Perché la legge costituzionale sull’elezione diretta del premier arrivi sul tavolo del consiglio dei ministri serve ancora «un mese, un mese e mezzo», spiegano da palazzo Chigi. Una bozza c’è, sarà illustrata al vertice di maggioranza convocata dalla premier il 6 settembre. Ma, sempre secondo fonti di palazzo Chigi, non corrisponde alle anticipazioni di queste ore, definite «totalmente inventate». La versione collima con quella del ministero delle Riforme, che si trincera dietro un infastidito «no comment».

Da questa parte filtra una road map più ottimistica, di una decina di giorni, per mettere a punto le «questioni tecniche», leggasi lo scasso della Costituzione: il testo che la ministra Maria Elisabetta Casellati ha assemblato è sulla scrivania di Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Palazzo Chigi.

Ma i punti aperti sono parecchi: Casellati, per dire, è contraria alla sfiducia costruttiva e favorevole al principio che premier e governo «simul stabunt simul cadent». Principio che fa venire le bolle all’opposizione. Ma il problema non sta nelle minoranze: sta ancora tutto nella maggioranza.

Lo si capisce dalle certezze ostentate dal ministro Roberto Calderoli: l’autonomia differenziata sarà legge «all’inizio del 2024». Per Fdi è escluso: intanto perché quella riforma farà perdere una valanga di voti al Sud, non un buon viatico per le europee di giugno. E poi l’autonomia è una legge ordinaria, l’elezione diretta del premier è una legge costituzionale, prima delle europee non riuscirebbe ad essere votata neanche da una camera. Se lo scambio fra Lega e Fdi è su questi due provvedimenti-bandiera, Fdi non si vuole far fregare.

Insomma, nonostante l’accelerazione impressa da Meloni sull’elezione diretta del premier, di fatto la maggioranza resta incartata.

C’è anche il fatto che l’idea dell’elezione diretta, con conseguente rattrappimento dei poteri del Quirinale, è un’arma servita su piatto d’argento alle opposizioni (tutte tranne Iv).

Lo ha messo in chiaro martedì scorso Alessandro Alfieri a nome di Elly Schlein: «è la proposta peggiore che si potesse mettere in campo», «indebolisce la figura del presidente della Repubblica, che diventa residuale, e svuota di poteri il parlamento».

Dal Colle bocche cucite, non è tema su cui il presidente intende intervenire né avrebbe competenza. Anche se è chiaro che la polarizzazione dello scontro sui “propri” poteri è l’ultima cosa che da lassù ci si augura.

Attaccare Mattarella

Eppure attaccare, di fatto, Mattarella fa paura alla maggioranza. Tant’è che dal ministero di Casellati è filtrata una pallida rassicurazione unofficial: si sta lavorando a evitare che la figura del capo del governo metta in discussione i poteri del capo dello Stato. Ma non è possibile. E se questo è il menù, il Pd e le opposizioni prenderanno le difese del Colle. E di Mattarella in persona, l’uomo delle istituzioni che gode del maggior consenso del paese.

Lo scontro è assicurato, fino ad un eventuale referendum. «Diverso sarebbe se la maggioranza si accontentasse dell’indicazione sulla scheda e accettasse una ragionevole flessibilità per cui non si torni sempre al voto ad ogni cambiamento di premier, sul modello della costituzione tedesca, art. 67 e 68», spiega il professore Stefano Ceccanti in un saggio in uscita nel prossimo numero della rivista Quaderni costituzionali. Lettura consigliata per Meloni.

A meno che la premier non cerchi l’azzardo. Prima ancora deve però sminare l’autonomia, senza la quale la Lega non darà nessun via libera.

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