È il leader politico dei talebani, e con ogni probabilità l’uomo che gestirà la transizione ora che gli “studenti coranici” hanno portato a termine la riconquista dell’Afghanistan, con la presa di Kabul.

Abdul Ghani Baradar è il candidato numero uno alla presidenza del governo ad interim afghano. È tornato nel suo paese – affermano organi di stampa internazionali – domenica, il giorno in cui le forze talebane sono entrate nella capitale dopo la fuga in esilio del presidente Ashraf Ghani.

Nel 2018, Baradar è stato liberato dalla prigione in Pakistan dove era stato rinchiuso otto anni prima, per gestire i negoziati di Doha tra talebani e Stati Uniti, voluti dall’ex presidente Donald Trump.

La resistenza contro i sovietici

Classe 1968, nato nella provincia di Uruzgan, Baradar ha combattuto contro l’esercito sovietico che aveva occupato il paese negli anni ‘80.

Dopo il disimpegno di Mosca a inizio anni ‘90, Baradar istituì una madrasa, una scuola coranica, con il suo ex comandante e presunto cognato Mohammad Omar, meglio conosciuto come il mullah Omar, fondatore e guida spirituale dei talebani fino alla sua morte nel 2013.

Baradar e Omar sono i fondatori del movimento degli “studenti coranici”, dediti alla purificazione religiosa dell’Afghanistan e alla creazione di un emirato.

Insieme prendono il potere nel 1996, dopo una serie di inaspettate e rapide vittorie militari che ricordano quelle degli ultimi giorni: Baradar, nel suo ruolo di stratega, viene considerato l’artefice di quei successi.

Dopo l’11 settembre

Tra il 1996 e il 2001, Baradar ricopre ruoli militari e amministrativi, tra cui la carica di viceministro della Difesa. Poi l’esilio in Pakistan, dopo l’invasione americana successiva all’attentato dell’11 settembre contro le Torri gemelle: il regime talebano era accusato di nascondere e proteggere Osama Bin Laden, leader di Al-Qaeda e artefice dell’attacco terroristico.

In Pakistan, Baradar continua a ricoprire un ruolo di guida dei talebani, diventando uno dei capi della Shura di Quetta, il governo in esilio, in contatto con quello legittimo di Kabul e spesso poco in sintonia con le posizioni dell’Isis.

Il leader talebano viene arrestato nel 2010, dopo essere stato rintracciato dalla Cia: la decisione arriva direttamente dalla Casa Bianca, allora abitata da Barack Obama.

I negoziati di Doha

Rimane in carcere per otto anni. Liberato nel 2018, partecipa ai negoziati in Qatar con Zalmay Khalizad, l’inviato speciale della presidenza Usa che gestisce le trattative con i talebani per conto di Donald Trump. È stato lui a firmarlo nel 2020 per conto del movimento.

Sarebbe tornato a Kabul, dopo venti anni di esilio, domenica, nelle ore successive la riconquista della capitale da parte dei suoi uomini. E ora si appresterebbe a gestire la transizione come capo del prossimo governo.

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