È il secondo giorno del nuovo governo ad interim imposto dai talebani a Kabul. Il destino di molti afghani, che hanno lavorato con governi stranieri, rimane incerto. I talebani hanno promesso una amnistia, ma i dettagli rimangono poco chiari. Le donne sono state invitate a tornare alla guida del paese, ma sotto la legge della Sharia. Intanto, la situazione all’aeroporto internazionale Hamid Karzai si è stabilizzata, con i talebani che ne hanno assunto il controllo. La conferenza stampa dei talebani a Kabul è terminata.

Il ruolo delle donne è poco chiaro

Da quando i talebani hanno restaurato il nuovo Emirato Islamico, le donne afghane si sono chiuse in casa, terrorizzate dall’idea di essere perseguite e schiavizzate dai talebani. Già ieri, i fondamentalisti avevano invitato le donne a far parte del loro governo, assumendo un ruolo attivo all’interno della società, un invito ribadito anche nel corso della conferenza stampa dal portavoce Zabihullah Mujahid: «Permetteremo alle donne di lavorare e studiare. Le donne saranno molto attive all’interno della nostra società, all’interno del nostro governo», ha affermato.

Tuttavia, poco prima di sospendere la conferenza stampa, Mujahid si è rifiutato di rispondere a una domanda più specifica sul tema, sul futuro dei diritti delle donne nel mondo del lavoro. Il portavoce dei talebani si è limitato a ribadire che le donne afghane lavoreranno nel rispetto della legge islamica, la Sharia, ma non è riuscito a spiegare cosa questo significhi in concreto.

«Al lavoro per formare un governo»

Il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, nel corso della conferenza stampa, ha risposto alle domande dei media.

«Dopo che il governo sarà formato, decideremo quali leggi saranno presentate alla nazione», afferma, senza però scendere troppo nei dettagli. «Una cosa devo dire: stiamo lavorando seriamente alla formazione del governo», che verrà «annunciato» solo alla fine dei lavori in corso. 

«Abbiamo tutti i confini sotto il nostro controllo», aggiunge.

Una delle precisazioni fatte alla stampa da Mujahid è stata che l’Afghanistan è da sempre una nazione musulmana, oggi come venti anni fa. Dagli anni Novanta a oggi, stando a quanto dichiara il portavoce, il gruppo è stato al centro di un processo evolutivo: «C'è molta differenza tra quello che siamo ora e quelli che eravamo vent’anni fa, nelle azioni che intraprenderemo», in termini di «esperienza, maturità e visione», ha spiegato Mujahid. 

La conferenza stampa dei talebani

È iniziata la prima conferenza stampa dei talebani da quando hanno preso il controllo dell’Afghanistan.

Il portavoce Zabihullah Mujahid, che appare per la prima volta davanti alle telecamere, afferma che «dopo 20 anni di lotte abbiamo emancipato il paese ed espulso gli stranieri: questo è un momento di orgoglio per l’intera nazione», dice.

«Vogliamo assicurarci che l’Afghanistan non sia più un campo di battaglia di conflitti», afferma il portavoce, sottolineando come i talebani abbiano «perdonato tutti coloro che hanno combattuto contro di noi», perché, ribadisce, non vogliono avere nemici «esterni o interni».

Zabihullah Mujahid ha poi spiegato che l’ingresso a Kabul è stato doveroso, per evitare che la città continui a vivere nel caos. E spiega: «Il nostro piano era di fermarci alle porte di Kabul in modo che il processo di transizione potesse essere completato senza intoppi, ma sfortunatamente, il governo precedente era così incompetente che le loro forze di sicurezza non potevano fare nulla per garantire la sicurezza. Dovevamo fare qualcosa», afferma.

Poi, alla domanda di un giornalista sulle intenzioni dei fondamentalisti nei confronti delle donne, Mujahid rivendica il diritto dei talebani di «agire secondo i nostri principi religiosi. Altri paesi hanno approcci, regole e regolamenti diversi. Gli afghani hanno il diritto di avere le proprie regole e regolamenti in accordo con i nostri valori» e ribadisce l’invito alle donne afghane di entrare a far parte del governo del paese al loro fianco. Poi ha assicurato alla comunità internazionale che nessuno verrà perseguito.

Il capo dei talebani arriva in Afghanistan

Il mullah Abdul Baradar, il capo dell’ufficio politico dei talebani, è arrivato nella regione di Kandahar, in Afghanistan insieme ad altre figure di spicco. Baradar è uno dei leader più anziani del gruppo, con ogni probabilità l’uomo che gestirà la transizione ora che i talebani hanno portato a termine la riconquista del paese, con la presa di Kabul.

Non è chiaro da dove siano partiti, ma gran parte della leadership ha sede nella capitale del Qatar, a Doha, dov’era in corso la negoziazione con gli Stati Uniti per il ritiro delle forze internazionali.

Il vicepresidente afghano rivendica il potere

Il primo vicepresidente afghano, Amrullah Saleh, ha dichiarato su Twitter di essere ancora nel paese e, secondo la costituzione, avrebbe dovuto essere lui il legittimo presidente ad interim dell’Afghanistan dopo la fuga del presidente Ashraf Ghani.

«Sto contattando tutti i leader per ottenere il loro sostegno e consenso», ha scritto sui social network.

Draghi telefona Merkel

Dopo più di 48 ore da quando i talebani sono entrati a Kabul e il caos è esploso nella capitale afghana, il presidente del Consiglio Mario Draghi non si era ancora esposto. Questa mattina, invece, fanno sapere da Palazzo Chigi, Draghi ha avuto un lungo confronto telefonico con la cancelliera Angela Merkel, a fronte dell’aggravarsi della situazione in Afghanistan e nel quadro dei contatti internazionali avviati sulla crisi.

Nel corso del colloquio è stata discussa la protezione umanitaria di quanti hanno collaborato con le Istituzioni italiane e tedesche in questi anni e delle categorie più vulnerabili, a partire dalle donne afghane. Sono state inoltre approfondite le possibili iniziative da adottare in ambito Unione europea, G7 e G20 a favore della stabilità dell’Afghanistan e a tutela delle conquiste in materia di diritti umani e di libertà fondamentali conseguite nel corso degli ultimi vent’anni.

L’allarme di Emergency

«Nonostante i pazienti continuino ad arrivare, la situazione in città sembra più tranquilla di qualche giorno fa, anche se non sappiamo bene come si evolverà». Alberto Zanin, coordinatore medico di Emergency a Kabul, racconta la situazione della città e del distretto in cui si trova la struttura dell’ong. Zanin racconta che accanto alla guesthouse dell’organizzazione è stato posizionato un checkpoint, dove persone armate controllano i passanti, e riferisce di aver «sentito numerose raffiche di kalashnikov» durante la notte.

In 24 ore il Centro chirurgico per le vittime di guerra di Emergency sono arrivati 63 pazienti, di cui 9 morti all’arrivo (quattro provenivano dall’aeroporto di Kabul), ma solo 8 sono stati ammessi nella struttura perché in condizioni estremamente gravi. L’ong racconta di non poter accogliere tutti perché l’ospedale è saturo: sono solo 14 i posti liberi e 99 i pazienti ricoverati nella struttura, mentre la terapia intensiva è piena, denuncia l’organizzazione. Per questo, possono essere ammessi «solo i pazienti in pericolo di vita, con gravi traumi e ferite letali». Dei pazienti arrivati nelle ultime 24 ore, 46 sono stati trasferiti in altri centri sanitari. 

«Distruzione, caos e disperazione: questa è l’eredità lasciata dalla guerra, questo è quello che abbiamo sempre visto dal nostro punto di osservazione: gli ospedali di Emergency in Afghanistan. Una “guerra al terrorismo” che si è poi trasformata in una “missione per la democrazia”, clamorosamente fallita. La presenza militare non è mai stata la soluzione, è anzi l’origine del problema», ha dichiarato la presidente Rossella Miccio.

«Una guerra che è costata risorse economiche, vite, generazioni di afgani», continua Miccio, «una guerra che è costata quello che costa sempre una guerra: il futuro. Come se non bastasse, il presidente americano se ne lava le mani: difende il ritiro delle truppe dopo vent’anni di occupazione militare sostenendo che non fosse il compito degli Stati Uniti ricostruire il paese e confermando il totale disinteresse per il destino del suo popolo. Noi di Emergency restiamo in Afghanistan per sostenere la popolazione, una popolazione che andava protetta prima e va protetta adesso, non con le armi. Dopo tanti errori, sarebbe bello che anche i governi occidentali facessero lo stesso, restituendo umanità e dignità alla loro politica».

La conferenza stampa

Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha annunciato su Twitter una conferenza stampa nel centro di informazione di Kabul, lo stesso che veniva utilizzato dal governo afghano, invitando i giornalisti a partecipare. 

La Nato non poteva rimanere in Afghanistan

«Non volevamo rimanere in Afghanistan per sempre». Così è intervenuto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, secondo cui la decisione di concludere la missione non è stata facile: «Il dilemma era lasciare e vedere i talebani riprendere il controllo o restare in una guerra senza fine», ha detto. Il collasso militare e politico in corso non era prevedibile, secondo Stoltenberg, che attribuisce il fallimento ai leader del governo afghano, incapaci di trovare una soluzione politica. E ha aggiunto: «Conoscevamo i rischi ma nessuno aveva previsto velocità collasso».

Le operazioni di evacuazione

Dopo la giornata di caos all’aeroporto internazionale Hamid Karzai, oggi la situazione sembra essersi stabilizzata. I talebani hanno assunto il controllo delle strade di accesso all’aeroporto, secondo quanto riporta la Cnn, monitorando tutti i passaggi verso i principali gate. Gli Stati Uniti, invece, controllano ancora il lato militare, che ieri dopo le scene drammatiche è stato delimitato dal filo spinato per controllare gli accessi. Le operazioni di evacuazione sono riprese. L’amministrazione Usa ha pianificato di costruire tre basi militari per ospitare 22mila afghani. Lo riferisce il portavoce del Pentagono John Kirby. Ha poi specificato che tra le 700 e 800 persone hanno lasciato l’Afghanistan, di cui 150 sono statunitensi e che ogni giorno potrebbero essere evacuate da 5mila a 9mila persone.

Ma il pentagono non ha dato numeri più precisi: né sul numero di cittadini statunitensi pronti a evacuare, né sul numero dei cittadini afghani che hanno diritto a recarsi negli Stati Uniti. A sostegno delle operazioni, all’aeroporto di Kabul sono presenti 3.500 soldati americani e l’attività militare si concentrerà esclusivamente sull’aeroporto, ha spiegato Kirby.

La Germania sospende gli aiuti

La Germania non invierà i 250 milioni di euro di aiuti previsti per il 2021. Lo annuncia il ministro dello Sviluppo economico tedesco, Gerd Mueller. “La cooperazione allo sviluppo del governo è attualmente sospesa”, ha detto. Il governo tedesco è uno dei maggiori donatori e i milioni accordati avevano l’obiettivo di sostenere la formazione delle forze di polizia locali, rafforzare il sistema giudiziario, promuovere i diritti delle donne e combattere la corruzione.

La decisione era già stata annunciata la scorsa settimana dal ministro degli Esteri Heiko Maas, che aveva dichiarato: “Non invieremo un altro centesimo al paese se i talebani lo controlleranno completamente, introdurranno la Sharia e lo trasformeranno in un Califfato”.

Mueller ha poi spiegato che la Germania sta lavorando a ritmo sostenuto per evacuare i funzionari per lo sviluppo locale e gli operatori delle ong che vogliono lasciare il paese.

La Turchia inizia a trattare

Dopo la corsa ai ripari contro l’ondata di profughi afghani e la costruzione di un muro che sarà lungo 295 chilometri al confine con l’Iran, la Turchia fa sapere di essere in trattative con «tutte le parti» del conflitto afghano, compresi i talebani.

In una conferenza stampa nella capitale giordana Amman, secondo quanto riporta la Cnn, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu ha affermato che Ankara ha accolto con favore i messaggi dei talebani sulle missioni diplomatiche e sui cittadini turchi, e si è detto speranzoso di poter vedere le parole trasformate in azioni concrete. Ankara, ha aggiunto, continuerà a sostenere lo sviluppo economico, la stabilità e la pace dell’Afghanistan.

Causoglu ha affermato che la Turchia sta attualmente lavorando per evacuare i suoi cittadini e quelli di altri paesi.

In precedenza, il paese si era offerto di mantenere le sue 600 truppe a Kabul per proteggere e gestire l’aeroporto dopo il ritiro di altri membri della Nato. Ma dal momento che i talebani hanno preso il controllo, non è chiaro se ciò accadrà. Due fonti anonime hanno spiegato all’agenzia di stampa Reuters che questi piani sono stati abbandonati, ma la Turchia era disposta a fornire supporto se i talebani lo avessero chiesto.

Una strana calma piatta

Per le strade di Kabul c’è una strana calma piatta. Il giornalista della Bbc, Malik Mudassir, racconta che alcuni negozi hanno riaperto. Le persone, scrive, si aspettano che accada qualcosa da un momento all’altro. Le donne sono nascoste in casa: c’è paura. Mudassir cammina per le strade della città, si aspetta che i talebani che gli camminano di fianco, lo fermino: non succede nulla. È strano anche per lui. 

Eppure, sembra che la strategia pacifica messa in atto dai talebani sia valida solo nella capitale. Altrove, scrive il quotidiano francese Le Figaro, aumentano gli abusi, tra sequestri e gravi violazioni dei diritti umani. A Ghazni, Kandahar e in altre province afghane, i talebani hanno arrestato e giustiziato soldati, polizia e civili additati come collaboratori governo afghano. Sarebbero stati segnalati matrimoni forzati in tutto il paese, scrive ancora il quotidiano parigino. 

L’Iran non chiude l’ambasciata

L’Iran ha fatto sapere che l’ambasciata di Kabul è ancora aperta. Il ministero degli Esteri iraniano ha affermato, infatti, che la sua ambasciata rimarrà aperta e operativa, così come resterà attivo il consolato iraniano a Herat.

L'Iran ha rivelato durante il fine settimana di aver segretamente chiuso tre dei suoi cinque consolati in Afghanistan e trasferito i suoi diplomatici nella sede dell’ambasciata a Kabul, alcuni dei quali sono stati richiamati a Teheran.

Divieto di entrare nelle case

Il capo della Commissione militare dei talebani, Mullah Yaqoob, ha emesso un decreto in cui vieta di entrare nelle case degli afghani, soprattutto nella città di Kabul. La dichiarazione arriva dopo le notizie non confermate secondo cui il gruppo era entrato nelle case delle persone nella capitale.

La promessa dell’amnistia

Nonostante i timori del popolo afghano sull’incertezza del futuro che li attende, sotto il controllo dei talebani, questi ultimi hanno cercato di riportare la calma esortandoli a tornare al lavoro e a «riprendere la routine».

Enamullah Samangani, membro della commissione culturale dei talebani, ha rilasciato una dichiarazione all’emittente televisiva di stato afghana, in cui ha annunciato che il suo gruppo garantirà un’amnistia generale per tutti gli ex funzionari del governo, che non dovranno avere alcun timore. Il sindaco di Kabul e il ministro della Sanità in carica, infatti, già questa mattina avrebbero ripreso la loro attività. Tuttavia, secondo quanto riportato anche da Le Figaro, sono diverse le fonti che a Kabul dicono che i combattenti islamici avrebbero già stilato le liste con i nomi degli afghani che hanno cooperato con le forze straniere e sarebbero per questo ricercati.

Samangani si è poi rivolte alle donne, le più spaventate attualmente, rinchiuse in casa nella speranza di non essere trovate dai fondamentalisti. Anche loro sono state invitate a entrare nell’amministrazione del paese. «L’Emirato islamico non vuole che le donne siano vittime. La struttura del governo non è stata completamente chiarita, ma in linea con la nostra esperienza, dovrebbe esserci una piena leadership islamica e tutte le parti dovrebbero partecipare», anche le donne, dunque, ma nel rispetto della legge della Sharia.

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