Oggi, il capo politico ad interim del Movimento 5 Stelle Vito Crimi presiederà la prima riunione per decidere come e quando si svolgeranno gli “stati generali”, il congresso che porterà alla scelta dei nuovi capi politici del Movimento e in cui si cercherà di ristabilire l’identità del partito, appannata dalle divisioni interne e della sconfitte.

Un momento di riflessione e riorganizzazione del partito è diventato particolarmente urgente dopo la disfatta alle regionali di questa settimana. Il Movimento è andato male in Toscana, Veneto, Marche e Liguria e ha perso centinaia di migliaia di voti in Campania e Puglia, due regioni che fino a un anno fa erano il suo principale serbatoio di voti. Il disastro è stato di tali proporzioni da far dimenticare la vittoria del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari, la principale battaglia politica combattuta dal Movimento negli ultimi anni.

Dopo la sconfitta, tutti i principali leader del partito hanno chiesto di convocare quanto prima gli “stati generali”. Ma in cosa consisterà questo congresso, quando si svolgerà, in quali modalità e che cosa produrrà non è ancora chiaro. I vari leader e le molteplici correnti in cui si divide il Movimento 5 Stelle hanno idee molto diverse in proposito e la stessa integrità del Movimento appare oggi in bilico.

In pochi si sarebbero immaginati che Crimi avrebbe ricoperto un ruolo così centrale in questo passaggio così delicato. Riservato e discreto, Crimi, un 48enne di Palermo, ex assistente giudiziario alla Corte d’appello di Brescia, eletto per la prima volta nel 2013, non ha né la popolarità né il carisma degli altri leader del Movimento. La nomina a capo politico gli è arrivata quasi per caso, quando lo scorso 22 gennaio il suo predecessore Luigi Di Maio si è dimesso. Crimi, membro più anziano del comitato di garanzia del Movimento, ne è diventato automaticamente il successore in virtù delle regole dello statuto.

Nonostante il suo carattere apparentemente dimesso, da tempo i giornali attribuiscono a Crimi ambizioni di comando. In passato si è ipotizzato che puntasse a rimandare per sempre gli “stati generali” o che volesse risolverli con una semplice votazione online su Rousseau, il portale del Movimento controllato dal suo alleato Davide Casaleggio. Lui ha sempre smentito queste ricostruzioni. Già un mese prima delle elezioni assicurava al Foglio che «dopo le regionali Crimi non sarà più il capo».

Fino ad oggi, il ruolo di guida del Movimento è stato per lui quasi esclusivamente fonte di delusioni, bocconi amari e colpi bassi da parte dei suoi colleghi. Lo scorso gennaio, appena quattro giorni dopo essere stato nominato capo politico ad interim, è arrivata la sconfitta del Movimento in Calabria e soprattutto in Emilia-Romagna, dove il partito è sceso al 3,5 per cento, un quarto di quanto aveva raccolto nel 2014 e la metà di quanto aveva preso nel 2009.

Nei mesi successivi, quando si dovevano organizzare le alleanze in vista delle elezioni di questa settimana, Crimi si è trovato tra l’incudine dei leader nazionali del partito, che volevano allearsi con il Pd ovunque fosse possibile per rafforzare il governo di cui fanno parte, e gli attivisti locali, che respingevano l’ipotesi di accordi. Crimi ha quasi sempre scelto i secondi, a volte in aperto contrasto con il suo predecessore Di Maio e opponendosi anche al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Quando alla fine di agosto Conte era tornato a parlare di possibili alleanze in Puglia e nelle Marche, Crimi era stato secco e in un’intervista con il Corriere della Sera gli aveva indirettamente risposto: «No, la questione è chiusa da tempo».

Di Maio non gli ha perdonato questa opposizione. Già durante la campagna elettorale aveva attaccato la gestione delle alleanze e questa settimana ha ribadito le sue critiche. «Non ne faccio mistero - ha detto Di Maio martedì - L'ho sempre detto che potevano essere organizzate diversamente, con un'altra strategia».

Crimi però può contare su alcuni alleati. Il più importante è Davide Casaleggio, presidente dell’Associazione Rousseau, la società che controlla il sistema usato dal Movimento per tenere conto degli iscritti al Movimento, fornirgli una serie di servizi ed effettuare votazioni online. Ma ultimamente Rousseau e Casaleggio sono finiti sempre più di frequente sotto attacco da parte dei parlamentari del Movimento.

Poche settimane fa, un gruppo di loro ha pubblicato una lettere chiedendo di rescindere lo strano rapporto che lega Rousseau al Movimento. La piattaforma non è un semplice servizio fornito dalla Casaleggio Associati al partito, ma ha un suo ruolo stabilito dallo statuto del Movimento. In risposta, Casaleggio ha diffuso agli iscritti una mail con i nomi di tutti gli eletti in ritardo con il pagamento dei 300 euro mensili che sono tenuti a versare per il mantenimento della piattaforma. Crimi ha preso posizione accanto a Casaleggio: “Davide è un pilastro”, ha detto in un’intervista.

Tra i suoi alleati, Crimi può contare in qualche misura anche su Alessandro Di Battista, anche lui vicino a Casaleggio e in rotta di collisione con il resto del partito. Nel corso della campagna elettorale, Di Battista, come lo stesso Crimi, si è schierato con gli attivisti locali contrari all’accordo con il Pd. In tutta la campagna elettorale ha tenuto un unico comizio, in Puglia, e ha attaccato duramente il presidente della regione uscente, Michele Emiliano (che ha poi vinto anche senza l’appoggio del Movimento), un gesto non gradito dai leader del Movimento che contavano in una vittoria di Emiliano per rafforzare il governo. Crimi, invece, lo ha difeso.

Gli “stati generali” inizieranno in questo clima di tensioni e recriminazioni e per il partito saranno il momento più difficile della sua breve storia. Sette anni fa, Crimi è stato il primo capogruppo del Movimento. Se questa fase delicata dovesse sfuggirgli di mano potrebbe diventarne anche l’ultimo capo politico.

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