La riunione del governo con i leader delle opposizioni sul salario minimo, convocata alla vigilia di Ferragosto, come aveva chiesto Carlo Calenda, era stata pomposamente presentata come un grande segnale di dialogo da parte della premier Giorgia Meloni, che pure alla vigilia aveva già detto no all’intera proposta della minoranza.

Venerdì, alla fine di due ore di confronto, dalle 17 alle 19 e 10, il governo ha prodotto una formula fumosa, pronunciata dalla stessa presidente nelle conclusioni. La proposta suona così: «Provare ad avviare un percorso celere ma attento per una proposta condivisa su lavoro povero e salari bassi», coinvolgendo il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

Sessanta giorni, per capire se c’è un margine per «fare un lavoro insieme». Traduzione non autorizzata: il governo non può dire di voler ignorare il tema del salario minimo, ma non può accettare di darla vinta alle opposizioni. Dunque raccoglie il tema come può. Il presidente del Cnel Renato Brunetta alla ripresa avrà il suo da fare. La premier punta ad arrivate con una proposta concreta per alzare i salari alla prossima legge di bilancio.

Nessuno sbatte la porta

La proposta di Meloni arriva nel suo secondo e ultimo intervento, la presidente del consiglio ieri pomeriggio apre i lavori e poi fa le conclusioni. C’è chi racconta il tavolo con moderato entusiasmo, come Calenda, che del resto è quello che lo ha fortissimamente voluto, ed è anche stato il primo ad aver ricevuto l’invito direttamente da Meloni.

«È stato un incontro ancora interlocutorio», dice appena uscito da palazzo, «ma il fatto molto positivo è che nessuno ha sbattuto la porta. È un passo avanti nella giusta direzione, dopodiché noi da domani raccoglieremo le firme sul salario minimo».

In fondo la pensa nella stessa maniera anche il rossoverde Nicola Fratoianni: «Meloni ci ha detto che è importante, che il governo vuole confrontarsi sulla materia complessiva: consideriamo questa disponibilità un primo risultato della nostra iniziativa». Ma le opposizioni continueranno «la nostra battaglia politica sulla nostra proposta di legge che consideriamo solida e utile».

Nella sostanza la posizione delle minoranze resta distante da quella del governo, che del resto in sostanza non c’è ancora. Ma la notizia vera è che i leader delle opposizioni reggono dall’inizio alla fine la scelta comune, ovvero la proposta di salario minimo a 9 euro. E evitano iniziative autonome.

Per esempio, nonostante gli annunci, Elly Schlein non ha parlato del caso De Angelis, come aveva promesso, né ha allargato la discussione ai ristori (che non arrivano) per la ricostruzione della Romagna alluvionata. Persino Conte, che era arrivato con dei grafici da proiettare sugli schermi, alla fine rinuncia. Insomma, alla fine delle due ore abbondanti di confronto, se Meloni sperava di dividere le minoranze, deve prendere atto di non esserci riuscita.

Così si concede a un lungo punto stampa, in cui è insolitamente molto disponibile alle domande dei cronisti: per inondare le agenzie della sua disponibilità a confrontarsi con le minoranze.

«La maggioranza ha tutti gli strumenti per fare gli approfondimenti che vorrà fare ed eventualmente presentare una sua proposta, aspetteremo di confrontarci su questa», replica Schlein, «Noi andiamo avanti con la nostra proposta perché c'è un forte consenso popolare ed è il motivo per cui da ora possiamo lanciare la raccolta firme che avevamo annunciato».

Formazione compatta

La premier si presenta scortata dal vicepremier, Antonio Tajani. Matteo Salvini alla fine non c’è, è in videocollegamento, dallo schermo il faccione del leghista è proprio in fronte a Meloni, per non impallarlo Schlein e Conte si distanziano un po’. Ci sono la ministra del Lavoro Elvira Calderone e i sottosegretari Antonio Mantovano e Giovanbattista Fazzolari.

Dall’altra parte del tavolo la segretaria del Pd è arrivata con Maria Cecilia Guerra, Giuseppe Conte con l'ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, il leader di Azione Carlo Calenda con il capogruppo alla Camera Matteo Richetti, i rossoverdi sono Nicola Fratoianni e Luana Zanella (un impegno familiare ha trattenuto lontano da Roma Angelo Bonelli), il segretario di +Europa Riccardo Magi con Benedetto Della Vedova.

Uniti, in ordine alfabetico

Dentro la discussione è fitta. Ma tutti tengono le proprie posizioni, tanto che a un certo punto filtra una battuta, dal lato delle opposizioni: «Fin qui zero a zero e palla al centro». Inizia la presidente con un intervento di mezz’ora, e prova a smontare la proposta delle opposizioni, che in pratica è l’unica cosa solida e nero su bianco che arriva al tavolo (del resto è già incardinata in parlamento).

Contro il salario minimo si inventa un fantomatico «percorso celere» sul lavoro povero e i salari bassi. Le minoranze, a più voci, spiegano il testo unitario, sempre più convinte che Meloni non l’abbia studiata. Magi, quando tocca a lui, prende atto della situazione: «Nulla di nuovo, siamo a metà tra un remake della discussione in commissione e il question time del governo alle opposizioni», insomma al contrario, «una situazione straniante», spiegherà meglio dopo.

Chi parla con Conte sente un discorso ancora più esplicito: «Il governo era impreparato, non aveva una proposta e non aveva letto con attenzione la nostra. Abbiamo risposto in maniera puntuale e senza polemiche».

Ora tutti uniti sulla raccolta di firme sul salario minimo «ai sensi dell'articolo 50 della costituzione. Quando ci ritroveremo alla ripresa dei lavori parlamentari ci sarà sul tavolo anche la posizione dei cittadini».

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