Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, è stato ascoltato venerdì in audizione dalla Commissione Lavoro della Camera circa la vicenda dell’erogazione dei bonus per le partite Iva, che ha coinvolto alcuni parlamentari, nonché amministratori locali e altri soggetti. Il suo intervento, del quale ha riferito Giulia Merlo, desta più di una perplessità.

Tridico ha spiegato che il bonus, introdotto a marzo dal decreto Cura Italia, sarebbe spettato esclusivamente a coloro i quali non fossero “titolari di un trattamento pensionistico né iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie” e ha chiarito che “la linea dell’istituto, vista la situazione di emergenza, è stata: prima pagare, poi controllare”.

Questa linea può essere comprensibile, se si torna con la mente ai mesi più critici della pandemia e all’esigenza di fornire, quanto più velocemente, sostegni a coloro i quali si erano venuti a trovare in situazione di disagio.

Tridico, però, ha affermato che sono state svolte verifiche dal nucleo antifrode per vagliare la legittimità dei versamenti del bonus, com’era giusto e normale che fosse. “Basandosi sui nostri archivi” – ha aggiunto il presidente – “si attinge alla presenza o meno di altri fondi previdenziali obbligatori”, e così sono emersi “40mila soggetti che risultavano presenti e iscritti a un’altra forma di previdenza”.

A questo punto sorge la prima domanda: se l’Inps, consultando archivi che ha in casa, poteva da subito rilevare anomalie sospette – vale a dire eventuali situazioni di incompatibilità con la percezione del bonus – perché ha attribuito le somme previste, anziché sospendere l’operazione ed effettuare rapidi ed efficienti accertamenti?

È vero che c’era la necessità di erogare fondi in fretta: tuttavia, se con una semplice “query” il sistema segnalava iscritti ad altra cassa, e dunque il mancato rispetto della condizione essenziale per percepire il bonus, perché l’Inps ha versato i relativi importi, anziché evitare che essi andassero a chi non ne aveva diritto e destinarli a chi invece si trovava in una condizione di effettivo bisogno?

Tridico ha pure precisato che, per evitare comportamenti “fraudolenti”, l’attenzione è stata concentrata sugli amministratori locali, che hanno “una loro forma di previdenza”; poi “si è ritenuto che anche i parlamentari meritassero un approfondimento visto che hanno una loro gestione previdenziale interna”, riformata dopo l’abolizione dei vitalizi. Allora “sono stati attinti i dati dagli open data del Viminale e di Camera e Senato su amministratori locali e deputati e incrociati con i richiedenti i bonus”, e così sono emersi i nominativi degli oltre duemila politici che ne avevano fatto domanda.

Evidentemente la “fraudolenza” di tali soggetti – tra i quali ci sono anche sindaci di piccoli comuni che percepiscono cifre modeste, gettoni di presenza variabili in base al numero degli abitanti – è stata reputata di rilievo maggiore rispetto a quella di partite Iva che guadagnano cifre anche superiori. Ma andiamo oltre. Al presidente dell’Inps è sorto un dubbio: “Per i parlamentari non è chiaro se ci si trova davanti a un sistema previdenziale o vitalizio. Lo stiamo studiando e verificheremo, insieme a Camera e Senato, quale è la definizione giusta”. Quindi, sembra di capire che ad oggi l’Inps ancora non sappia se i politici individuati a seguito dei controlli abbiano effettivamente violato la legge.

E qui sorge un’altra domanda: in tre mesi, a partire da maggio, cioè da quando l’anomalia è stata riscontrata, Tridico cos’ha fatto? Ha conservato nel cassetto i nominativi controversi, le cui categorie di appartenenza sono state poi divulgate, tenendosi il dubbio e ha inteso dissiparlo solo ora che lo “scandalo” è scoppiato? Oppure, esattamente, quando ha cominciato a svolgere gli approfondimenti necessari per capire quale fosse la natura della previdenza dei parlamentari e se essi avessero davvero diritto al bonus?

Tre mesi sono tanti: dopo tre mesi dal riscontro dell’anomalia, ancora non è dato sapere se il versamento fosse dovuto o se le relative somme vadano restituite? Tridico ha pure detto di non aver comunicato le informazioni al ministero del Lavoro, competente nella materia, ritenendo “che il bonus fosse stato correttamente pagato e che, siccome l’Inps è un istituto autonomo, si sarebbe attivato in proprio nel caso di necessità di recuperare eventuali importi percepiti indebitamente”. Ma il pagamento non era così “corretto” se – come il presidente ha affermato - restavano comunque perplessità in punto di diritto tali da ipotizzare che si potesse poi chiederne la restituzione del bonus: allora, informarne il ministero del Lavoro - oltre al consiglio d’amministrazione dell’Inps, il 31 maggio scorso, come Tridico ha detto in audizione – sarebbe stato meglio.

C’è un altro profilo dell’audizione che merita di essere sottolineato: da essa sono rimasti delusi coloro i quali si attendevano che il presidente dell’Istituto facesse i nomi mancanti, vale a dire quelli dei parlamentari che, pur avendo richiesto il bonus, non lo avevano ottenuto (i tre che lo avevano percepito, invece, erano già noti). Ma la delusione è fuori luogo.

Tridico non avrebbe potuto divulgare i nomi perché, se è vero che la trasparenza è un valore essenziale in un ordinamento democratico e liberale, la divulgazione di dati personali riguardanti soggetti terzi può avvenire solo se c’è una base giuridica che lo consenta, cioè un fondamento previsto dalla legge: è quanto dispone il GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati.

La base giuridica è ciò che autorizza legalmente il “trattamento” di dati personali, quindi eventualmente anche la loro “comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione”: altrimenti il trattamento è illecito. Base giuridica può essere, ad esempio, una norma che preveda in maniera puntuale l’obbligo di trattamento oppure il consenso degli interessati. Ecco, non c’era alcuna “base” sulla quale Tridico avrebbe potuto fondare la comunicazione in Parlamento dell’identità dei politici coinvolti nella vicenda. Né tantomeno si comprende a quale titolo (giuridico) i partecipanti all’audizione avrebbero potuto chiederglielo: la normativa privacy funziona nei due versi.

È vero che, secondo quanto espresso giorni fa dal garante, la privacy non è d’ostacolo alla pubblicità dei dati relativi ai beneficiari del bonus, specie “rispetto a coloro per i quali, a causa della funzione pubblica svolta, le aspettative di riservatezza si affievoliscono, anche per effetto dei più incisivi obblighi di pubblicità della condizione patrimoniale cui sono soggetti”. Ma ciò non significa che i dati dei percettori del bonus, se si tratta di politici, possano essere divulgati a piacimento, dal presidente dell’Inps in questo caso: perché se è vero che il diritto alla riservatezza di questi ultimi può considerarsi attenuato, la pubblicazione di loro dati personali può avvenire solo se c’è una delle basi giuridiche previste dal GDPR che la consenta. E, infatti, Tridico in audizione non ha fatto i nomi restanti, ma ha dichiarato che della questione ha “investito il garante”, cui ha “chiesto come trattare questi dati”: evidentemente, il presidente vuole avere dall’Authority chiarimenti circa la propria legittimazione a renderli noti.

È palese il rimpallo che sta avvenendo tra garante e Inps sulla privacy: dopo che il primo ha dichiarato che essa non impedisce la pubblicità dei nomi, il secondo non ha forse saputo individuare una norma o altro titolo che gli consenta la loro pubblicazione, e così chiede al secondo come regolarsi, rimandandogli la questione, anche in vista della richiesta formale che potrà pervenirgli dalla presidente della commissione Lavoro, Debora Serracchiani.

C’è ancora una domanda. Nei giorni scorsi, il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato (Italia Viva), aveva dichiarato di aver sentito Tridico ed essere stato da lui rassicurato circa il fatto che nessun parlamentare di Italia Viva avesse percepito il bonus. Il presidente dell’Inps non ha risposto alle domande formulate al riguardo in audizione, limitandosi a dire che è una “questione personale che esula dai lavori della Camera”. Ma la questione non è “personale”, semmai personali sono i dati dei parlamentari interessati: e se sono coperti da riservatezza, non si comprende, da un lato, a quale titolo Rosato abbia chiesto chiarimenti su ciò che doveva restare tutelato (la privacy funziona nei due sensi, lo si è detto sopra); dall’altro lato, e a maggior ragione, a quale titolo Tridico gli abbia fornito informazioni.

La vicenda è destinata a proseguire. Ma dovremmo preoccuparci non soltanto dei “furbetti” del bonus, ma anche dell’efficienza delle istituzioni, che talora pare latitare. Essa è non solo velocità nel distribuire denaro, ma speditezza nel compiere pure le altre azioni necessarie al buon funzionamento dell’amministrazione e a garanzia del corretto utilizzo dei soldi pubblici. Poi chiediamoci, tra le altre cose, perché le istituzioni stesse talora acquisiscono dati personali, se sono davvero solo quelli necessari e come può capitare che quei dati siano divulgati: se la trasparenza è un valore, non è una fisima il diritto al loro trattamento secondo quanto previsto dal diritto.
 

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