Nessuno in aula al Senato parla delle ultime misure per ridurre i contagi, approvate domenica scorsa dal Consiglio dei ministri, e su cui il presidente Giuseppe Conte è venuto a riferire. È un dibattito surreale. Il Dpcm varato appena tre giorni fa è stato travolto dai fatti, da un contagio che il governo non si aspettava così fuori controllo e che si è trovato a inseguire.

L'ultimo testo, infatti, è stato varato quando si contavano 11.705 casi, oggi sono oltre 15mila, 3.500 in più. Le previsioni di medici e statistici sono pessime, il tasso di raddoppio dei contagi in una settimana spaventa. Mezzo governo, da Roberto Speranza a Dario Franceschini passando per il commissario Domenico Arcuri, spinge per nuove misure, già a partire da questo weekend. Conte resiste, e intanto rimane incastrato dai tempi farraginosi delle istituzioni che lo portano a riferire in parlamento su un documento scritto tre giorni fa e che sembra già preistoria, travolto dalle ordinanze regionali e dall'aumento dei ricoveri in terapia intensiva.

Davide Faraone, capogruppo di Italia viva, lo fa capire chiaramente: «Prima di una nuova stretta dobbiamo compiere il nostro dovere fino in fondo con tutte le iniziative possibili». Un dialogo kafkiano, nel quale l'oggetto della discussione, il Dpcm di domenica, semplicemente non esiste. Conte dice che è stato necessario «in presenza di una recrudescenza del virus, ormai in atto da alcune settimane» e che in quelle prossime «l’attenzione deve essere altissima». Nel dibattito che ne segue c'è chi fa prediche all'esecutivo di ignorare i parlamentari, chi attacca su Mps, chi si esercita in punta di diritto sul Mes, chi sventola mascherine chirurgiche tra gli scranni, chi ne approfitta per attaccare vecchi alleati di governo. «Uno sfogatoio», ripete più volte il senatore Pier Ferdinando Casini.

In difesa

L'intervento del premier è iniziato mettendo le mani avanti: «In ragione dell'urgenza e del repentino aggravamento della situazione non è stato purtroppo possibile illustrare in via preventiva in parlamento» il nuovo Dpcm. L'assemblea lo ascolta annoiata: ha già letto il decreto, sono giorni che nei corridoi governativi si parla di nuove misure che potrebbero arrivare nel weekend, le pagine dei giornali sono piene di ipotesi. Diversi senatori Cinque stelle non nascondono via sms la loro poca attenzione quando gli si chiede cosa pensano del discorso di Conte, le risposte in batteria sono le stesse: «Non lo so, non sto seguendo».

Sull'ipotesi di una nuova stretta nel fine settimana, palazzo Chigi in giornata dirama una smentita che però di fatto non lo è: «Si tratta soltanto di mere ipotesi che non trovano alcun fondamento allo stato attuale». È tutto “vincolato” all’andamento della curva epidemiologica, che però è già in forte aumento. In ogni caso, si affrettano a dire dal governo, «non si può escludere che possano essere adottati nelle prossime settimane altri provvedimenti, ma non significa affatto che siano state già prese delle decisioni o nuove misure». I senatori questo lo sanno. Alan Ferrari del Pd in aula parla tra le righe, ma nemmeno troppo: «Progressività non significa per forza lentezza e non significa per forza unilateralità. Davanti abbiamo possibili interventi restrittivi. Abbiamo sostenuto per diversi mesi che dovevamo imparare a gestire pandemia e, addirittura, a convivere con il virus. Siamo alla dura prova dei fatti. È questo il punto politico di questa informativa. Dobbiamo provare a dare agli italiani alcuni punti fermi». Parte qualche applauso. Il messaggio è chiaro: servono norme più incisive per evitare il lockdown generalizzato. Prima di lui l'ex Cinque stelle Gianluigi Paragone sventola una delle mascherine chirurgiche in distribuzione, le chiama «fetecchie» perché di bassa qualità. Parla della privatizzazione di Mps, qualunque cosa c'entri.

La scuola non si tocca

Conte ha tenuto a dire che «le attività scolastiche continueranno in presenza», in osservanza a un testo ormai travolto dalle diverse ordinanze regionali. I senatori che siedono di fronte a lui lo sanno e lanciano moniti perché non si vada in ordine sparso. La Campania le ha già chiuse in parte, Piemonte, Lazio e Lombardia stanno disponendo un aumento sostanziale della didattica a distanza. Faraone avverte: «Sulle scuole non sbandiamo come in Campania, penso a tutte le ore che dirigenti scolastici e docenti hanno passato a mettere in sicurezza gli ambienti. Se, pronti via, una regione decide di chiudere avremmo trasmesso un messaggio di frustrazione a quegli insegnanti».

Immancabile il siparietto Lega-M5s. Prima il senatore Pasquale Pepe attacca la tempistica con cui il premier è venuto a riferire alle Camere: «Stiamo discutendo l'informativa su un Dpcm adottato giorni fa, già sappiamo che nelle prossime ore e nei prossimo giorni ci sarà un altro Dpcm. Questo non è sinonimo di efficienza ma di confusione e di improvvisazione da parte di questo governo». Risponde il Cinque stelle Marco Pellegrini che, tra encomi alla maggioranza di governo e frecciate politiche, accusa in un lungo soliloquio i governatori delle regioni guidate dai leghisti – ma senza mai nominarli – di aver avvantaggiato la sanità privata a discapito di quella pubblica. «Vogliamo un paese in cui per curarci bene occorre essere ricchi? Dove non hai soldi e non puoi andare dal dentista?». E via dicendo. Lo sbeffeggia un ironico Ignazio La Russa (FdI) invitandolo a cena per spiegargli come funziona la sanità convenzionata e quanto beneficio trae il settore da politiche concorrenziali. Incalza lo stesso Conte: «Negli ultimi mesi avete speso 100 miliardi in attesa che arrivasse la seconda fase, beh ora diteci come li avete spesi».

Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia, cerca di riportare il dibattito alla realtà: «Lei, presidente, ci propone il testo di un dpcm già firmato, già predisposto, già varato, su cui ha fatto una telefonata cinque minuti prima di una conferenza stampa. Le prometto che non glieli spoileriamo i provvedimenti. Non la facciamo prima di lei la conferenza stampa. Però, per piacere, ci dica con un po' di anticipo i contenuti dei suoi provvedimenti, magari prima di chiuderli, per permetterci di proporre misure che potrebbero servire al paese». Nella maggioranza sono tutti consapevoli che il testo di cui in teoria si dovrebbe discutere fa già parte del passato. «Rafforziamo la collaborazione istituzione ce lo diciamo da tempo», dice Vasco Errari di Leu che aggiunge: «Affermiamo un principio, ovvero che la responsabilità è collettiva, della Repubblica nel suo insieme, non dello stato, delle regioni o dei comuni».

I gruppi chiedono in coro a Conte di non arrivare a un nuovo lockdown generalizzato. «Ora tutti dicono che la seconda ondata era del tutto prevedibile, e volete anche che vi ricordo le dichiarazioni di qualche mese fa? Per carità di patria, non lo faccio, mi sono impegnato a non fare polemica. Ma sappiate che è troppo facile diventare "imparati” il giorno dopo. È elementare, Watson!». Si spengono le luci a Palazzo Madama, i senatori sciamano verso le uscite. «Lo sfogatoio» ha regalato qualche piccolo momento di visibilità («Siamo in diretta con la Rai», ha ricordato in apertura la presidente Elisabetta Casellati), ognuno, a modo suo, ne ha approfittato. Appuntamento al prossimo Dpcm.

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