Il maggiore esperto dello scandalo abusi nella chiesa cattolica, il gesuita Hans Zollner, si è dimesso dalla Pontificia commissione per la tutela dei minori, l’organismo creato da papa Francesco nel 2014 per affrontare, in tutta la sua portata, lo scandalo degli abusi sessuali sui minori commessi da preti.

L’organismo non ha mai avuto una navigazione tranquilla e dimissioni eccellenti si erano avute già in passato, ma si trattava di laiche e laici, di esperti e vittime.

Ora la questione è più seria perché riguarda uno degli uomini di fiducia del papa, anche per le motivazioni che ha messo nero su bianco per spiegare le ragioni della sua scelta.

Fra le questioni sollevate, quella del rapporto fra la commissione e il Dicastero per la dottrina della fede, sotto il quale è stato posto dal papa l’organismo che si occupa della tutela dei minori con la riforma della Curia entrata in vigore da pochi mesi.

Evidentemente, secondo Zollner, la commissione non gode della necessaria autonomia. D’altro canto il rischio di una sovrapposizione c’è sempre stato, dato che il Dicastero è chiamato a valutare i casi di abuso provenienti dalle chiese locali, a istruire gli eventuali processi canonici e a stabilire le pene. 

Per quanto compito della pontificia commissione sia formalmente quello di «fornire al romano pontefice consiglio e consulenza ed altresì proporre le più opportune iniziative per la salvaguardia dei minori e delle persone vulnerabili», il conflitto fra i due organismi è sempre stato latente. Lo scorso settembre, infine, il papa aveva rinnovato la commissione nominando 10 nuovi membri, fra cui 7 donne.

Questioni irrisolte

In una dichiarazione diffusa ieri, Zollner ha riassunto così la questione: «La protezione dei bambini e delle persone vulnerabili deve essere al centro della missione della Chiesa cattolica».

«Questa era  – spiegava – la speranza condivisa da me e molti altri, quando fu istituita la commissione nel 2014. Tuttavia, nel corso del mio lavoro con la commissione, ho notato delle questioni che richiedono di essere affrontate con particolare urgenza e che mi hanno reso impossibile continuare».  

Negli ultimi anni, ha aggiunto il gesuita, «è andata aumentando la mia preoccupazione sul modo in cui la commissione, ha perseguito questo obiettivo, soprattutto in materia di responsabilità, compliance, accountability e trasparenza. Sono convinto che si tratti di principi che qualsiasi istituzione ecclesiastica, tanto più la Pontificia commissione per la tutela dei minori, sia tenuta a rispettare».

Quindi nel merito Zollner osservava: «Per quanto riguarda la compliance, c’è stata una mancanza di chiarezza sul processo di selezione dei membri e del personale, i loro rispettivi ruoli e responsabilità. Un’altra area di apprensione è quella della responsabilità e accountability finanziaria, che ritengo inadeguata. È fondamentale che la commissione mostri chiaramente l'uso fatto dei fondi nel suo lavoro».

Inoltre, «dovrebbe esserci trasparenza sulle modalità di decisione all’interno della commissione. Troppo spesso ai membri sono state fornite informazioni insufficienti e comunicazioni vaghe riguardo al modo in cui sono state prese alcune decisioni».

Infine, «non sono a conoscenza di norme che regolino il rapporto tra la commissione e il Dicastero per la dottrina della fede, dal momento che la commissione è stata inserita nel Dicastero lo scorso giugno».

Un quadro generale che descrive, di fatto, un organismo con poteri limitati e che incontra ostacoli nella realizzazione dei suoi obiettivi.

Le indagini che fanno paura

Sullo sfondo, fra l’altro, s’intravede un nodo non piccolo da sciogliere: dalla Francia, al Portogallo, alla Germania, diverse commissioni d’indagine indipendenti promosse dagli stessi episcopati hanno portato alla luce una realtà fatta di decenni di abusi e coperture, un lavoro che sta producendo effetti importanti nelle riflessioni portate avanti dalle chiese di questi paesi circa l’urgenza di profonde riforme della struttura ecclesiale e della cultura che la governa.

Non tutti, evidentemente, apprezzano il processo di trasparenza condotto attraverso la promozione di indagini che fanno emergere una verità dolorosa e, per certi versi, sconvolgenti. Anche la gestione complessivamente opaca da parte del  Vaticano del caso dell’artista e teologo gesuita Marko Rupnik, accusato di abusi ripetuti su diverse suore, ha pesato in questi mesi sulla vicenda abusi.

Il tema insomma è critico e non cessa di creare disagio anche ai piani alti dei sacri palazzi. D’altro canto, va ricordato come alla guida della commissione vaticana per la tutela dei minori, vi sia il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, chiamato a guidare la diocesi americana nel 2003 dopo che questa fu travolta dagli scandali all’inizio degli anni duemila. O’Malley ha sempre fatto dell’impegno su questo fronte un punto fermo della sua azione.

Dando notizia delle dimissioni di padre Zollner, il card. O’Malley, ha scritto: “Attraverso i numerosi corsi di formazione che ha fatto di vescovi e leader religiosi nel corso degli anni, viaggiando in tutto il mondo, è diventato un ambasciatore di salvaguardia e continuerà ad essere una presenza costante in questo importante lavoro attraverso i suoi ruoli di direttore dell'Istituto di Antropologia dell’Università Gregoriana e consulente della Diocesi di Roma”; quindi concludeva: “non vediamo l'ora di continuare la nostra collaborazione con padre Hans nel nostro impegno comune per fare della Chiesa una casa sicura per tutti”.

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