L'inchiesta che sta terremotando il Vaticano fa un salto di qualità. La procura di Roma ha infatti ordinato ieri perquisizioni a catena in mezza Italia, a imprenditori ed ex funzionari della Santa Sede. Tutti coinvolti a vario titolo nella presunta truffa da 200 milioni di euro del palazzo di Sloane Avenue.

La Guardia di Finanza e gli uomini della Gendarmeria (che hanno avuto il permesso di partecipare all’operazione) hanno bussato alla porta dell’ex economo a Palazzo Apostolico Fabrizio Tirabassi e di alcuni suoi parenti, dei finanzieri Enrico Crasso e Raffaele Mincione, e del professor Renato Giovannini. Hanno sequestrato computer, documenti e device elettronici.

Escluso Giovannini, gli indagati «sono indiziati per peculato, corruzione, truffa, riciclaggio e autoriciclaggio ed estorsione». Era fatto noto. Ma leggendo il decreto di perquisizione firmato a luglio dai pm di papa Francesco, si scopre ora che alcune fonti avrebbero per la prima volta parlato espressamente di tangenti e commissioni illecite.

Gian Piero Milano e Alessandro Diddi preferiscono non svelarne i nomi. «Sono state escusse numerose fonti probatorie tra le quali alcune - che per motivi di cautela vengono qui individuate con i nominativi “Alfa, Beta e Gamma” - hanno concordemente confermato che Fabrizio Tirabassi ed Enrico Crasso, con la mediazione di alcuni soggetti (Giovannini e Filippo Notarcola, quest'ultimo dirigente del fondo Azimut) hanno preteso e ricevuto somme di denaro nell'ambito della complessa vicenda dell'immobile di Londra».

Non sappiamo chi siano i testimoni segreti. È certo che Gianluigi Torzi, il raider arrestato in Vaticano lo scorso giugno, ha collaborato con gli inquirenti. Anche monsignor Alberto Perlasca, ex braccio destro del cardinale Angelo Becciu, ha rilasciato a verbale dichiarazioni considerate rilevanti.

MISTERO A DUBAI

Ma cosa ha detto la fonte «Alfa» da far scattare l’operazione di ieri? «Tirabassi mi ha raccontato che tramite Andrea Negri venivano incassate delle commissioni su una società avente sede a Dubai, che poi questa provvedeva a suddividerle tra Crasso e Tirabassi. Sempre a detta di Tirabassi, ad un certo punto Mincione non ha più versato queste commissioni alla società di Dubai e anche per questa ragione sarebbe sorto il problema di interrompere i rapporti con Mincione», ha spiegato ai promotori di giustizia. Il testimone tira di in ballo presunte mazzette, che gli sarebbero state confessate dallo stesso Tirabassi.

In più, fa il nome di uno dei più importanti dirigenti di Credit Suisse in Europa: Andrea Negri, che non risulta indagato, è infatti uno dei capi dell'equity della banca svizzera, l'istituto che gestisce da decenni i fondi extrabilancio della Segreteria di Stato.

Vedremo se le voci riportate da “Alfa” saranno supportate da evidenze. Così come sarà necessario, per il Vaticano, ricostruire la nuova pista che porta a Dubai. Dall'entourage di Mincione negano con forza che siano mai state pagate fee a Crasso e Tirabassi tramite società mediorentali. Gli unici bonifici che Mincione, tramite la lussemburghese Athena Capital, avrebbe fatto verso l’emirato sarebbero infatti stati quelli «del tutto leciti» a favore di Ivan Simetovic. Un ex manager di Mediobanca con passaporto di San Marino che avrebbe messo in contatto il finanziere con Crasso, allora manager di Credit Suisse.

Simetovic, socio della Aspigam International DWC di Dubai, avrebbe in effetti avuto un'origination fee da Mincione, in quanto gli avrebbe consentito di entrare in contatto con i dirigenti di Credit Suisse, e di conseguenza di entrare in seguito in affari con la Santa Sede. In tutto la mediazione girata a Simetovic varrebbe finora – a quel che risulta a Domani - due milioni di euro, pagati a rate alla una holding Aspigam.

Facendo i conti della serva si tratterebbe di circa il due per cento del valore del merge sul palazzo londinese, in cui inizialmente la Segreteria di Stato – per volere dell'allora Sostituto Becciu - investe duecento milioni di dollari. La commissione finale sarebbe dovuta essere più alta: ma le success fee erano legate all’andamento del fondo Athena, e i pagamenti si sarebbero interrotti in conseguenza dei risultati negativi della sicav lussemburghese.

Nulla di strano, dice dunque Mincione. Ora, però, gli inquirenti vogliono chiarire come mai i manager di Credit Suisse, che da lustri gestiscono il patrimonio del Palazzo Apostolico, nel 2012-2013 chiamino proprio lui. «Becciu aveva chiesto all'istituto elvetico un piano d'investimento da 200 milioni di dollari per comprare una quota di una piattaforma petrolifera in Angola.

Credit Suisse non aveva la compliance aziendale per fare da advisory su un business di questo tipo, e così mi contattarono», ripete Mincione ai suoi avvocati». Ma il deal angolano non si fece mai: Mincione propose di collocare i 200 milioni nell'immobile di Sloane Avenue che proprio lui aveva comprato qualche tempo prima.

ARRIVA IL PROFESSORE

Per i pm di Francesco altre due fonti, chiamate Beta e Gamma, avrebbero evidenziato a verbale «un asse tra Tirabassi e Crasso» per ottenere commissioni a favore del funzionario vaticano, mentre «Alfa» sostiene pure che «nell'ambito delle vicende di Londra ad occuparsi delle richieste economiche per conto di Tirabassi era stato demandato Renato “Il Professore”, vale a dire Renato Giovannini. Sempre Alfa ha riferito che un ruolo fondamentale» lo ricoprì «anche Filippo Notarcola del fondo Azimut».

Mincione ha sempre negato di conoscere Giovannini, né di sapere nulla di Azimut. Si vedrà. Il nome del professore era certamente stato citato in una lettera che l'attuale sostituto Edgar Pena Parra inviò a marzo dell'anno scorso all'Aif, l'Autorità di informazione finanziaria vaticana, in merito all'entrata in scena di Torzi.

Quest’ultimo – anche lui indagato per aver estorto al Vaticano, dicono Diddi e Milano, 15 milioni di euro - sostituì Mincio nella gestione del palazzo a novembre 2018: «Il dottor Gianluigi Torzi fu presentato per il tramite dell’avvocato Manuele Intendente di Ernst&Young e del professor Renato Giovannini, rettore vicario dell’Università degli studi “Guglielmo Marconi”, a loro volta introdotti dal dottor Giuseppe Milanese» scrive Pena Parra. La trama è intricatissima, e gli sviluppi - anche in base ai risultati delle perquisizioni - impossibili da prevedere.

 

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