Virginia Raggi ha vinto le elezioni amministrative per il comune di Roma proponendosi come sfidante di un sistema di potere. Adesso quel sistema l’ha ricostruito intorno a sé. La sindaca, che alla fine del primo anno da prima cittadina confermava che non avrebbe cercato la rielezione per rimanere fedele al limite dei due mandati stabilito dalle regole del Movimento 5 stelle (era già stata consigliera di opposizione), si avvia alla campagna elettorale con un netto cambio di tono. In molti sollevano dubbi su questa nuova veste: anche perché in cinque anni Raggi non ha saputo fare squadra e ha eliminato, uno alla volta, chi ha criticato le sue decisioni. L’altro problema centrale che indicano diverse fonti è la mancanza di linea: spesso incapace di stabilirla lei stessa, la sindaca ha dovuto fare affidamento sulle indicazioni dei vertici del M5s. Che a volte sono mancate.

La consiliatura

Chi raccoglierà il testimone della prima sindaca del M5s, anche se fosse la stessa Raggi, dovrà senz’altro mettere mano a una serie di dossier rimasti aperti. Ai grandi classici di Ama (che gestisce lo smaltimento dei rifiuti), Atac (fornitrice di trasporti pubblici) e Roma metropolitane si aggiunge in prospettiva anche il Giubileo. Sono stati previsti fondi anche nel Pnrr, ma chi ha familiarità con la materia spiega che è già troppo tardi per realizzare un tavolo congiunto con i ministeri coinvolti per gestire la questione con un piano organico. Con l’intervento del governo si poteva sperare, per esempio, in uno strumento legislativo che aggirasse i tempi delle procedure ordinarie. Un problema ricorrente che secondo molti addetti ai lavori contribuisce a rallentare gli interventi sulla città. Ma la soluzione non è la creazione di “Roma regione”, come è stato proposto nelle ultime settimane. Certo, la prospettiva di un accesso diretto ai fondi europei come è previsto per le amministrazioni regionali è estremamente attraente, ma sarebbero anche tante le responsabilità aggiuntive che chi governa la città si dovrebbe accollare.

Per quanto riguarda il resto, mentre per Ama sono stati appena stanziati 256,4 milioni di euro (106,4 di rinuncia a crediti e 150 di disponibilità liquide, di cui 100 di capitale sociale), per Atac, che era stata salvata all’ultimo con un concordato preventivo, e Roma metropolitane, è arrivata per la sindaca una convocazione della Corte dei conti a fine aprile. A preoccupare sono i costi gonfiati ed evitabili che emergono dai bilanci, ma anche la mancanza di strategia, soprattutto nel caso della partecipata che si occupa della realizzazione della terza linea della metropolitana della capitale: se nel 2019 si era valutata la liquidazione della società, in grosse difficoltà per i debiti accumulati, nel 2020 si parlava di risanamento.

La leadership

Un atteggiamento erratico che si ritrova anche nella gestione delle questioni emerse nel corso della consiliatura e nella mediazione tra le diverse posizioni interne al partito. Chi ha lavorato con Raggi la descrive come una sindaca incapace di guidare la giunta e di creare una collaborazione stabile e proficua tra i suoi assessori. Se ne sono avvicendati quindici in tre anni: tecnici e politici, alcuni cacciati, altri andati via di proposito.

Della squadra originaria di Raggi rimane soltanto Linda Meleo (che comunque ha cambiato delega nel corso dei numerosi rimpasti, dalla Mobilità ai Lavori pubblici). Gli ultimi ad andar via sono stati l’ex fedelissimo Daniele Frongia, partito addirittura come vicesindaco che oggi ha trovato un posto da vicecapo di gabinetto della ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone, e Luca Bergamo, assessore alla Crescita culturale e successivamente anche vicesindaco, fino a gennaio scorso. Entrambi si sono trovati costretti a lasciare dopo un confronto diretto con la sindaca, da cui sono usciti con posizioni troppo lontane per poter essere conciliate. Le incomprensioni hanno segnato anche il rapporto con tanti consiglieri capitolini di maggioranza. Se Raggi non è riuscita a imporsi come leader per la giunta, lo stesso vale per il Movimento cittadino: molti consiglieri si sono sentiti esclusi dalle discussioni di merito. Oggi in tanti lamentano di non aver mai avuto modo di confrontarsi con la sindaca. Contemporaneamente l’inquilina del Campidoglio non ha saputo far rispettare la propria linea: il risultato sono una serie di vicende piene di “inversioni a u” e cambi di posizione repentini. Un esempio su tutti la questione della Casa delle donne, un consorzio di associazioni per la promozione dei diritti delle donne. Mentre la giunta era impegnata a cercare una soluzione che evitasse lo sfratto, la consigliera Gemma Guerrini aveva depositato una relazione per dimostrare il fallimento del progetto. Stesso discorso per lo screzio col Cinema America, una rassegna cinematografica estiva, quando sempre Guerrini si era lanciata in una disputa con gli organizzatori in dissenso con la linea della sindaca. La consigliera nel frattempo ha lasciato (insieme a molti altri, ultimo in ordine di tempo il presidente dell’assemblea Marcello De Vito) il gruppo del Movimento a palazzo Senatorio. Resta però agli atti l’incapacità di Raggi di dettare la linea ai suoi assessori e al suo gruppo, che da maggioranza bulgara si è ridotto a maggior componente dell’assemblea, dove però con 24 voti (incluso il suo) su 49 consiglieri non ha i numeri sufficienti per governare.

La candidatura

Sulle questioni di merito Raggi ha fatto fatica a difendere la propria linea, quando l’aveva, e soffriva di fronte alla prospettiva di dover prendere decisioni, ma l’annuncio della sua ricandidatura ha sbaragliato tutti. Per primi i suoi assessori, ma anche i maggiorenti del Movimento. Se alla fine il suo nome ha avuto la meglio su quello di Nicola Zingaretti, che sembrava essere l’anello di congiunzione tra Giuseppe Conte ed Enrico Letta, è merito dell’intervento di Luigi Di Maio: il ministro degli Esteri non è un sostenitore accanito della sindaca, ma in una partita interna a lunghissimo termine aveva tutto l’interesse di impedire a Conte di portare a casa il successo di una candidatura congiunta. Raggi infatti si muove lungo altre direttrici nel Movimento. I suoi punti di riferimento sono Alessandro Di Battista e Davide Casaleggio, ma anche il rapporto con Barbara Lezzi è consolidato.

Se le amicizie nel partito si contano sulle dita di una mano, in Campidoglio non va meglio. Chi ha assistito all’intera consiliatura racconta come i rapporti di Raggi si siano deteriorati in fretta anche con i colleghi storici: intorno a lei rimangono pochi fidati. Persino gli assessori che le erano vicini, Pietro Calabrese alla Mobilità, Andrea Coia al Commercio e Antonio De Santis alle Risorse umane non hanno più l’intesa di una volta con la sindaca. A essere ormai plenipotenziario del Campidoglio è Teodoro Fulgione, storico portavoce di Raggi, ex cronista Ansa. È lui il confidente più stretto e gestisce innanzitutto rapporti con i maggiorenti del Movimento. Ma il suo potere va ben oltre la mediazione col partito, tanto che da portavoce è passato a presentarsi come «consigliere politico» e tra chi frequenta il Campidoglio si è guadagnato il soprannome di «sindaco». La sua influenza è evidente se si guarda ai rapporti tra comune e Vaticano.

Il ruolo

Fulgione è cattolico conservatore vicino ad ambienti ratzingeriani. Dopo aver promesso in campagna elettorale che la chiesa avrebbe iniziato a pagare l’Imu, nel suo mandato Raggi non ha mai trasformato la promessa in realtà. La sindaca ha anche avuto rapporti tormentati con la comunità Lgbt: nessuna interlocuzione con le associazioni, nessun invito. Chi conosce la questione da vicino spiega che l’intenzione era quella di sfruttare la potenzialità di un filo diretto con il Vaticano in chiave elettorale, ma Oltretevere la sindaca non ha mai goduto di troppi consensi, tanto che al primo appuntamento per l’organizzazione del Giubileo è stato invitato soltanto il presidente della regione Zingaretti.

Oggi è con Fulgione che Raggi sta elaborando la strategia da mettere in campo nella campagna elettorale estiva che ancora stenta a decollare. Nelle ultime settimane l’inquilina del Campidoglio ha tentato di proporre un’immagine nuova di sé, ammettendo errori e rivolgendosi di fatto all’elettorato che era di Ignazio Marino. «Lavorando qui dentro ho capito un po’ di cose e posso dire che Marino è stato molto avversato dai suoi, che sono andati persino dal notaio per sfiduciarlo perché stava provando a cambiare le cose», ha detto. Uno spunto che può essere letto in chiave strategica. Dopo il fallimento della trattativa con il Pd, la sindaca si sta ponendo in contrasto soprattutto con Roberto Gualtieri (e con Matteo Salvini, che però non ha ancora un candidato da presentare), ma Raggi gioca con il fuoco. Puntare sull’appoggio automatico dell’elettorato di centrosinistra a un eventuale secondo turno contro un candidato di destra non è decisamente una scommessa già vinta, considerati i rapporti quantomeno tesi con il Pd romano (e nazionale) e l’appoggio che si assottiglia continuamente anche all’interno del partito. Se la sindaca può ancora governare e se alle prossime elezioni non si vedrà sottrarre preziosi voti Cinque stelle è solo perché i cinque consiglieri “ribelli” riuniti intorno al presidente della Commissione mobilità del Campidoglio Enrico Stefàno hanno scelto di tener duro fino a fine consiliatura e non presenteranno una lista alternativa, come si era vociferato fino a poco fa. La strada della determinata Raggi, insomma, è in salita e ora sarà impossibile dire che è tutta colpa di chi c’era prima.

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