C’è un tema molto concreto su cui le opposizioni possono cominciare a unire le forze: la dignità del lavoro. Le destre vogliono allargare ulteriormente le maglie della precarietà e tenere bassi i salari, indebolendo il ruolo dei sindacati: e lo propongono, per decreto, proprio il Primo maggio. Peggio. Mentre crescono i morti per lavoro (3 al giorno, in media, di cui 2 in servizio), il governo ha introdotto il subappalto a cascata e vorrebbe depotenziare le ispezioni sul lavoro, affidandole alle stesse imprese controllate: con il probabile risultato di ridurre i controlli e fare aumentare ancora di più i morti.

Queste misure strizzano l’occhio a un sistema produttivo fatto di scarsi controlli e illegalità diffusa, che pensa di poter competere, o sopravvivere, pagando poco i lavoratori e aggirando le norme. Estremizzano una visione diffusa fra le nostre classi dirigenti, che perdura da decenni. Certo è una via facile, per le imprese e per il sistema paese, ridurre i salari, o le tasse, invece di investire sull’innovazione e su tutto quel che comporta (istruzione, ricerca, un’amministrazione efficiente). Ma è una via sbagliata, perché di fronte a chi ha costi del lavoro incomparabilmente più bassi noi possiamo competere solo sulla qualità, non sui prezzi. E per questo abbiamo bisogno di lavoratori ben formati, e ben pagati, e stabilizzati, che lavorano meglio e sanno implementare le innovazioni. Non solo: i salari alti sono un incentivo affinché le imprese, e tutto il sistema paese, investano in nuove tecnologie (come è sempre avvenuto, nella storia economica). Del resto, l’Italia viene da 30 anni di compressione salariale, come nessun altro paese europeo. Non è servita: siamo anche l’economia cresciuta meno di tutto il mondo avanzato.

Oggi nel centro-sinistra c’è una consapevolezza diversa. Tutte le forze di opposizione riconoscono la necessità di istituire un salario minimo. Fra le proposte, quella di Andrea Orlando per il PD ancora la retribuzione ai contratti nazionali più rappresentativi, settore per settore, e fissa un salario davvero minimo solo dove questo non è possibile (9,5 euro lordi, a ottobre 2022; oggi con l’inflazione sarebbero 10): ha il vantaggio di valorizzare il ruolo dei sindacati e scongiurare così il rischio che, in alcuni settori, proprio il salario minimo porti a un abbassamento dei salari medi. Andrebbe affiancata da una legge sulla rappresentanza sindacale, che dia finalmente attuazione all’articolo 39 della nostra Costituzione contrastando i sindacati gialli, e da una battaglia comune per chiedere i rinnovi dei contratti, proporzionati all’inflazione.

Questo è uno dei quei casi in cui politiche per lo sviluppo e politiche per l’equità vanno insieme. E la convergenza di tutte le opposizioni può mettere in seria difficoltà le destre e la loro narrazione.

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