Una manovra con il bilancino per non sforare il budget previsto e tentare di preservare i delicati equilibri politici della maggioranza. La missione che si è data Giorgia Meloni si annuncia complicata, visti i tempi che si fanno sempre più stretti e la dotazione di 400 milioni di euro, prevista dal governo per le modifiche in parlamento ma insufficiente per sfamare gli appetiti di tutti gli alleati.

La stragrande maggioranza degli interventi, insomma, dovrà essere immaginata a saldo zero. E per tenere a bada le tensioni, la maggioranza ha cercato di adottare il bilancino anche in materia di emendamenti alla legge di Bilancio, ripartendoli sulla base della consistenza dei gruppi.

Emendamenti con tetto

L’operazione è stata confermata nel vertice tra il governo e i capigruppo di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati, in presenza della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Conti alla mano, però, il primo obiettivo è già stato mancato: rispetto ai 500 emendamenti preventivati ne sono stati depositati 617 solo dalla maggioranza, con Fratelli d’Italia capofila con 285 proposte emendative.

Paradossalmente il partito della premier ha superato la soglia di 180 inizialmente stabilita. Il totale, incluse le opposizioni, è di 3.104 emendamenti con il Partito democratico che sfiora la quota mille, attestandosi a 957.
Di tutti questi solo 180 saranno quelli segnalati dalla maggioranza, e quindi effettivamente esaminati, mentre circa 300 saranno quelli assegnati alle minoranze.

Il termine per indicare gli emendamenti prioritari è fissato a domenica. Stando all’accordo raggiunto nel summit a Palazzo Chigi, una ottantina saranno a firma dei deputati di FdI, 50 di quelli leghisti Lega, circa 40 saranno concessi agli azzurri e una decina alla pattuglia centrista.

Il metodo, pensato per evitare il tradizionale assalto alla diligenza, è un sentore delle tensioni che crescono nella maggioranza. In questa ottica, nel corso dell’incontro di ieri, è stata avanzata l’ipotesi di una cabina di regia tra governo e maggioranza per sciogliere i nodi ed evitare che debba toccare solo al governo il compito di scremare i testi.

L’intento è di non scontentare i parlamentari, che  rischiano di non incidere nemmeno sulla Legge di Bilancio. Ma il possibile ricorso alla cabina di regia è letto come un «segno di debolezza e incapacità», secondo l'analisi della deputata del Pd, Chiara Gribaudo. «E per fortuna», insiste la parlamentare dem, «che si dicevano pronti».

Problemi noti

Il problema politico non è certo inedito. Forza Italia, su tutti, non è intenzionata a ricoprire il ruolo di spettatore e vuole piazzare qualche bandierina nell’iter della manovra. La capogruppo al Senato, Licia Ronzulli, ha rivendicato la necessità di ritoccare da 6mila a 8mila euro la soglia per la decontribuzione sulle assunzioni degli under 35 e sull’innalzamento delle pensioni minime. Due misure che però rischiano di drenare una buona parte dei 400 milioni di euro a disposizione delle Camere per modificare il provvedimento, con il rischio di lasciare le briciole alle altre forze della maggioranza. Senza dimenticare il ruolo delle opposizioni, per cui si ipotizzava la concessione di circa 120 milioni di euro per scongiurare l’ostruzionismo durante il dibattito a Montecitorio.

Un bacino già ridotto che si prosciuga a ogni richiesta fatta da Forza Italia e Lega. La prospettiva di scontro a Montecitorio non è perciò lunare: il Movimento 5 stelle ha annunciato uno «tsunami per invertire radicalmente la rotta» della legge di Bilancio. E stando alla mole di emendamenti, pure il Pd sembra intenzionato a dare battaglia. Di fronte a una persistente azione di contrasto durante il cammino della manovra, sarebbe necessaria una corsa contro il tempo per licenziare il testo entro il 31 dicembre ed evitare l’esercizio provvisorio.
I fari sono puntati sul comportamento di Azione-Italia viva, che ha depositato 311 emendamenti, il 10 per cento circa del totale. I numeri lasciano presagire un approccio soft. L’oggetto di alcune di queste proposte riguardano idee in parte condivise con il centrodestra come la «riforma del Reddito di cittadinanza», stando alla definizione di Matteo Richetti, Luigi Marattin e Giulio Sottanelli, deputati di Azione e Iv, che hanno sottoscritto al proposta.

Altro dossier comune è l’abbattimento della tassazione per l’assunzione dei più giovani, seppure con un intervento più massiccio rispetto alla decontribuzione prevista dalla maggioranza. Del resto Carlo Calenda ripete che vuole «concretezza» e «non bandiere da sventolare». Segnali che Palazzo Chigi coglie con favore.

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