Integrata, biologica, industriale, biotecnologica, conservativa, biodinamica, agroecologica: tutti questi aggettivi sono  applicati all’agricoltura. Si potrebbe fare un parallelo con le decine di diete, alcune delle quali stravaganti – paleolitica, dissociata, vegana, della longevità, fruttariana – che vengono proposte a noi frastornati consumatori. Anche riguardo all’agricoltura si rischia di essere frastornati da tanti “gusti”. A volte un particolare modello di agricoltura è proposto come se fosse l’unico valido in ogni situazione, contrapponendolo agli altri. Di questi giorni, ad esempio, il dibattito acceso sull’agricoltura biodinamica e i suoi preparati a base di vesciche di cervo, corna di vacca et similia.

Chi scrive rappresenta la Società Italiana di Genetica Agraria, che annovera tra le sue file oltre 300 ricercatrici e ricercatori che si occupano di genetica e miglioramento genetico delle piante coltivate. Noi siamo convinti che l’agricoltura non vada frammentata in tante agricolture per motivi ideologici, o peggio di marketing. L’agricoltura va invece considerata in una prospettiva unitaria, per evitare che la fonte del nostro sostentamento diventi terreno di scontro. Soprattutto, le scelte in materia di agricoltura – come quelle in materia di alimentazione – devono essere basate sulla scienza e non su ideologie, mode transitorie o interessi particolari. Anche quando si parla di genetica.

Non c’è agricoltura senza genetica

Perché non c’è agricoltura senza genetica. E questo non è un dogma, è la realtà. L’invenzione stessa dell’agricoltura diecimila anni fa ha coinciso con la selezione di varianti genetiche, cioè di mutazioni, che hanno reso le piante adatte a crescere e produrre nei campi coltivati, a differenza delle piante selvatiche. Le piante così addomesticate sono poi state soggette a continui miglioramenti, soprattutto in seguito all’enorme aumento delle conoscenze e allo sviluppo tecnico avvenuti negli ultimi cento anni. Negli ultimi decenni, poi, i genetisti agrari hanno avuto a disposizione strumenti di intervento sempre più precisi e sofisticati, per ottenere caratteristiche sempre migliori di produttività, qualità dei prodotti, resistenze a malattie e stress ambientali, efficienza nel valorizzare le sostanze nutritive fornite con le concimazioni e l’acqua di irrigazione.

Un solo esempio: in Italia all’inizio del secolo scorso il frumento tenero produceva 1-2 tonnellate per ettaro, mentre oggi ne produce 5 o 6. Per lo meno il 50 per cento di questo incremento  produttivo è frutto del miglioramento genetico. Il miglioramento genetico moderno si fonda su conoscenze molto approfondite delle basi genetiche e molecolari che controllano i diversi caratteri delle piante, e perciò troviamo per lo meno sorprendente, ma anche molto preoccupante, che l’applicazione di tali conoscenze alle piante coltivate sia messa in discussione e sia diventata terreno di scontro. Se guardiamo infatti alle altre tecniche sviluppate per migliorare la produzione agricola – irrigazione, aratura, fertilizzazione, difesa chimica – è evidente come il miglioramento genetico sia l’unica che non abbia prodotto conseguenze indesiderate.

Ma veniamo alla sostenibilità dell’agricoltura, tema che sta a cuore a tutti. Dal punto di vista strettamente quantitativo, oggi l’agricoltura produce abbastanza per sfamare l’intera umanità, ma questo non basta al raggiungimento dell’obiettivo di eradicare la fame, sancito dal Millennium Development Goal n. 1. Infatti, condizioni locali come instabilità politica, guerre o estrema arretratezza economica costituiscono un ostacolo ancora insormontabile. Tuttavia questo argomento non giustifica l’asserzione che l’aumento della produttività agricola non sia una priorità. Quando nel 2050 la popolazione mondiale avrà raggiunto i 10 miliardi di persone, sarà necessario produrre, globalmente, almeno il 50 per cento più di oggi.

L’intensificazione sostenibile

Come quindi realizzare un incremento produttivo di tale portata senza che aumenti in modo insostenibile il suo impatto sulla deforestazione, sulla perdita di fertilità del terreno, sul consumo di acqua, sull’inquinamento dell’ambiente, sui cambiamenti climatici, anzi possibilmente riducendolo? La risposta sta nell’intensificazione sostenibile. Si tratta di produrre di più su ogni ettaro coltivato, senza compromettere la fertilità del terreno e la salubrità dell’ambiente. Per far questo occorre tanta ricerca, secondo il bello slogan “più conoscenza per ettaro”. La sfida è enorme, come è facile intuire.

Per realizzare questo ambizioso ma essenziale obiettivo uno degli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione è proprio il miglioramento genetico, che punta ad adattare le piante all’ambiente, e non viceversa. Da alcuni anni abbiamo anche la possibilità di intervenire sui geni e sulle sequenze che li regolano, in modo mirato, preciso, flessibile, veloce e relativamente poco costoso, utilizzando le metodologie molecolari che abbiamo chiamato Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA). Esse infatti mimano i meccanismi di modificazione genetica che avvengono spontaneamente e che sono alla base dell’evoluzione di tutte le specie viventi. La più recente di queste metodologie si fonda sulle scoperte che hanno portato all’assegnazione del premio Nobel per la chimica a Jennifer Doudna e Isabelle Charpentier nel 2020.

Bandita l’evoluzione assistita

La grande novità risiede nel fatto che  per selezionare nuovi caratteri non è più necessario contare solo sulla comparsa o sulla induzione di mutazioni casuali, tra le quali  poi selezionarne faticosamente le poche utili.  Conoscendo le sequenze dei tratti di Dna che compongono i geni e avendone definito la funzione, possiamo intervenire con precisione ed ottenere  le caratteristiche desiderate. La duttilità delle TEA consente di adattare questo approccio a tutte le colture cruciali del made in Italy, preservando e valorizzando l’enorme agrobiodiversità che caratteristica l’agricoltura del nostro Paese.

Questo tipo di intervento sulla composizione genetica delle piante produce varietà diverse dagli Ogm, così come definiti dalle normative attuali, nei quali sono stati introdotti geni da organismi di specie diversa.

Molti Paesi stanno già utilizzando le TEA per il miglioramento genetico delle piante, convinti del fatto che i prodotti ottenuti non presentano rischi per la salute e per l’ambiente maggiori rispetto alle piante attualmente coltivate. Purtroppo attualmente l’Unione Europea equipara i prodotti delle TEA agli Ogm, sottoponendoli ad una regolamentazione talmente restrittiva da rendere le TEA in pratica non applicabili.  La comunità scientifica europea attraverso le sue società scientifiche e accademie si è mobilitata affinché l’incongruenza di una normativa fondata sulle conoscenze di oltre un ventennio fa sia emendata e consenta anche all’Europa di applicare le metodologie più avanzate per un’agricoltura attrezzata ad affrontare efficacemente le sfide poste dalla sostenibilità e dai cambiamenti climatici. È quindi cruciale che la politica e l’opinione pubblica si rendano conto che è in gioco il futuro dell’agricoltura europea. Sempre che l’Europa non preferisca essere sostenibile solo a parole, naturalmente.

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