Ci sono almeno 37 morti e oltre 70 feriti dopo un attentato suicida durante la preghiera del venerdì in una moschea sciita a Kandahar, nel sud dell’Afghanistan.

L’attentato

L’attacco è avvenuto oggi, venerdì 15 ottobre, nella moschea di Bibi Fatima, la maggiore moschea sciita della città.

La notizia dell’attentato è stata diffusa dalle autorità talebane. Un portavoce del ministero dell’Interno afghano, Qari Sayed Khosti, ha scritto su Twitter: «Ci rattrista apprendere che si è verificata un’esplosione in una moschea della fratellanza sciita nel primo distretto della città di Kandahar, nella quale alcuni nostri compatrioti sono stati martirizzati e feriti».

Il portavoce ha anche aggiunto che le forze di sicurezza dei Talebani sono arrivate sul posto «per determinare la natura dell’incidente e consegnare i responsabili alla giustizia».

Testimoni sentiti da Afp e Associated press hanno riferito di diverse esplosioni, in vari punti della moschea, e di quattro attentatori. Due di loro si sarebbero fatti esplodere davanti all’entrata, mentre gli altri sarebbero andati a colpire le persone radunate in preghiera all’interno della moschea, secondo quanto riferito da uno dei presenti.

 Alla preghiera del venerdì nella moschea di Bibi Fatima partecipano di solito circa 500 persone. Gli ospedali della zona hanno fatto sapere ad Al Jazeera di essere «inondati» di pazienti e si teme che il bilancio dei morti possa essere molto alto. 

Gli attacchi di Isis-K

L’attacco alla moschea di Kandahar non è ancora stato ufficialmente rivendicato. Arriva a una settimana dall’attentato che ha colpito la preghiera del venerdì degli sciiti nella città di Kunduz, nel nord del paese, e che aveva provocato oltre 50 morti.

L’esplosione a Kunduz è stata rivendicata da Isis-K, o Provincia del Khorasan dello Stato islamico: è il gruppo jihadista più violento ed estremista presente oggi in Afghanistan, responsabile dell’attacco all’aeroporto di Kabul dello scorso agosto, nel quale sono stati uccisi 170 civili e 13 soldati americani.

Oltre alle forze occidentali e all’esercito afghano, negli ultimi anni Isis-K ha spesso preso di mira i Talebani, che come loro sono sunniti, ma giudicati non sufficientemente integralisti, e le minoranze religiose. 

Circa il 10 per cento della popolazione afghana è sciita: molti di loro sono Hazara, il terzo gruppo etnico in Afghanistan, che negli anni ha subito attacchi e persecuzioni da parte dei Talebani e di altri gruppi estremisti sunniti. 

L’attacco a Kandahar, la seconda città più grande dell’Afghanistan, ha però anche un valore simbolico: è lì, infatti, che è nato il movimento dei Talebani. Ma è solo l’ultimo nella serie di attentati sul territorio nazionale. 

Solo nelle ultime settimane, oltre all’attacco alla moschea di Kanduz, ci sono stati attentati a Kabul, con 12 vittime, e a una madrassa nella città di Khost. Dopo l’attacco al funerale della madre del portavoce dei Talebani, Zabiullah Mujahid, nella moschea Eidgha della capitale, domenica 3 ottobre i Talebani hanno detto di aver lanciato un attacco contro i membri di Isis-K, uccidendone tre. 

Isis non aveva rivendicato gli attentati di Kabul e di Khost, mentre ha dichiarato di essere responsabile dell’uccisione di alcuni miliziani talebani nella città di Jalalabad, nella zona ad est dell’Afghanistan, dove storicamente è più radicata e attiva. 

Rapporti diplomatici

Gli attentati di queste settimane evidenziano la difficoltà per il regime afghano nel portare ordine nel paese. I Talebani intanto continuano a cercare di stabilire rapporti con altri stati.

Dopo i primi incontri a Doha, negli Emirati Arabi Uniti, con esponenti del governo statunitense e di vari paesi europei, giovedì una delegazione talebana, guidata dal ministro degli Esteri, Amir Khan Mutaqi, è arrivata ad Ankara per incontri diplomatici con il governo turco.

Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, aveva detto durante la riunione virtuale del G20 che con i Talebani si devono mantenere aperti dei canali di dialogo, al fine di «condurli con pazienza e gradualmente» a stabilire un governo più inclusivo. Mentre ieri un’apertura è arrivata dalla Russia: il presidente Vladimir Putin, durante il vertice della Comunità degli stati indipendenti, ha sostenuto la necessità di interagire con i Talebani, senza però affrettarsi a riconoscerli.

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