«Gli Usa chiedono un vertice a tre». Kiev vuole armi anche con la pace

Carri armati Leopard, T-72 e PT-91, la Polonia ne ha trasferiti 318 – più di tutti – all’Ucraina in tre anni e mezzo. Lanciatori Himars, 41 arrivati a Kiev dagli Usa. Batterie di difesa aerea, cinque Patriot e 14 Iris-T inviati dalla Germania. La lista degli aiuti occidentali all’Ucraina si compone e si snoda in una serie di tabelle. Numeri e grafici con armi e munizioni danno un ordine di grandezza ma non di importanza, perché tutto è servito. A Miami questo sabato è volata una delegazione di Mosca. Washington ha proposto un incontro a tre, da una parte gli ucraini, dall’altra i russi, con gli americani come mediatori. Solo dopo, ha ammesso Volodymyr Zelensky, potrebbero sedersi al tavolo anche gli europei. Il presidente ucraino ha elogiato comunque il Vecchio Continente per la decisione del prestito da 90 miliardi, nonostante la pista degli asset russi sia tramontata. Si è arrivati a negoziare con la Russia perché gli ucraini hanno combattuto – e continuano a combattere – sul campo, e Stati Uniti e alleati occidentali hanno inviato aiuti di ogni tipo. La questione però è cosa può accadere nei prossimi mesi. Gli Usa di Donald Trump hanno azzerato l’invio di aiuti a Kiev, l’Europa sta dimostrando che non ci sono i numeri per sostituirsi a Washington. Una variabile che può diventare un problema anche al tavolo dei negoziati. Prendersi carico «Siamo forti solo con Trump e non dovremmo cercare alternative agli States», ha dichiarato questo sabato il presidente ucraino. Interpretazione confermata anche dagli esperti di difesa. «All’attuale ritmo, le allocazioni di aiuti militari non sono sufficienti a compensare il venir meno del sostegno degli Stati Uniti», scrivono gli analisti del Kiel Institute del Ukraine Support Tracker. «Mentre le allocazioni annuali hanno registrato una media di circa 41,6 miliardi di euro nel periodo 2022-2024, nel 2025 sono stati allocati finora solo 32,5 miliardi di euro», dicono.In più i grafici si sono dimezzati da luglio a oggi. «Se il ritmo più lento osservato dall’estate del 2025 – più precisamente, la media mensile tra luglio e ottobre – dovesse continuare per il resto dell’anno, il totale degli aiuti militari allocati nel 2025 scenderebbe effettivamente al livello più basso» mai registrato, dice a Domani Taro Nishikawa, project lead dello Ukraine Support Tracker. Su questi numeri incide il peso specifico dell’Europa, che varia da paese a paese. La Germania è prima per aiuti militari dopo gli Usa – con 19,7 miliardi di dollari – e ha quasi triplicato le sue allocazioni mensili nel 2025. Regno Unito e Francia le hanno raddoppiate mentre l’Italia – che ha fornito 1,7 miliardi di euro di aiuti militari in tutto – le ha diminuite, e la Spagna ha fatto ancora meno. «L’Italia ha ridotto del 15 per cento i livelli di allocazione già bassi rispetto al periodo 2022-2024, e la Spagna non ha registrato nuovi aiuti militari nel 2025», scrivono gli analisti del Kiel Institute. Un impegno limitato che – aggiungono – «ha indebolito in modo significativo la risposta complessiva dell’Europa». «Sebbene l’Ucraina abbia aumentato la produzione industriale di difesa domestica, dipende ancora da equipaggiamenti stranieri in aree critiche (ad esempio difesa aerea e missilistica), e da finanziamenti stranieri», spiega a Domani in un’intervista James Black, vice direttore del Defence and Security Research Group all’istituto Rand. L’anno che verrà Il ministro della Difesa ucraino Shymal il 16 dicembre ha detto che Kiev ha bisogno di 108 miliardi di euro per la sua difesa nel 2026, la metà – 54 miliardi – serve che arrivino dagli alleati. «Guardando al futuro, l’Ucraina ha bisogno non solo di un sostegno finanziario e militare continuo, ma anche di robuste garanzie di sicurezza nel caso di un eventuale cessate il fuoco o accordo di pace», continua. Da questo angolo di riflessione, i soldati di una forza multinazionale da soli non basterebbero. «Affinché le garanzie di sicurezza siano efficaci, devono essere percepite come credibili dagli stessi ucraini e, soprattutto, dai russi. E l’incertezza sul fatto che gli europei siano disposti a spendere risorse economiche per contribuire alla sicurezza dell’Ucraina rende più difficile per il Cremlino credere che gli europei sarebbero in futuro disposti a sacrificare vite umane per lo stesso scopo». Saranno gli europei a pagare per l’Ucraina. Niente asset russi: per Merz è uno smacco I dati mostrano un divario tra annunci politici – come gli accordi di lungo periodo tra Francia e Ucraina – e supporto immediato. Rimpiazzare Washington non è impossibile, ma è sicuramente «difficile per l’Europa sostituire completamente gli Stati Uniti nella fornitura di alcuni sistemi d’arma critici», spiega Nishikawa a Domani. Ciò vale soprattutto se si considera il garantire a Kiev protezione aerea nei prossimi mesi. «Questa difficoltà riflette anche limitazioni strutturali nella capacità industriale della difesa europea. Ad esempio, molti paesi europei hanno storicamente fatto affidamento su sistemi prodotti negli Stati Uniti – come il Patriot – per la difesa aerea a lungo raggio. Di conseguenza, la capacità produttiva europea per sistemi comparabili è ancora in fase di sviluppo», spiega Nishikawa. «Ciò è illustrato nei nostri dati dal fatto che oltre il 70 per cento dei sistemi di difesa aerea a lungo raggio forniti dai paesi europei all’Ucraina sono modelli non europei», aggiunge. «L’Ucraina ha bisogno di consegne, non solo di promesse», dice l’analista James Black. «I vari paesi coinvolti nelle coalizioni internazionali stanno lavorando per aumentare e accelerare la produzione di equipaggiamenti vitali nell’industria europea, così come per acquistare dagli Stati Uniti, mentre il cosiddetto “modello danese” prevede il finanziamento dell’Ucraina per produrre localmente le proprie armi», continua. Cita un modello che potrebbe essere implementato nei prossimi mesi, per fornire a Kiev quello che serve per avere – da soli – la garanzia che Mosca non li attacchi di nuovo. LaparalisieuropealasciaspaziosoloaTrumpePutin Sostanzialmente la Danimarca ha messo a punto un modello di supporto mirato, il primo di questo tipo. Da Kiev inviano a Copenaghen raccomandazioni su cosa acquistare da aziende ucraine. La Danimarca valuta e valida i progetti di donazione, e fa i controlli del caso. E trasferisce i pagamenti alla banca centrale ucraina. Kiev è poi responsabile dei contratti con le aziende ucraine che forniscono droni d’attacco, artiglieria, missili antinave e tutte le armi finanziate in questo modo. Il modello – secondo dati del governo danese – ha un piano di spesa che dal 2024 al 2027 prevede di muovere 2,6 miliardi di euro. E che viene portato avanti parallelamente agli altri livelli. La Danimarca infatti è stata tra i primi paesi ad acquistare missili Patriot per Kiev ad agosto 2025 nell’ambito del progetto Purl. A riprova che tutte queste politiche vanno considerate complementari e non esclusive. «La realtà è che tutti e tre questi approcci sono necessari in parallelo», conferma Black. Secondo l’analista, non c’è alternativa al sostegno all’Ucraina, per avere tempo in Europa di «ricostruire una postura di difesa e deterrenza più credibile, meno dipendente dagli Usa». E per avere una leva negoziale con la Russia, adesso. «Il modo migliore per assicurare un accordo di pace favorevole all’Ucraina – e per estensione alla più ampia sicurezza europea e transatlantica – è negoziare da una posizione di unità e forza», dice Black. Continuando a fare pressioni per indebolire la posizione del Cremlino, anziché rafforzarla. È una questione di deterrenza molto pragmatica. «Continuare a fornire consistenti aiuti militari ed economici agli ucraini aiuta sia a migliorare la loro posizione pratica sia a segnalare la volontà della comunità internazionale di continuare a sostenere Kiev per tutto il tempo necessario», sostiene l’analista. L’alternativa è quella di «essere spinti nel breve periodo ad accettare un accordo che sarebbe negativo per l’Ucraina, negativo per l’Europa e negativo per la Nato».