«Io non volevo parlare tutto il giorno di medicine e monoclonali, io volevo rimpinzare mio figlio di sofficini e patatine fritte, volevo essere una madre di merda». Lina, giovane madre caregiver di un bambino con una rara malattia genetica, mi spiazza.

Per giorni il questionario proposto dal comune di Nettuno ai caregiver per valutare il loro livello di stress è stato al centro di furiose polemiche. Qualcuno lo ha trovato duro o indelicato per via di domande come: “Quanto ti vergogni del tuo familiare disabile?”.

In realtà, oltre ad essere un questionario standard utilizzato dalla comunità scientifica dal 1989, ci sono tantissimi caregiver che invece hanno trovato le domande centrate, giuste. In molti mi hanno scritto raccontandomi le loro esperienze di accudimento fuori da ogni ipocrisia, ammettendo la rabbia, la vergogna, la fragilità.

Tra questi, appunto, c’è Lina, una donna di Genova che mi ha raccontato con coraggio i sentimenti contrastanti che la pervadono ogni giorno, nel suo difficile ruolo di caregiver del figlio R., di 4 anni.

Come inizia la tua storia di caregiver?

Ho due figli, S. che è la più grande, e R.. Quest’ultimo è nato al Gaslini nel 2018, dopo una gravidanza perfetta. Il bambino però, appena mi è stato dato in braccio, mi è parso rosso in maniera anomala, sembrava che soffrisse nel venire toccato.

Cosa ti dicevano?

Qualche infermiera mi ha detto che ero piena di paranoie, ma io non sono una mamma chioccia, sentivo che qualcosa non andava.

Finchè?

Finché non si accorgono che in effetti non sta bene. Andiamo al Centro Malattie Rare del Policlinico di Milano dove gli hanno fatto l'esame genetico.

Che cosa gli è stato diagnosticato?

La frase del dermatologo è stata: «Complimenti, avete pescato nel cappello delle rarità, ci sono circa 30 casi di questa malattia in tutto il mondo». Vai a vedere su Internet “sindrome di Sam” e ti metterai le mani nei capelli.

In cosa consiste?

In una dermatite gravissima, associata ad allergie di ogni genere, diciamo che R. potrebbe bere solo acqua. 

Altri problemi?

Quello cognitivo. Un disturbo dell'attenzione. È una scheggia impazzita, è iperattivo. Sinceramente, quando ho letto quella domanda del questionario: vi vergognate? Io sì. Io me ne vergogno perché io non riesco a stare in società con mio figlio senza vergognarmi.

Per cosa per esempio?

L’ultima. Domenica eravamo a un matrimonio. Lui è stato tutto il tempo a tirare calci al ghiaino che c'era nei vialetti sporcando tutti, tirando sassi e terra addosso a chiunque. Alla gente non è che gli puoi spiegare, far vedere la cartella clinica.

Cosa vi dite con tuo marito?

Io e mio marito da quando è nato R., praticamente se riusciamo a comunicare senza azzannarci è già un miracolo.

E S., la sorellina?

È diventata sorella maggiore quando aveva sei anni, ora ne ha 10. Era felice di avere un fratellino e la sua vita è cambiata, ma non come pensava. Lo adora, ma si rende conto che tante cose le perde, per dire, una stupidaggine: in questo periodo, se R. non avesse la malattia, ci faremmo l'abbonamento in piscina e ce ne staremmo in piscina tutto il giorno. O al mare. Invece non si può.

Quindi è una vita fatta di tante rinunce e problemi continui?

Sì, specie nel periodo in cui ha iniziato a imparare a grattarsi.

Cioè?

Lo dovevamo tenere bendato. Dal gomito in giù e dal ginocchio in giù lui era sempre bendato come una mummia, perché si grattava così tanto che si levava la pelle e poi aveva delle infezioni. E la notte non si dormiva. Mai.

Come era il tuo stato d’animo in quei momenti?

Non voglio mentire. Io avrei fatto qualunque cosa, dal farmi fuori io, al far fuori lui. Ci avrei messo niente. Per fortuna in quel periodo avevo deciso di andare da uno psichiatra, mi ha prescritto farmaci. Poi mio marito era all'estero per lavoro, ero sola, la sera, quando andavo a letto per me era un tormento perché durante il giorno, bene o male passava, ma la notte...

Cosa facevi?

Si stava svegli. Nervosismo. Stanchezza. A volte alzavo le mani, non sapevo più cosa fare, ero disperata. Non ero preparata a questo.

A cosa eri preparata?

Non lo so. So che avrei preferito essere una mamma di merda e riempire i miei figli di McDonald's, di sofficini e patatine fritte. Mi dicono che sono una roccia, una super mamma. Cosa ho di speciale? Che non lo faccio marcire? E cosa dovrei fare? Non è solo che io voglio aiutarlo. Io devo.

È tuo figlio.

Certo. Voglio che stia bene come voglio che stia bene sua sorella. Però con lui devo fare l’infermiera 24 ore su 24.

Cosa è rimasto di te, della tua vita di prima?

Nulla. Dopo che è nato R. ho preso 15 kg. Sono arrivata a quasi 80 kg su un metro e 60, avevo dolori ovunque, ora sono a dieta.

Hai smesso di pensare a te.

Io non mi vedo più come individuo, ho un'amica che ha una bambina malata, lei si fa le unghie, i capelli, si veste bene. Io la mattina mi alzo, mi butto nell'armadio, e quello che capita capita.

Perché?

Se mio figlio non può avere una vita normale, mi sento quasi in colpa io ad avercela.

Quali sono i pensieri più negativi che hai oggi?

Ci sono quei giorni in cui continuo ad augurarmi la morte o a pensare che a questo punto sarebbe meglio se morisse, così almeno forse riusciremmo a ritornare alla vita di prima. Poi mi passa, ma mi dispiace.

Nel questionario c'era una domanda rivolta ai caregiver che era: pensi che stai perdendo un pezzo di vita?

La gente magari programma di fare questo o quello il prossimo anno, poi, che so, perde il lavoro e in vacanza non ci va. Però è una situazione transitoria. La mia è definitiva. Non è una polmonite, un raffreddore. È un problema genetico, quindi è per sempre. L’idea soprattutto all’inizio mi levava il respiro. Avevo questa sensazione di… di essere fregata.

Di essere trappola.

Esatto.

Ti senti in colpa quando hai pensieri negativi?

Certo. Perché comunque lui è un bel bambino, è simpatico, è un mattacchione. Quando viene nel lettone e si addormenta, lo guardo e dico : poverino. Lui non ha nessuna colpa. E allora per me è ancora peggio, perché mi sento pessima a pensare certe cose.

Ti dici mai “non ce la faccio”?

Alle volte mi incazzo perché gli altri pensano che sia scontato che ce la faccia, litigo con mia mamma, con i miei amici. Mi sento dire cose come “sei brava, un’altra madre si sarebbe già arresa!,” Loro mi dicono ‘ste cose pensando di motivarmi, invece mi sento sfigata. Piuttosto fatemi due teglie di lasagne che me le congelo.

Il rapporto con tuo marito ne ha risentito, dicevi.

Diciamo che siamo una coppia sulla carta. Sicuramente ci vogliamo bene, però l'arrivo di R. ha sfasciato tutto. Anche perché io, come come donna, te l'ho detto, mi sono completamente annullata, ho cessato di esistere e sono arrabbiata.

Lo stato ti aiuta?

R. ha la legge 104, quindi abbiamo un sussidio economico. Devo comprare da sola vari dispositivi medici.

Ti fai aiutare da qualcuno ogni tanto?

No.

Perché no?

Mi sembra di buttare via dei soldi. Con l’indennità di accompagnamento pago le creme e altro, poi cerco di non usarli tutti perché penso boh, non si sa mai un domani che succederà, penso al suo futuro incerto.

Lina, nel tuo ruolo di caregiver tu sei stata investita da un'onda gigantesca che ha coinvolto il tuo stato psicologico, la tua quotidianità, la tua individualità. E questo è difficile da comprendere per chi commenta con faciloneria che quella del caregiver è una missione eroica, appagante. Cosa diresti a queste persone?

Che la mia, la nostra di tutti i caregiver non è una missione ma, come dicono qui,  è “o bere o affogare”. Io avevo due scelte: impegnarmi per far stare meglio possibile mio figlio o farla finita subito. Ancora a volte penso: al Gaslini non si potevano fare i fatti loro? Magari il bambino sarebbe morto. E’ terribile. Mi succede quando vedo tante cose storte nella nostra vita e nella sua vita. Mi dico: che senso ha andare avanti così?

Poi però il senso, alla fine, lo trovi.

Sì, però la superficialità da chi giudica non la accetto. Io dico sempre: se non sai cosa dire, taci. Se voi, in situazioni più fortunate non capite cosa voglia dire avere un bambino con milioni di problemi, essere un caregiver tutto il giorno e la notte senza tregua, vi prego: state zitti.

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