Gli Stati Uniti sono determinati a trovare una via d’uscita. Il segretario di Stato Antony Blinken ha fatto ieri una visita a sorpresa in Cisgiordania, (per poi fare tappa, altrettanto a sorpresa, a Baghdad) dove ha incontrato il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, o Abu Mazen, per cercare una strada per ristabilire la pace con Israele.

Blinken, riporta la Cnn, ha insistito sulla fine della «violenza estremista» contro i palestinesi nella regione e sull’intenzione degli Stati Uniti di impegnarsi a vigilare. Abbas ha ribadito che i palestinesi di Gaza «non devono essere sfollati con la forza» e ha chiesto un immediato cessate il fuoco. Poi ha aggiunto che l’Anp «si assumerà tutte le sue responsabilità» per la Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza ma nel quadro «di una soluzione politica globale».

Lo scambio è arrivato dopo l’incontro di Blinken sabato ad Amman per discutere della guerra in corso tra Israele e il movimento palestinese Hamas con i ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Qatar, e il segretario del comitato esecutivo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina. Lo scambio a sorpresa con Abu Mazen è di fatto un passo concreto di quanto già preannunciato. Pochi giorni fa Blinken aveva parlato esplicitamente al Congresso dell’idea di «rivitalizzare» l’Autorità affinché «avesse il governo», e arrivare così alla soluzione di uno stato palestinese.

Il segretario di Stato Usa si è quindi spostato in Turchia. Lì «sottolineerà l'importanza di proteggere la popolazione civile in Israele e nella Striscia di Gaza», e discuterà «dei meccanismi per arginare le violenze, ridurre le tensioni regionali» è stato comunicato in una nota.

Il rischio che il conflitto si estenda preoccupa gli Stati Uniti. Nel pomeriggio è stato confermato che il capo dell’ufficio politico del movimento islamista palestinese Hamas, Ismail Haniyeh, nei giorni scorsi è stato ricevuto dalla guida suprema dell’Iran, ayatollah Ali Khamenei.

A quanto riferito, l’Iran sostiene «la necessità di un’azione seria da parte dei paesi islamici e delle organizzazioni internazionali a sostegno della popolazione di Gaza». Alcuni senatori Usa hanno annunciato che intendono introdurre una risoluzione bipartisan che ammonisca l’Iran a non espandere il conflitto di Gaza in una guerra regionale più ampia.

In serata la Santa Sede ha confermato che papa Francesco ha chiamato il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi.

I problemi di Netanyahu

Israele dal canto suo vede la posizione politica interna di Netanyahu farsi sempre più complessa. Sabato sera, un gruppo di manifestanti in protesta davanti alla sua residenza ufficiale di Gerusalemme ha chiesto le sue dimissioni.

Nelle ore successive il premier ha avuto problemi anche con il suo esecutivo, al punto da dover sospendere il ministro per la tradizione ebraica Amichai Eliahu «da tutte le sedute del governo, fino a nuovo ordine», dopo che in un’intervista a una radio religiosa il ministro non aveva escluso il ricorso ad armi atomiche a Gaza. Eliahu è un dirigente del partito di estrema destra Potere Ebraico e il suo leader, Itamar Ben Gvir, ha commentato che si trattava solo di «una metafora». Il premier ha però spiegato che le parole del ministro sospeso «non hanno fondamento nella realtà».

Ancora vittime

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Di fatto, gli equilibri internazionali ancora non si sono trovati, e decine di persone sono state uccise e molte altre sono rimaste ferite in un’esplosione avvenuta nella tarda serata di sabato al campo profughi di Al-Maghazi e nel pomeriggio di domenica a Bureij, nella parte centrale della Striscia. Il ministero della Sanità di Gaza retto da Hamas, ha riferito che il bilancio delle vittime del conflitto è salito a 9.770 morti, di cui 4.880 minori, e 26 mila feriti.

Secondo l’emittente televisiva qatariota Al Jazeera, in Cisgiordania ci sono altri 152 morti e 2.100 feriti. Hamas continua ad accusare Israele di bombardare vicino agli ospedali. Il computo delle vittime in Israele è di 4.105 morti e 5.600 feriti. Il gruppo sciita libanese Hezbollah ha riferito della morte di altri due suoi combattenti, portando a 60 il computo delle vittime dei combattimenti con le Forze di difesa di Israele. Martedì sarà trascorso un mese da quando è esploso il conflitto, il 7 ottobre, e il numero delle vittime continuerà a salire.

Il numero di giornalisti rimasti uccisi ha raggiunto una cifra che non si vedeva da decenni. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) con sede a New York, si tratta di almeno 36 giornalisti e operatori dei media sono morti. La guerra tra Israele e Hamas, segnalano, è diventata di fatto il periodo più mortale per i reporter che si occupano di conflitti da quando il Cpj ha iniziato a documentare le vittime della stampa, nel 1992. Ieri pomeriggio se ne è aggiunta ancora un’altra.

L’appello

A mezzogiorno, all’ora dell’Angelus, papa Francesco ha fatto un appello: «Vi prego di fermarvi, in nome di Dio: cessate il fuoco!», ha chiesto gli aiuti umanitari per Gaza, e che vengano liberati gli ostaggi da Hamas. Ma il leader israeliano Netanyahu, non ha intenzione di concedere alcuna pausa: «Non ci sarà il cessate il fuoco senza il ritorno dei nostri ostaggi, lo diciamo sia ai nostri nemici che ai nostri amici. Noi continueremo finché non li batteremo». Nel pomeriggio, come ormai ogni giorno, sono state date alcune ore per fare spostare i cittadini di Gaza verso sud. L’esercito di Israele stima che le forze nella Striscia di Gaza circonderanno completamente Gaza City entro 48 ore e inizieranno poi i combattimenti all'interno della città.

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