Per il ministero delle Infrastrutture e per il suo attuale titolare (per ora incolpevole) Matteo Salvini, ma anche e forse soprattutto, come spiegheremo, per la premier Giorgia Meloni, la lettera dell’Autorità dei trasporti è serenamente classificabile come uno schiaffone.

«Continua a non essere chiaro», scrive il segretario generale Guido Improta, «quale organo dello stato abbia deciso, con quale strumento e su quali presupposti giuridici, come trattare i cosiddetti ristori Covid per il settore autostradale, a partire dal concessionario Aspi».

Chi e perché ha deciso di riconoscere alle concessionarie autostradali (tutte, non solo Autostrade per l’Italia) i ristori Covid che il governo Conte aveva stanziato per proteggere dall’effetto della pandemia soprattutto le imprese più piccole e fragili?

Chi ha deciso e in base a quale legge di riconoscere alla sola Aspi 900 milioni di ristoro Covid, cioè di rimborsarle fino all’ultimo euro i minori ricavi del 2020 e del 2021 rispetto al risultato 2019, cioè l’ultimo anno prima della pandemia?

Addebito agli automobilisti

Ci sarebbero molte altre domande da fare, ma basti il dettaglio più sconcertante. Mentre i ristori Covid ai comuni mortali sono stati pagati dallo stato attingendo alla fiscalità generale in base a un decreto legge emergenziale della primavera 2020, i ristori Covid alle concessionarie autostradale li pagheranno gli utenti al casello per i prossimi anni: in pratica, nel caso di Aspi, si addebitano agli automobilisti, da qui fino a fine concessione (2038) i pedaggi che non hanno pagato quando erano costretti dal lockdown a stare a casa.

Immaginiamo il caso di un bambino nato il 10 aprile 2010 che ha compiuto dieci anni durante il primo lockdown (marzo maggio 2020) e che prenderà la patente a fine 2028.

Fino al 2038, per i suoi primi dieci anni da automobilista, ogni volta che imboccherà un’autostrada sarà tassato al casello per rimborsare alle concessionarie i pedaggi che nel 2020 e nel 2021 suo padre non ha pagato quando era ai domiciliari per il lockdown.

Ciliegina finale: gli automobilisti e gli autotrasportatori dovranno pagare 900 milioni spalmati sui pedaggi da qui fino al 2038 a una società, Aspi, che pretende di essere rimborsata dei minori ricavi 2020 e 2021 dopo aver chiuso il bilancio 2021 con 682 milioni di utile netto.

Chi può aver concepito una norma così assurda? Nessuno, ci suggerisce la lettera dell’Autorità dei trasporti, perché una legge non c’è.

La decisione l’ha presa due anni fa, in piena autonomia, il direttore generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali Felice Morisco, l’uomo a cui la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli ha affidato la gestione operativa delle grane autostradali.

Il 5 ottobre 2020 ha scritto a tutte le concessionarie la lettera con cui ha dato formalmente inizio alla giostra dei ristori Covid.

La lettera comincia in un modo che vale la pena centellinare come versetti della Bibbia per quanto è intrisa di significati nascosti: «Si fa riferimento alle precedenti interlocuzioni inerenti le procedure di aggiornamento dei Piani economici finanziari nellambito delle quali è emersa l’esigenza di considerare gli effetti di natura straordinaria prodotti dall’emergenza sanitaria da Covid-19, considerati come causa di forza maggiore dall’Autorità di regolazione dei trasporti nei pareri e nelle delibere da essa emanate».

Traduzione: Morisco (il concedente) parla con le concessionarie che chiedono soccorso perché le autostrade si sono svuotate e loro sono abituate a fare profitti miliardari senza sforzo apparente. Poi si chiama in causa l’Autorità dei trasporti come fonte del diritto ai ristori, dando inizio allo scambio di lettere velenose che non si è più fermato fino a quella del 19 ottobre scorso da cui siamo partiti.

Si noti che quando è stata istituita l’Autorità, la lobby dei Benetton ha ottenuto che non gli fosse affidata la vigilanza sulle concessioni autostradali già in essere, lasciandola ai rodati amici del ministero.

E infatti Improta, nella lettera del 19 ottobre, avverte Morisco: «Si sottolinea che, come più volte già evidenziato dall’Autorità, l’inclusione in tariffa (dei ristori Covid, ndr), in termini di ammissibilità, rimane nella esclusiva responsabilità dei concedenti».

Come soci

Prosegue dunque Morisco nella lettera del 5 ottobre 2020: «In coerenza con le disposizioni del governo per la gestione dell’emergenza, questa Direzione generale ha avviato un confronto con codeste società per la definizione delle problematiche connesse alla gestione del rapporto concessorio».

Il risultato del confronto, cioè un dialogo in cui pubblica amministrazione e imprese private dialogano alla pari, più che altro come se fossero soci, viene poi così descritto: le società concessionarie «hanno segnalato l’esigenza di procedere ad una ponderata valutazione delle misure compensative connesse alla straordinaria riduzione dei transiti».

La "ponderata valutazione delle misure compensative" sfocia nella richiesta all’Autorità dei trasporti di indicare i criteri di calcolo della perdita di fatturato, cosa che l’Autorità fa, «a titolo di mera collaborazione istituzionale» fermo restando che rimane al ministero la decisione di dare o non dare i ristori Covid secondo le indicazioni di legge.

Per quanto riguarda Aspi, sono già stati inseriti nei piani tariffari i ristori riferiti al primo periodo di pandemia, da marzo a giugno 2020, pari a oltre 500 milioni a fronte di una perdita di fatturato di 594 milioni nella prima metà del 2020 rispetto al primo semestre 2019.

Il decreto legge che concedeva i ristori alle imprese limitava il «contributo a fondo perduto», per le società più grandi, al 10 per cento della perdita di fatturato. Per cui, «in coerenza con le disposizioni del governo», Morisco avrebbe dovuto concedere ad Aspi non 500 ma 50 milioni da spalmare sulle tariffe future.

In realtà la formula «in coerenza con le disposizioni del governo» non significa niente, se non che il dirigente Morisco ha ritenuto di allinearsi allo spirito delle leggi concedendo a sua discrezione alle concessionarie autostradali di rifarsi sugli utenti futuri dei mancati ricavi 2020 e 2021.

Senza calcolare che, per esempio, l’articolo 25 del decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020, cosiddetto decreto sostegni, riservava i ristori del minor fatturato ad aziende con fatturato fino a 5 milioni di euro, mentre Aspi li ha ottenuti dalla lettera di un dirigente ministeriale avendo non 5 milioni ma quattromila milioni di fatturato.

Il dilemma del governo

Ed è ciò che l’Autorità dei trasporti imputa a Morisco nella lettera del 19 ottobre, rilevando come la discussione attuale (con Aspi che minaccia azioni legali contro il governo se non sblocca i ristori Covid per il secondo semestre 2020 e per il 2021 e il collegato aumento tariffario del 3,12 per cento dal 1 gennaio 2023) avviene «in assenza di una espressa previsione normativa di carattere generale volta a mitigare gli effetti economici derivanti sul settore autostradale dall’emergenza epidemiologica».

La grana è dunque sulla scrivania di Salvini ma anche di Meloni. Il presidente del Consiglio ha tuonato per anni dall’opposizione contro la gestione della vicenda Aspi da parte dei governi Conte prima e Draghi poi.

Adesso si trova in eredità l’obbligo di decidere se sottoscrivere l’iniziativa di Morisco e regalare ad Aspi 900 milioni di futuri pedaggi a spese degli automobilisti. Oppure se fare a Morisco la stessa domanda dell’Autorità dei trasporti: quale legge ti ha ordinato di promettere alle concessionarie autostradali i ristori Covid integrali a spese degli automobilisti?

Si tratterebbe insomma di chiudere la porta in faccia ad Aspi, che però non è più dei Benetton ma della statale Cassa depositi e prestiti e dei fondi stranieri Blackstone e Macquarie che l’hanno pagata 8,2 miliardi mettendo nel conto anche i 900 milioni in arrivo. Comunque vada, si avvererà la profezia di Woody Allen: «Prevedo sconvolgimenti, prevedo disastri… Peggio: prevedo avvocati».

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