«Avere ragione vent’anni dopo non vale». Ce lo hanno hanno spiegato solo pochi giorni fa gli ex ragazzi di Genova 2001, e giusto ieri ce lo aveva scritto anche Gino Strada in un editoriale sulla Stampa. Una pagina che si accartocciava tra le mani mentre arrivava la notizia della sua morte: da tempo soffriva di cuore.

Lì Strada ragiona sul ritiro delle truppe dall’Afghanistan ora che una delle «guerre infinite» – quella illegale iniziata il 7 ottobre dopo l’attacco alle Torri gemelle – è finita malissimo e i talebani sono a 50 km da Kabul. «Dicevamo vent’anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista», scrive. Il medico fondatore della ong Emergency è stato il capofila e il simbolo di tutti quelli che – ma erano pochi all’epoca – si opposero alla “coalizione dei volenterosi”.

Emergency era nata da sei anni, un’associazione dedicata alle emergenze sanitarie, aveva lo sguardo visionario dei suoi fondatori Strada e Teresa Sarti, la sua prima moglie – morta nel 2009 – e aveva già creato ospedali in Ruanda dopo il genocidio. Curava le vittime delle guerre, tutte, non solo i buoni, era «indipendente e neutrale». La ong era già in Afghanistan da tre anni quando Bush junior lanciò la caccia ai talebani.

L’accusatore

Per anni Strada è stato il principale testimone dell’accusa ai governi per l’inutile mattanza che si stava compiendo a Kabul e per la fragilità con cui veniva costruito il nuovo stato. Nelle denunce era intransigente, non concedeva scampo a nessuno ma in particolare scattava di fronte all’antropologia del politico di tipo socialdemocratico, di quelli che non riescono mai a sottrarsi a nessuna formazione di cacciabombardieri.

Non era un uomo pacifico e non amava la parola “pacifista” che di guerra in guerra è stata usata sempre più sinonimo – neanche di idealista e utopista – di imbecille che non capisce la geopolitica. I successi di quelli che la capiscono sono sotto gli occhi di tutti, ci ha spiegato Strada ieri per l’ultima volta.

Il guru scomodo

Diceva «io sono contro la guerra, la più grande vergogna dell’umanità» ma «nel mondo umanitario c’è molto dilettantismo». Lui invece era un professionista e infatti ha trasformato la sua Emergency onlus nell’impero del bene: opera in 19 paesi e ha salvato 11 milioni di persone, in Afghanistan ha tre ospedali, un Centro di maternità e una rete di 44 posti di primo soccorso. E dalla Kabul di queste ore ci spiegano che «l’ospedale di Emergency è ancora uno dei pochi punti fermi dell’Afghanistan».

Le magliette di Emergency per anni sono state il vero simbolo del movimento pacifista e della sinistra contraria alle guerre umanitarie. L’autorevolezza del fondatore è la chiave della monumentale raccolta dei fondi. Anche quando, dopo le grandi manifestazioni del 2003 contro la guerra in Iraq (110 milioni di persone in piazza in giro per il mondo, per il New York Times il movimento pacifista è «la seconda potenza mondiale»), il pacifismo smette di portarsi in società e di circolare nelle piazze. E l’arcobaleno diventa il simbolo dei diritti civili.

Strada continua a far salvare vite gratuitamente in giro per il mondo. Vede la necessità di allargare il campo della sua ong che interviene nei luoghi della povertà, anche dove la guerra non è dichiarata, da Marghera a Polistena, a Milano e Ragusa, Napoli e Cagliari, fino alla Calabria e al supporto per il Covid, e siamo ai nostri giorni. Emergency diventa una potenza di cultura di pace, di solidarietà, Strada è sempre più un guru, collabora con don Ciotti e con Maurizio Landini, ma tiene a distanza la politica, anche la sinistra. Ha un caratteraccio, è un santo laico, ma non gli giova il santino che ne fanno i suoi estimatori. Ha posizioni radicali e irriducibili, ma se le può permettere perché salva vite umane.

Ma quello che è imperdonabile per Strada è aver avuto ragione sulla guerra a dispetto dei trombettieri della «libertà duratura». Ha fatto in tempo a scriverlo per l’ultima volta: «Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre 2mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di euro. Le grandi industrie di armi ringraziano: alla fine sono solo loro a trarre un bilancio positivo da questa guerra. Se quel fiume di denaro fosse andato all’Afghanistan, adesso il paese sarebbe una grande Svizzera. Peraltro, alla fine, forse gli occidentali sarebbero riusciti ad averne così un qualche controllo, mentre ora sono costretti a fuggire».

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