Come era nelle previsioni, alle elezioni in Irlanda del Nord svolte il 5 maggio vincono i nazionalisti dello Sinn féin, con il 29 per cento delle prime preferenze.

La leader del partito Michelle O’Neill sarà nominata primo ministro, una carica che per la prima volta va una figura nazionalista. Per la politica del power sharing nordirlandese, il vice primo ministro invece sarà rappresentato dal secondo partito più votato.

Il sistema elettorale

C’è stato bisogno di due giorni di spoglio elettorale per capire quale sarà la prossima composizione dell’Assemblea nazionale di Stormont. In ognuno dei 18 collegi sono stati eletti cinque rappresentanti.

Il sistema elettorale nordirlandese è proporzionale con voto singolo trasferibile, in cui ogni cittadino avente diritto di voto può esprimere più preferenze. Quando un candidato ha raggiunto la quota necessaria all’elezione, gli altri voti ricevuti vengono riassegnati secondo le altre preferenze. 

Per questo la percentuale dei primi voti non ricalca poi l’effettiva assegnazione dei seggi del parlamentino. E per questo i conteggi sono molteplici.

I risultati 

All’interno del “blocco nazionalista”, rispetto ai risultati delle ultime elezioni del 2017 sulle prime preferenze lo Sf è avanzato dell’1,3 per cento. Ha eguagliato i seggi conquistati alle scorse elezioni, 27.

Il Social democratic and labour party ha preso il 9,1 per cento, in calo di 2,8 punti percentuali, raggiungendo solo otto posti a Stormont, rispetto ai 12 degli ultimi anni. Il risultato più basso mai conseguito per il Sdlp che non è riuscito a far eleggere neanche Nichola Mallon, la vice presidente del partito, già ministro.

Gli unionisti invece hanno pagato le divisioni interne e il post Brexit. Il Democratic unionist party, il partito più grande dei lealisti, ha raggiunto il 21 per cento, perdendo ben il 6,8 per cento. I 25 seggi conquistati, rispetto ai 28 del 2017 gli fanno perdere lo scettro di partito più votato nelle sei contee. La comunità unionista ha di fatto punito il Dup per il disordine e l’incoerenza con cui ha gestito il post Brexit e il protocollo nordirlandese trattato da Londra e Bruxelles. 

A beneficiare di questo crollo, nel consenso ma non nei seggi, è stato il Traditional unionist voice, partito radicale lealista, che ha raggiunto il 7,7 per cento, salendo di 5 punti percentuali rispetto al 2017. Cifra che non si è riflessa però in parlamento con un solo seggio conquistato, sempre a causa del sistema delle preferenze.

L’altro vero vincitore della tornata elettorale è l’Alliance party di Naomi Long, che ha conquistato il 13,5 per cento, facendo riscontrare un +4,4 rispetto al 2017. Un partito che si è definito alternativo rispetto al blocco nazionalista e unionista, potendo pescare dai bacini di entrambe le parti. Non è un caso che la percentuale di popolazione che si dichiara appartenente a uno dei due raggruppamenti è diminuita rispetto a cinque anni fa. E i seggi per l’Alliance a Stormont sono più che raddoppiati dagli otto tenuti finora, arrivando a 17.

L’affluenza è scesa leggermente: dal 64,8 per cento del 2017 al 63,6 per cento. 

Ora bisognerà capire quanto tempo passerà prima della formazione di un nuovo esecutivo, con le trattative tra i partiti che saranno più difficili del normale, a causa del protocollo nordirlandese malvisto – per usare un eufemismo – da molti nella comunità unionista. Il Dup alla vigilia ha minacciato di non entrare nel governo se gli accordi tra Londra e Bruxelles non verranno drasticamente cambiati.

Il segretario britannico per l’Irlanda del Nord Brandon Lewis, con una nota ha incoraggiato tutti i partiti a «formare un nuovo governo il prima possibile». E lo stesso ha fatto il taoiseach irlandese Micheal Martin. 






 

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