Il 25 settembre ogni voto è fondamentale, ma 5 milioni di potenziali elettori rischiano di finire involontariamente nel calderone degli astenuti. Secondo le stime, infatti, questo è il numero dei cosiddetti “fuorisede”, per studio o per lavoro: residenti nella loro città di origine ma domiciliati temporaneamente in altri luoghi.

Per votare dovranno rientrare nel comune in cui sono iscritti alle liste elettorali. Moltissimi di loro, però, rinunceranno per difficoltà logistiche ma anche economiche. Gli obblighi di studio e lavoro, infatti, rendono difficili se non impossibili gli spostamenti. Soprattutto se lontani.

Tornare a casa

La data è particolarmente infausta per gli studenti, perché fine settembre è il momento della sessione d’esami straordinaria e delle lauree. Inoltre i fuorisede possono accedere solo ad agevolazioni parziali sui prezzi dei mezzi di trasporto pubblico, solo sulle compagnie aeree di bandiera e su Trenitalia, con riduzioni del 70 per cento del biglietto sui Frecciarossa e del 60 per cento sui treni regionali. Non solo, in queste elezioni politiche si vota in un solo giorno – domenica 25 settembre - e anche questo sfavorisce la possibilità di tornare a casa per chi deve sostenere un lungo viaggio di andata e ritorno per votare.

Risultato: nella massa dei non votanti vanno considerati anche questi astenuti “involontari”, in prevalenza giovani, che non potranno esercitare un proprio diritto per cause di forza maggiore. Con un paradosso: gli studenti e i lavoratori italiani all’estero potranno partecipare alle elezioni grazie al sistema del voto a distanza.

Il problema è annoso e se ne discute a ogni tornata elettorale. La soluzione sarebbe a portata di mano con il meccanismo già sperimentato del voto a distanza anche dentro i confini nazionali, che è previsto in tutti i paesi europei tranne appunto l’Italia, Malta e Cipro.

La petizione

Per provare a sbloccare la situazione, i parlamentari di +Europa Emma Bonino e Riccardo Magi hanno presentato una interrogazione per chiedere al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, di intervenire e hanno lanciato una raccolta firme per sostenere l’iniziativa. «Non possiamo lamentarci della scarsa partecipazione dei giovani alla vita politica e poi non permettergli di votare dove vivono», dicono.

«Ovvio che servirebbe una legge ordinaria ma, dati i tempi strettissimi, stiamo premendo per un intervento urgente ad hoc», chiarisce Magi. L’appello è arrivato anche dal Consiglio nazionale dei giovani, organo consultivo per l’interlocuzione con le istituzioni creato nel 2018.

La presidente Maria Cristina Pisani ha detto che «ci sono ancora i tempi per trovare una soluzione che consenta ai nostri ragazzi fuorisede di esprimere la propria preferenza politica» e sottolineato che la mancanza di mezzi alternativi al voto “analogico” è una delle «principali cause dell’astensionismo involontario che porta troppi ragazzi e ragazze a non partecipare al voto per motivi indipendenti dalle proprie scelte». Inutile quindi lamentarsi della incomunicabilità tra i più giovani e la politica, se in un mondo fatto di collegamenti digitali e di smart working non si permette loro di votare in via telematica o a distanza.

Anche l’associazione non profit The good lobby nei mesi scorsi ha lanciato una raccolta firme, che ha superato le 20mila sottoscrizioni e che chiede di allineare le regole italiane a quelle europee, rimuovendo gli ostacoli al voto di chi non si trova nel comune in cui è residente.

In giugno il Comitato genovese “Io voto fuori sede” – che segue la vicenda dalle elezioni del 2018 e dopo le mancate risposte della politica – ha notificato il ricorso civile contro la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno, con l’obiettivo di un rinvio alla Corte costituzionale e la dichiarazione di incostituzionalità dell’attuale legge elettorale, nella parte in cui ostacola il diritto di voto dei fuorisede. La crisi di governo, però, è arrivata troppo presto: la prima udienza davanti al tribunale di Genova si svolgerà solo l’11 novembre.

Le mancate risposte

In questi anni, i governi che si sono succeduti hanno tutti preso impegni per correggere il meccanismo e molti disegni di legge sono stati presentati in parlamento. Tuttavia, alla prova dei fatti, nessuno di loro è mai riuscito ad arrivare all’aula. Accantonati nel cassetto delle questioni non prioritarie delle varie legislature, vengono ricordati ogni volta che il problema di ripropone in occasione delle elezioni, siano esse amministrative, politiche o europee.

Al momento in commissione Affari costituzionali alla Camera c’è la proposta di legge a prima firma della democratica Marianna Madia che prevede “Disposizioni per l’esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza, in caso di assenza per motivi di studio, lavoro o cura, e delega al governo per la sperimentazione di sistemi telematici di votazione”. Il testo, presentato a marzo 2019, è il più vecchio della legislatura, a cui sono poi stati abbinati analoghi disegni di legge presentati da M5s, Azione e Italia viva. Per tutti, però, l’iter è fermo all’esame in commissione dal maggio 2021.

Ora che mancano meno di due mesi al voto, le speranze che il sistema venga modificato con una legge ordinaria sono pressoché inesistenti. Il problema è tecnico: improbabile che si riesca ad approvare una legge a procedimento elettorale avviato, con un governo in carica che procede solo per l’ordinaria amministrazione e le camere ormai dimissionarie. Strettissima è anche la strada dell’intervento urgente richiesto da +Europa.

Salvo iniziative clamorose, dunque, tutto rimarrà com’è: chi intende votare lo farà con le stesse modalità del 2 giugno 1946, con matita copiativa su scheda cartacea, rigorosamente nel seggio della città in cui si è residenti.

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