All’elenco delle conferenze episcopali che hanno deciso, a differenza di quelle italiana e polacca, di far sul serio sul terreno della lotta agli abusi sessuali del clero va ora aggiunta quella svizzera. Da pochi giorni è stato infatti pubblicato il primo Report della commissione indipendente incaricata di far luce sul tema nel territorio della Confederazione Elvetica.

Si tratta di uno “studio-pilota” realizzato in un solo anno di lavoro e anticipatore di un più ampio e approfondito lavoro di ricerca da realizzarsi nel prossimo futuro. Malgrado questo limite, il documento presenta almeno due notevoli motivi di interesse.

Il primo di questi è metodologico e riguarda il carattere squisitamente scientifico dell’impresa. L’episcopato svizzero ha infatti deciso di affidare il delicato incarico di lavorare sul tema a un gruppo di soli accademici, in particolare di storici dell’Università di Zurigo esperti in ricerca d’archivio e storia orale.

A costoro, la chiesa svizzera ha consentito il pieno accesso a quegli armadi parrocchiali e diocesani (e a quelli di molti ordini religiosi) nei quali sono contenuti i dossier che riguardano i sacerdoti macchiatisi di questi crimini nel corso degli ultimi settant’anni (un netto diniego a rendere disponibili ai ricercatori i propri registri è invece provenuto dagli organismi vaticani, dalla nunziatura apostolica e da tutti dicasteri romani).

Il report

Gli scienziati sociali coinvolti nell’impresa hanno cioè potuto in piena libertà scandagliare, in tutte le diocesi del paese, decine di archivi, esaminare una documentazione di migliaia di pagine e di seguito condurre decine di colloqui e interviste con le vittime, ma anche con esperti e rappresentanti ecclesiastici.

È ovvio che, per questa via, per ragioni che è facile immaginare (archivi distrutti o incompleti, dati cancellati, denunce di crimini non riportate o mai presentate, resoconti edulcorati rispetto alla testimonianza delle vittime) si è potuto far luce solo su una parte del fenomeno.

Si tratta tuttavia di quella porzione di esso che era ben nota alle autorità ecclesiastiche e che, per le motivazioni più varie e spesso con la complicità di singoli, famiglie e autorità civili, è stata tenuta nascosta per decenni.

Un oscuramento, e il report molto opportunamente lo riconosce, che non si è limitato al clero diocesano, ma che ha incluso gli ordini religiosi e anche i cosiddetti “movimenti ecclesiali”, ovvero quei gruppi, tanto spesso generati dall’azione di un capo carismatico (Kiko Arguello, Chiara Lubich, ecc.), che negli ultimi sessant’anni hanno animato la vita della chiesa. In tali aggregazioni è talvolta prevalsa una logica settaria e fanatica, inevitabilmente accompagnata da manifestazioni di subordinazione incondizionata, da raggiri e da abusi (anche sessuali).

I dati

I casi di abuso individuati e documentati dalla commissione sono stati un migliaio. Le vittime sono risultate in maggioranza maschi (56 per cento) e in larga misura minorenni (il 74 per cento). Quest’ultimo dato rimanda a un secondo motivo di interesse ricavato dai dati del report svizzero. Gli estensori del rapporto hanno infatti deciso di estendere la rilevazione anche agli adulti (il 14 per cento dei casi; del restante 12 per cento non si è riusciti a stabilire l’età).

Per giustificare questa scelta, gli autori del report hanno dovuto far propria quella teoria che stabilisce che se uno dei due partner di una relazione sessuale gode di una posizione di autorità rispetto all’altro (e se quindi quest’ultimo si trova in una condizione di “dipendenza spirituale, emozionale, finanziaria o strutturale”), ogni consenso è in linea di principio assolutamente escluso.

«In tali situazioni, – si legge nel rapporto – l’autore del delitto si adopera al fine di “sottomettere” preventivamente le proprie “vittime”, cosicché le persone offese si sentono “prescelte”, e il contatto fisico viene motivato dal contesto sacro».

Una manipolazione

In altre parole, l’assenso che il partner più debole (ma adulto e nel pieno delle sue facoltà) ha espresso al momento della consumazione del rapporto è da considerarsi, per questa teoria, sempre frutto di una manipolazione, di una sottile estorsione ad opera del potente.

Gli studiosi svizzeri sono consapevoli del carattere controverso di questa posizione e, in due passaggi dell’articolo, menzionano due rischi che non vanno sottovalutati: il primo è che sfumi del tutto la distinzione tra abuso e relazione sessuale consenziente, dal momento che quest’ultima può essere sempre, a distanza di tempo e stante le condizioni di cui sopra, essere classificata come abuso.

Il secondo rischio è che le vittime vengano “intrappolate” a vita in un ruolo che assegna loro solo la parte di oggetti passivi e manipolati. Di qui, «Poiché diverse persone hanno esplicitamente dichiarato di non volersi identificare unicamente come vittime», è discesa la decisione, si legge nel report, di rinunciare all’uso del sostantivo vittima e utilizzare «diverse formulazioni quali “persone abusate”, “persone offese” e “persone vittime di abuso”».

Personalmente sono disposto a riconoscere per intero la bontà della scelta di includere gli adulti tra le persone offese, a patto che però si riconosca che buona parte della responsabilità ricade su quegli elementi culturali così diffusi nel cattolicesimo che mettono al centro la funzione di guida spirituale dei sacerdoti, l’obbedienza incondizionata, la gerarchia e la disciplina.

Bisogna insomma accettare (e lo fanno esplicitamente anche gli estensori del rapporto nelle pagine conclusive del documento) il fatto che l’idea che la salvezza (o la perfezione) si raggiunga attraverso il totale affidamento ad un pastore (maschio e celibe) al quale vengono attribuite virtù e qualità sovrumane è la premessa per la stragrande maggioranza degli abusi, degli sconfinamenti, delle manipolazioni e delle violenze clericali. Se non si modifica questo elemento, la storia degli abusi clericali non avrà mai un termine. Ce ne è giunta una conferma anche dalla Svizzera.


 

© Riproduzione riservata