Il fine settimana doveva servire a trovare una soluzione dopo lo psicodramma della prima giornata di legislatura e l’elezione del presidente del Senato, Ignazio La Russa, senza Forza Italia.

Silvio Berlusconi è rimasto in silenzio, mentre Giorgia Meloni è intervenuta per ricordare il rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, parlando di «monito per tutti» e di «vile e disumana deportazione di ebrei romani per mano della furia nazifascista». Una presa di posizione istituzionale su un tema sensibile per la tradizione ex missina e dopo le polemiche con l’opposizione sul tema del fascismo.

Intanto, la distanza tra i due leader sembra ancora incolmabile. Personale ancora prima che politica.

Il gioco, però, è delicato: questa è la settimana della verità per la coalizione di centrodestra, il Quirinale inizierà le consultazioni e Meloni dovrà dimostrare di essere all’altezza del compito che le hanno consegnato gli elettori. Eppure, quella che in campagna elettorale sembrava una distanza soprattutto di programma tra alleati, ora si sta dimostrando una distanza anche di metodo.

Forza Italia divisa

Proprio il metodo è la principale critica di Berlusconi a Meloni: lui che è stato il primo federatore del centrodestra «mai si sarebbe sognato di comportarsi così», dice chi gli sta parlando in queste ore. In altre parole, mai avrebbe umiliato un suo alleato e mai avrebbe posto veti ad personam come quello che Meloni ha fatto calare su Licia Ronzulli, bocciata per qualsiasi ruolo ministeriale.

Se molti dei suoi parlamentari vorrebbero uscire dalla diatriba Ronzulli sì-Ronzulli no e andare oltre, il leader ancora non si sarebbe rassegnato. Anche i figli, Piersilvio e Marina Berlusconi, sarebbero intervenuti per provare a far ragionare il padre e con loro anche la vecchia squadra di consiglieri capitanata da Gianni Letta e progressivamente allontanata da Ronzulli.

L’obiettivo a cui sta lavorando soprattutto il coordinatore Antonio Tajani e quello di riportare il sereno nella coalizione: già sarebbe riuscito a evitare l’esclusione dal governo dei senatori che non hanno votato La Russa, salvando così in particolare Anna Maria Bernini. Ora è necessario convincere Meloni a non infierire, dando un ministero in più alla Lega che già ha ottenuto la Camera e squilibrando così i rapporti di forza. Una spalla nel fronte opposto sarebbe il presidente del Senato Ignazio La Russa, che non serba rancore nei confronti di Berlusconi e si sta adoperando per trovare una soluzione che eviti altre mosse inconsulte.

Foto Mauro Scrobogna/LaPresse

Il timore, infatti, è che Berlusconi non intenda fare passi indietro e si lasci convincere da chi, in questi giorni, ha messo in giro la voce di Forza Italia pronta ad andare da sola alle consultazioni al Quirinale.

Oggi dovrebbe avvenire un incontro chiarificatore direttamente tra Meloni e Berlusconi, in modo da risolvere di persone tutti i nodi aperti e discutere le eventuali compensazioni che la leader è disposta a concedere a FI. Alla viglia dell’incontro, è Guido Crosetto in un’intervista al Quotidiano Nazionale a dare un consiglio al Cavaliere che spiega la posizione di FdI: «Berlusconi dovrebbe scegliere, per il governo, le persone con il metro con cui ha fatto fortuna nelle sue aziende: selezionando i migliori tra tutti».

In settimana, poi, verranno eletti anche i capogruppo e tutte le attenzioni torneranno sul Senato, per capire se Ronzulli otterrà l’incarico e dunque, nell’ipotesi in cui davvero FI andasse da sola alle consultazioni, anche udienza al Quirinale.

I dilemmi di Meloni

Meloni, intanto, continua a lavorare alla squadra di governo e a riempire caselle. La sua posizione politica rispetto alla crisi con FI rimane sempre la stessa: nessun piano B e nessuna ipotesi di altre maggioranze diverse da quella che si è presentata alle urne. Confida nel fatto che FI non si impiccherà sul nome di Ronzulli – che deve difendersi anche dai nemici interni – perdendo così quella che probabilmente sarà l’ultima occasione di governo con questo assetto di partito.

Se così non fosse, l’estrema conseguenza sarebbe un ritorno al voto, con l’aspettativa di un risultato ancora più solido. L’ipotesi per ora è considerata lunare, ma anche solo arrivare a pensarla dà la dimensione della tensione interna.

Meloni, infatti, non intende cambiare linea nè farsi dettare l’agenda dagli alleati, ha trovato un accordo soddisfacente con la Lega e ora deve chiudere quello con FI, ma il tempo è sempre di meno e ogni colloquio produce nuovi nomi al vaglio per i ministeri e nuovi incastri da valutare.

Lo stallo attuale è esattamente l’opposto di quel «si deve correre» che la leader ripete ad ogni occasione. E il tempo è sempre meno per licenziare un governo in tempi rapidi.

 

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