi allo specchio e riconoscersi forza di governo: «La coerenza è sicuramente un valore, ma quando governi devi valutare la complessità, bisogna avere anche il coraggio di cambiare idea».  Crimi ha insistito sulla parola chiave «responsabilità». Il capo-delegazione e ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha invitato a «provare a essere granitici, perché è nella compattezza che abbiamo sempre trovato la nostra forza».

Persino il presidente della Camera Roberto Fico, ex ribelle della prima ora definitivamente convertito a uomo delle istituzioni, ha gettato acqua sulle polemiche: non ci sono all’interno del Movimento «persone più pure di altre» - ha detto Fico - rimandando al mittente l’accusa di aver perso di vista le origini: «Chi ha usato strategie tipiche della vecchia politica non può invocare oggi la mancanza di coerenza e la purezza. Cordate, correnti, strategie acchiappa like e personalismi sono diffusi».

Di Battista di lotta ma non troppo

Il bersaglio è Alessandro Di Battista, sempre critico verso le posizioni del Movimento di governo. Eppure, l’ex parlamentare alla fine non ha escluso di entrare a far parte del futuro organo collegiale: «Non vedo l'ora di rimettermi in prima linea con i Cinque stelle, vedremo come e in che ruolo», ha detto all’inizio del proprio intervento. Il suo era l’intervento più atteso, dopo il post su Facebook di accuse a imprecisati “loro”: «Da quando sono uscito – per mia scelta – dal parlamento hanno, costantemente, provato a denigrarmi».

Nel post, Di Battista rilanciava anche la polemica sui voti ottenuti dai trenta relatori del dibattito conclusivo: «Oggi mi viene chiesto a gran voce di entrare in un organo collegiale che non è stato ancora votato dagli iscritti. Perché? Perché forse le nostre idee non sono così minoritarie come qualcuno vorrebbe far credere. E allora si pubblichino i voti che ciascuno dei 30 delegati nazionali ha ottenuto». Ma alle proposte nelle riunioni provinciali e regionali prima, nei tavoli tematici dopo, si è fatto di tutto per evitare la conta. Nessun voto per non disturbare un morbido processo di sintesi. 

Qualche ora Di Battista ha dettato nuove condizioni a chi lo vuole dentro: la revoca definitiva della concessioni autostradale ai Benetton; una svolta sul tema del conflitto di interessi, soprattutto fra gruppi finanziari ed editoriali; mai una legge elettorale senza le preferenze; nessuna alleanza strutturale con altre forze politiche; un comitato di garanzia che renda trasparente la scelta delle nomine da fare all’interno dei ministeri; un documento che ribadisca il limite di due mandati per gli eletti. Punti su cui non c’è alcun accordo dentro il Movimento, la partita fra l’ala governista e Di Battista è solo rimandata.

Mancano i nomi

Fra gli scontenti, c’è chi non vede la possibilità di una svolta significativa nel futuro prossimo, ma esclude la possibilità di una scissione: i dissidenti rimarranno dissidenti e il resto del Movimento andrà avanti in ogni caso, anche senza di loro. «Siamo in ritardo di un anno mezzo e l’obiettivo di questi Stati generali è stato solo quello di dare la sensazione che tutti fossero ascoltati per poi non cambiare nulla», dice Ignazio Corrao. Secondo l’europarlamentare, «un organo collegiale c’era già, l’unica differenza è che ora diventerà ufficiale, ma continueranno a decidere gli stessi che l’hanno fatto finora senza assumersi la responsabilità di quello che hanno sbagliato in questi anni».

Su aspetti meno delicati, delle decisioni si sono state. Il Movimento si darà una struttura territoriale capillare, in altri termini, delle vere e proprie sedi fisiche.

Nascerà una scuola di formazione politica per non disperdere le competenze acquisite in questi anni da chi ha ricoperto incarichi pubblici.

Ai parlamentari verrà garantita una tutela legale per la propria attività politica da parte del Movimento. Ma soprattutto, si parlerà di una tesoreria interna, mettendo in discussione la destinazione dell’obolo di 300 euro che oggi i rappresentanti Cinque stelle sono chiamati a versare all’Associazione Rousseau e dunque a Davide Casaleggio.

Gli Stati generali sono finiti ma la discussione continua. Il capo politico Crimi l’aveva detto «Alla fine non avremo una deliberazione definitiva su ogni singolo tema ma avremo una base su cui implementare i passaggi successivi, che sono affidati ai nostri iscritti».

Quanto sia solida questa base si vedrà quando ai membri dell’organo collegiale andranno attribuiti nomi e cognomi.

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