L’Africa continua a spopolarsi di europei – dopo gli ambasciatori di Francia espulsi da Mali e Burkina Faso e quello della Germania cacciato dal Ciad, è toccato al capo della diplomazia romena a Nairobi far rientro a Bucarest dopo essersi distinto per paragoni tra africani e scimmie – e a far posto, nel vuoto politico e fisico venutosi a creare, a nuovi attori.

La Cina è da talmente tanto tempo penetrata in Africa da non potersi più considerare “nuova”. Più recenti sono le avanzate russe, turche, emiratine che nell’ultimo decennio hanno saldamente issato le loro bandiere in molti stati dell’Africa sub-sahariana e araba. L’ultimo a tentare l’affondo africano in ordine di tempo è stato l’Iran.

In una tre giorni tra l’11 e il 13 luglio scorsi, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha svolto una visita ufficiale in Kenya, Uganda e Zimbabwe. I tre stati africani hanno firmato accordi con quello che viene considerato «partner strategico fondamentale» e i legami diplomatici ed economici con il continente definito da Raisi «ricco di opportunità» vengono rinfocolati dopo oltre un decennio di sostanziale indifferenza.

La visita di Ahmadinejad

Per rintracciare una presenza iraniana in Africa, infatti, bisogna andare indietro di oltre 10 anni, con la visita ufficiale dell’allora presidente Mahmud Ahmadinejad in Benin, Ghana e Nigeria.

«L’Iran – come ha dichiarato a Radio France Internationale Houda Ibrahim, ricercatore dell’Iris (Istituto francese affari internazionali e strategici) – vuole dimostrare che, contrariamente a quanto si dice, non è affatto isolato».

Dopo lo storico ristabilimento dei legami diplomatici con l'Arabia Saudita sponsorizzato dalla Cina a marzo, ha normalizzato le relazioni, una volta tese, con Egitto e Marocco e ha cominciato ad alzare lo sguardo ben oltre i suoi confini. A giugno, sempre Raisi, è volato in America Latina dove ha visitato Venezuela, Cuba e Nicaragua.

«Sono felice che siate venuti a mostrare solidarietà – ha detto il presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa al suo omologo iraniano – Quando siamo entrati in guerra (di indipendenza contro la Gran Bretagna ndr), l’Iran fu al nostro fianco».

Zimbabwe, Uganda e Kenya

Ad Harare, capitale dello Zimbabwe, sono stati firmati dodici accordi su temi che vanno dall’energia alle telecomunicazioni. I due paesi, segnati dalle sanzioni da parte degli Stati Uniti, sembrano partner ideali: lo Zimbabwe ha disperato bisogno degli idrocarburi di cui l’Iran è ricco mentre il paese dell’Africa australe è un grande produttore di minerali quali litio e metalli del gruppo del platino insieme all’oro, risorse che mancano a Teheran.

All’Uganda, ricca di petrolio ma scarsamente equipaggiata nell’industria dell’estrazione e della raffinazione, l’Iran offre la sua storica esperienza nel campo. Se il sostegno sarà efficace, il paese dell’Africa centro-orientale potrebbe incrementare il suo già rapido percorso di sviluppo economico, specie grazie a un progetto da 10 miliardi di dollari sul lago Alberto che potrebbe portare l’Uganda a diventare un grosso esportatore di petrolio nel prossimo futuro. I punti di sintonia con Teheran sono anche altri, di carattere decisamente negativo: la feroce avversione per ogni forma di diritto della comunità Lgbt accomuna i due stati.

«I paesi occidentali cercano di identificare l’omosessualità come un indice di civiltà, mentre questa è una delle cose più sporche che siano state fatte nella storia dell’umanità» ha tuonato Raisi a margine della visita.

Col Kenya, l’Iran ha firmato cinque memorandum d’intesa sulle tecnologie dell’informazione, la pesca, la salute e la produzione degli animali e la promozione degli investimenti. Il tè, prodotto storicamente in testa alla classifica delle esportazioni del Kenya verso l’Iran, continuerà a esserlo nel futuro ma il presidente keniano Ruto ha espresso interesse ad ampliare la gamma delle esportazioni agricole.

L’Iran, quindi, inaugura una strategia all’insegna della cosiddetta “diplomazia economica”. Esce dall’angolo internazionale in cui è confinato, cerca nuove alleanze in giro per il mondo e si pone come alternativa a Russia, Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti così come a Europa e a occidente in generale. Senza dimenticare, come sottolinea Nigrizia, l’espansione della dottrina sciita.

L’anticolonialismo

Come è successo con gli altri nuovi attori precedentemente approdati in Africa, la leva su cui poggia anche la strategia dell’Iran è l’anticolonialismo. Il regime degli ayatollah, per quanto assurdo possa apparire, in un periodo di generale deuropizzazione e insofferenza verso le vecchie potenze schiaviste, punta sulla propria storia e sull’opposizione alle forze coloniali quale garanzia per partneriati solidi.

«Il colonialismo occidentale – ha dichiarato il presidente Raisi prima di lasciare l’Africa – cerca di esercitare pressioni sulle nazioni sovrane sfruttando la questione dei diritti umani, usandola come strumento politico e applicando due pesi e due misure». «Noi siamo i veri difensori dei diritti umani» ha poi aggiunto. Senza il minimo imbarazzo.

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