Al Consiglio di stato è scoppiata una nuova guerra civile. Una battaglia combattuta con dossier e denunce in procura, tra accuse di raccomandazioni ed esposti per calunnia. Una vicenda che rischia di riportare palazzo Spada al centro della scena mediatica e, soprattutto, dell’attenzione delle procure: se è noto che l’organismo più importante della giustizia amministrativa sia scosso da tempo da scandali (legati alle inchieste romane sulla rete di magistrati corrotti dall’ex avvocato dell’Eni Pietro Amara), Domani ha ora scoperto un altra ferita. Aperta dal violento conflitto tra il presidente Filippo Patroni Griffi e il consigliere del Tar del Lazio Dauno Trebastoni.

Presunte pressioni

La storia comincia a metà dello scorso dicembre. Trebastoni, che risulta indagato per corruzione in atti giudiziari a Catania, è da tempo sotto procedimento disciplinare davanti al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, e rischia una sospensione dal servizio. Qualche giorno prima della sua audizione prevista il 18 dicembre, il consigliere decide di prendere carta e penna, chiedendo che Patroni Griffi si astenesse dal procedimento. O, in subordine, che fosse addirittura ricusato dai colleghi. Per quale motivo? Per i suoi rapporti Amara e il suo socio Giuseppe Calafiore, coindagati con lo stesso Trebastoni in una delle due inchieste della procura catanese in cui il giudice del Tar è accusato di corruzione.

«Con il presente atto intendo proporre istanza di astensione e/o formale ricusazione del presidente Patroni Griffi nell’ambito del procedimento avviato nei miei confronti» scrive Trebastoni lo scorso 15 dicembre. «Dalle informazioni in mio possesso risulta che negli scorsi anni il presidente ha intrattenuto rapporti – di un tipo che, laddove provati nelle opportune sedi, avrebbero rilevanza penale – con gli avvocati Amara e Calafiore, dai quali egli avrebbe “preteso” l’assunzione di una donna, tale Giada Giraldi», con cui – si legge ancora nella denuncia – Patroni Griffi avrebbe al tempo avuto una relazione.

Un’accusa grave che il magistrato basa esclusivamente sulle dichiarazioni che Amara ha rilasciato ai suoi avvocati, incaricati di effettuare indagini difensive. «Conosco Filippo Patroni Griffi perché un giorno di alcuni anni fa, nel 2017, venne a cercarmi lui, e pretese da me che continuassi a far lavorare una giovane donna con la quale lui aveva una relazione, tale Giada Giraldi, che sapeva io conoscevo» dice in effetti Amara il 14 dicembre 2020 in un verbale allegato all’istanza «Tale richiesta mi venne formulata nei pressi di un ristorante di Roma che si trovava vicino al mio studio di via della Frezza alla presenza dell’avvocato Calafiore».

Alla domanda su cosa facesse la Giraldi per le sue aziende, l’ex legale dell’Eni (che ha recentemente patteggiato varie condanne per corruzioni in atti giudiziari) aggiunge: «La signora lavorò per una mia società, la Dagi srl, per tutto il 2017 per svolgere le mansioni di addetto alle relazioni esterne, che in realtà non ha mai svolto, ma per le quali è stata pagata 4-5mila euro al mese». Quando i difensori gli chiedono allora i motivi dell’assunzione della donna, e soprattutto come mai «il presidente era in condizioni di “pretendere”» da Amara che continuasse a farla lavorare», l’imprenditore rifiuta di rispondere. «Al momento non posso dire di più, avendone riferito da tempo in altre sedi». Contattato da Domani, Amara conferma quanto già detto nel verbale, ma spiega di non voler aggiungere altro.

«È una calunnia»

Secondo il consigliere indagato se Amara raccontasse la verità Patroni Griffi non potrebbe occuparsi dei procedimenti disciplinari a suo carico perché potrebbe avere «quell’“interesse proprio” a cui l’articolo 323 del codice penale, nel punire l’abuso d’ufficio, fa riferimento nell’imporre l’obbligo di astensione».

La strategia di Trebastoni va però molto oltre il suo caso specifico. Perché attraverso l’istanza ipotizza che il capo della giustizia amministrativa italiana, un pubblico ufficiale, si sia macchiato di possibile concussione. Possibile mai? «È solo una vendetta», ha detto infatti Patroni Griffi ai suoi amici, spiegando che nulla di quanto scritto dal consigliere sia vero. Così, appena il documento infamante è arrivato via mail alla segreteria del Consiglio di presidenza, Patroni Griffi ha prima chiamato l’avvocato Paola Severino (i due si sono conosciuti quando erano entrambi ministri nel governo Monti), e poi ha depositato presso la procura di Roma un duro esposto contro Trebastoni. Nella denuncia il presidente nega ogni addebito, spiegando di aver sì frequentato per qualche tempo la Giraldi tra il 2016 e il 2017, ma di avere intrattenuto con lei solo relazioni amicali. Soprattutto, ha detto di non aver mai avuto alcun incontro con Amara e Calafiore, né al bar né al ristorante né in altri luoghi. «In effetti non ricordo nemmeno se li ho mai conosciuti di persona», ha ribadito a uomini del suo entourage. Ovviamente, Patroni Griffi contesta qualsivoglia pressione, ad Amara o chicchessia, affinché continuasse a far lavorare alla Dagi srl la Giraldi.

La donna (che chi scrive ha provato a contattare senza successo) è un’esperta in pubbliche relazioni, ed è già nota alle cronache: nel 2018 il suo nome è spuntato nell’inchiesta sull’ex mr Wolf di Virginia Raggi Luca Lanzalone, l’ex presidente di Acea arrestato per corruzione in merito all’affare del nuovo stadio della Roma. Lanzalone, a cui la pierre era a un certo punto legata, l’aveva fatta assumere alla multiutility capitolina con un contratto di consulenza da 55mila euro l’anno. Finito nella polvere il suo dante causa, l’Acea e la Giraldi (mai indagata) hanno rescisso consensualmente il contratto.

Chi mente?

Dopo l’accusa e la controdenuncia, la partita tra Trebastoni e Patroni Griffi è tutta da giocare. È vero che il presidente si è poi astenuto in merito alla sospensione, proprio come chiedeva il consigliere. Ma non a causa dell’istanza infamante, ma perché - dopo la denuncia in procura - l’inimicizia tra i due è dato acclarato, e l’astensione obbligatoria. L’iter a Palazzo Spada contro il consigliere Trebastoni è comunque andato avanti: qualche giorno fa l’adunanza generale del Consiglio di stato ha dato il via libera all’unanimità alla sospensione cautelare del giudice, che ora deve essere confermato solo dal voto dell’organo di autogoverno della magistratura amministrativa. A quel punto, fosse dato l’ok definitivo a quanto deliberato, Trebastoni non potrà più esercitare le funzioni di consigliere Tar Lazio. Almeno fino all’esito del processo chiesto dai pm di Catania.

Che l’istanza di Trebastoni sia solo un modo di bloccare il procedimento disciplinare attraverso una vendetta contro chi lo ha promosso, o al contrario racconti una vicenda oscura che se confermata potrebbe travolgere il presidente, lo potranno stabilire solo i magistrati di Piazzale Clodio. Perché delle due l’una: o mente Amara, le cui dichiarazioni sono state usate come una clava dal consigliere indagato, o mente Patroni Griffi.

Secondo Trebastoni, di Amara e Calafiore bisognerebbe fidarsi. Anche se in Sicilia tutti credono che il gruppetto sia intimo, tanto che la sorella di Trebastoni, Samantha, è stata in passato assunta proprio da Amara, per il giudice i legali non sarebbero «due indagati qualunque: nel 2018, dopo essere stati arrestati, con le loro dichiarazioni hanno fatto arrestare importanti magistrati amministrativi, come il presidente Raffaele Maria De Lipsis o Giuseppe Mineo» conclude Trebastoni nell’istanza «Sono stati e sono tutt’ora al centro di importanti inchieste; notoriamente, stanno collaborando con numerose procure».

A sostegno della sua tesi, il consigliere cita proprio il pm di Catania Fabio Regolo. Lo stesso che lo ha indagato per corruzione in atti giudiziari in due filoni d’inchiesta, uno trasformatosi in una richiesta di rinvio a giudizio e l’altro (quello che coinvolge i due legali siciliani) in una domanda di archiviazione. Nella quale Regolo segnala come «Amara e Calafiore hanno reso dichiarazioni eteroaccusatorie (contro terzi, ndr) davanti agli uffici giudiziari di Roma, Messina e Palermo tutte riscontrate. Al momento devono ritenersi soggetti che stanno collaborando con la giustizia, e non vi è motivo per ritenere che non siano collaborativi e non credibili».

Ora nel mirino di Amara c’è finito nientemeno che il numero uno di Palazzo Spada. Vedremo se si tratta di una mera calunnia, o se ci saranno altri colpi di scena.

 

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