«Quando sbaglierò la rotta sarò sempre disponibile all’ascolto, soprattutto delle critiche costruttive. Vi chiedo franchezza tra di noi e lealtà al mandato che ci hanno dato. Facciamolo insieme, caro Stefano, care tutte e cari tutti, perché insieme torneremo a vincere, ne sono convinta».

La segretaria del Pd, Elly Schlein, è stata acclamata all’assemblea nazionale al centro congressi La Nuvola e nel suo discorso di un’ora e mezza ricapitola i temi con i quali ha vinto alle primarie: priorità alla battaglia sulla sanità pubblica (l’assemblea dedica molti applausi all’ex ministro della Salute Roberto Speranza, ex Art.1, neo-iscritto) e alla scuola pubblica.

Diritti civili e diritti sociali «vanno insieme», anche se una parte della platea dedica un’ovazione alla proposta di riprendere la battaglia contro le discriminazioni di genere persa con la sconfitta in aula della legge Zan. 

Battaglia per il salario minimo, lotta alla precarietà e limite ai contratti a tempo (ma c’è già dal decreto dignità del governo gialloverde, 2018; basta con i finanziamenti alla guardia costiera libica (all’ex ministro Marco Minniti saranno fischiate le orecchie, ma da tempo ormai il Pd non vota più quei finanziamenti).

Stavolta ce l’ha con il governo quando si autocita: «Stiamo arrivando». «Faremo un’opposizione netta e rigorosa, ma ad ogni critica corrisponderà una proposta», dice, e qui prende di sana pianta una proposta del suo ex sfidante Stefano Bonaccini: «Perché se loro hanno vinto facendo la destra a noi tocca fare la sinistra e la sinistra non può che essere ecologista, femminista e di governo. Questa è la mia storia, questa è la nostra storia».

In quel «di governo» c’è forse l’unica novità del discorso di Elly Schlein. Ed è evidentemente una risposta a chi, nella minoranza interna, sospetta che la torsione a sinistra del nuovo Pd non sia la migliore premessa per le future vittorie, almeno alle politiche. Anche se lei offre collaborazione alle opposizioni. 

Nuovi senza nuovismo

La novità è lei, al di là di quello che dice nel suo primo discorso. È lei che scatena ovazioni, è la sua vittoria ad aver abbassato, almeno un po’, l’età media dell’assemblea, e a essersi guadagnata 10mila nuovi iscritti in una settimana. Lei, la prima segretaria del Pd, donna e femminista, che chiama un grande applauso per Livia Turco, ex ministra, «che mi ha insegnato la sorellanza».

Ma lei non può, e non intende ignorare, che gli iscritti del Pd hanno preferito un altro segretario, cioè il suo sfidante. Per questo gli ha offerto la presidenza, scelta che l’assemblea vota a scrutinio palese (unanimità, un contrario).

Schlein sa che Stefano Bonaccini è fra i più dialoganti dell’area degli sconfitti per questo scandisce bene l’offerta di dialogo, che è più indispensabile al suo nuovo corso che alla minoranza: «Basta conflitti interni che tolgono le energie, dobbiamo costruire un’alternativa che ci serve contro le destre che governano questo paese che sono le peggiori d’Europa».

«Vogliamo essere un partito che deve cambiare per contribuire a cambiare questo paese, un partito saldamente ancorato alla propria storia e ai propri valori, quelli della nostra Costituzione laica, repubblicana e antifascista».

In realtà prima Enrico Letta, dal palco, le aveva consigliato una cosa un po’ diversa: «Una delle cose che il nostro popolo ti ha chiesto è di portarci avanti uniti». «Ti hanno chiesto di fare le scelte che devi fare, senza andare a trattare con nessuno, con nessuna corrente. La forza dell’investitura e della legittimazione che hai usala fino in fondo».

Lei dalla prima fila sorride, annuisce, applaude. Ma in realtà ha trattato. Perché sa che l’unità del Pd cammina su un filo sottile: innovazione ma anche ascolto di chi non l’ha votata, soprattutto nel gruppo dirigente dei territori: quasi tutti i segretari regionali non hanno votato Schlein, era schierato con lei Bruno Astorre, segretario del Lazio che si è tolto la vita lo scorso 3 marzo a cui l’assemblea riserva due lunghissimi e commossi applausi. 

«Dobbiamo valorizzare le competenze, rinnovando il gruppo dirigente. Ma stiamo già cambiando, abbiamo tanti giovani e donne oggi entrate in questa assemblea. Facciamolo con ambizione, non per vuoto nuovismo ma per creare nuovi ponti intergenerazionali».

Bonaccini presidente

E che ha fatto bene si capisce dagli applausi che scatena Bonaccini. Sorridente, a suo agio, pronuncia un discorso fortissimo: se lei enuncia principi generali, lui parla concreto e si fa capire bene. 

«Saremo al fianco del governo italiano per chiedere all’Europa di fare di più per i corridoi umanitari e ridistribuzione ma voi avete seminato vento in questi anni e ora raccogliete tempesta e non siete credibili per trattare in Europa», «dobbiamo mandare a casa questa destra inadeguata, le cui misure le stanno pagando i più deboli. Una destra che mette la flat tax piuttosto che tagliare il costo del lavoro».

E alla segretaria e alla maggioranza: «Il Pd è grande perché plurale. Ci mettiamo a disposizione per dare una mano. Ho accettato questo ruolo con questo spirito, il Pd è casa mia, questa è la mia comunità, non mi sento in minoranza o all’opposizione, il successo di questo partito mi e ci riguarda tutti allo stesso modo. Possiamo aver opinioni differenti ma le faremo vivere nel confronto aperto negli organismi dirigenti come elemento essenziale di un partito grande, plurale e democratico». 

Questo però si vedrà meglio la prossima settimana, quando verrà nominata la nuova segreteria e i due nuovi capigruppo. Per il momento arrivano i voti all’unanimità per due vicepresidenti di area Schlein, la deputata Chiara Gribaudo e la consigliera regionale pugliese Loredana Capone. 

E per Michele Fina, area Orlando, il nuovo tesoriere, al posto di Walter Verini («continua a consigliarmi», le chiede la segretaria ringraziandolo). 

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