Gangster-terrorismo: così lo chiamano in Africa, in particolare in Nigeria e Sud Africa dov’è diventato una triste e ripetuta realtà a causa dei rapimenti. Si tratta di una particolare evoluzione della violenza diffusa in cui si intrecciano elementi spuri di jihadismo con altri provenienti dal banditismo e dall’avidità del facile profitto. A guardar bene non c’è molta differenza con l’ibridazione tra narcotraffico e delinquenza comune in Messico o America centrale.

L’industria dei sequestri

L’ibrido è concepito nel crogiuolo della struttura della violenza; gli ingredienti che utilizza per forgiarsi dipendono dal luogo in cui ciò avviene. Ormai quella dei sequestri è divenuta un’industria sia in Nigeria che in Sud Africa, tanto che sono state create speciali unità di polizia per contrastarla, per lo più invano. Rapire una persona e richiedere un riscatto nelle 24 ore successive o nel giro di pochi giorni è diventato un’impresa facile da gestire e un modello “da esportare”.

Tali sequestri lampo, all’ordine del giorno in Centroamerica, stanno divenendo la norma anche in Africa, soprattutto nei paesi con più alta concentrazione di ricchi. Ma non solo. In Nigeria ad esempio va ormai di moda il rapimento di intere classi di adolescenti per poi estorcere più denaro possibili ai loro genitori.

In genere si ha l’idea che si tratti di una particolare e crudele attività svolta quasi esclusivamente dal gruppo jihadista Boko Haram, in particolare dopo il famosissimo sequestro delle ragazze di Chibok dell’aprile del 2014.

La vicenda ha fatto talmente scalpore da creare una campagna internazionale (#BringBackOurGirls) a cui hanno partecipato importanti personaggi internazionali della politica e dello spettacolo, tra cui la first lady dell’epoca, Michelle Obama. Da quel giorno di rapimenti di gruppo ce ne sono stati diversi ma nessuno ha suscitato la medesima eco. Soprattutto non sono stati tutti commessi da Boko Haram.

E anzi, sembra quasi che il rilievo dato alle ragazze di Chibok, abbia fatto scattare qualcosa nelle menti di gruppi criminali nigeriani, tanto da creare numerosi epigoni.

In Sud Africa accade il medesimo processo imitativo, compresa l’ibridazione con il jihadismo: a metà dell’anno scorso in uno dei casi in cui la polizia di Johannesburg è riuscita a intercettare e arrestare un’intera gang di sequestratori (denominate Kre: kidnapping, ransom, extorsion), tra le armi del covo sono spuntate fuori varie bandiere nere dell’Isis e alcuni manuali jihadisti. Aggravante: tra i membri sudafricani della banda c’erano somali ed etiopici. Ripercorrendo le tracce degli arrestati, si è giunti a precedenti attacchi alla moschea sciita nella regione di Durban e a tentativi di rapimenti in quell’area. Tenendo conto di ciò che sta accadendo nel vicino Mozambico, molti a Pretoria si chiedono se l’Isis non stia tentando uno sbarco a sud del fiume Rovuma che divide i due stati. I sequestri sono comunque aumentati in tutto il paese: +130 per cento in dieci anni (da 2.800 nel 2010 a 6.600 nel 2020).

Commistioni criminali

Ciò che colpisce è la capacità del jihadismo contemporaneo di mescolarsi alle realtà criminali locali e di servirsene per i suoi scopi. Contemporaneamente impressiona – come nel caso della Nigeria – l’abilità dei terroristi di creare proprie imitazioni per poi condizionarle. Tutto si miscela e si confonde, causando un mix brutale davanti al quale le istituzioni pubbliche sono del tutto impreparate. D’altronde già nel 2019 il Consiglio di sicurezza dell’Onu faceva stato di tali commistioni: «I terroristi beneficiano del crimine organizzato (…) inclusi i rapimenti per riscatto», si legge nella risoluzione 2482/2019.

Alcuni esperti sostengono che laddove fiorisce un segmento incontrollato di società criminale, i jihadisti trovano facilmente ospitalità logistica, armi e soprattutto reti di finanziamento. Il gangster-terrorismo ha ormai esteso i suoi tentacoli in tutta la regione australe, contaminando e manipolando le reti illegali della droga, delle armi, del traffico di esseri umani o delle materie preziose.

Anche Boko Haram fa scuola: un rapimento di massa di 300 studenti nel dicembre 2020 viene loro attribuito dopo una confusa e ambigua rivendicazione. L’azione infatti si svolge a Kankara, molto lontano dalla tradizionale zona di operazioni del gruppo. Sorprendentemente questa volta il governo decide di trattare. Dopo sei giorni i ragazzi vengono liberati dietro riscatto. Un mese dopo 8 bambini vengono presi nei pressi della capitale Abuja. Quarantaquattro ragazzi vengono rapiti a febbraio a Kagara nel centro del paese. Qualche giorno prima erano stati rapiti una ventina di adulti che tornavano da una festa di matrimonio e una cinquantina di passeggeri di un bus, sequestrati per tre giorni. Alla fine di febbraio è la volta di 317 studentesse nello stato di Zamfara. Tutti vengono liberati dopo il riscatto. Si comincia a capire che non si tratta di Boko Haram ma di banditi che agiscono in nome dell’organizzazione o sotto mentite spoglie. L’obiettivo è fare soldi presto, evitando i problemi logistici che un lungo sequestro comporta. In alcuni casi i governatori locali annunciano di aver intavolato trattative per la resa dei gruppi: offrono case e lavoro ai “pentiti”. Per ogni kalashnikov reso vengono date due vacche. Qualcuno accetta. La polemica esplode nel paese: ricompensare i banditi non rischia di allargare il fenomeno?

Scuola e lavoro

Nel caos generale causato dalla raffica di sequestri, riemergono le vecchie diatribe: c’è chi sostiene che a rapire sul modello Boko Haram siano i peul-fulani, da sempre invisi alla popolazione del centro-sud della Nigeria ma non troppo amati nemmeno dalla maggioranza haussa del nord. I casi di scontri violenti per la transumanza e l’accesso ai pascoli (terre libere o punti d’acqua) sono all’ordine del giorno in Nigeria come in altri stati confinanti. In genere si sa come trattarli ma l’inasprimento del clima generale, causato dalle vicende maliane e dalla narrazione del sahelistan che sta avvelenando tutta l’Africa occidentale, rende ogni conciliazione più difficile. Vedere circolare liberamente alcuni capi gangster dopo essere stati “perdonati” dalle autorità, fa arrabbiare molti nigeriani. Numerosi genitori, soprattutto a nord, iniziano a rifiutare di mandare i figli a scuola per paura dei rapimenti. In altri casi sono i governatori stessi a chiudere gli istituti quando non possono garantire la loro difesa.

Si provoca un circolo vizioso: la scuola è infatti l’unica possibilità per le bambine di emanciparsi, sfuggendo ad esempio ai matrimoni precoci, soprattutto nella regione settentrionale islamica del paese. Gli effetti sul sistema educativo della Nigeria saranno devastanti.

Due giovani nigeriani su tre sono disoccupati o vivono di espedienti: il serbatoio per la manovalanza criminale e/o jihadista è potenzialmente enorme. Mentre le Chiboke girls non sono tornate tutte (alcune sono “sposate” ai terroristi che non le lasciano), negli altri casi sono tornati sempre tutti, salvo in caso di morte (com’è accaduto a 3 ragazzi uccisi per fare pressione sui parenti, durante un ennesimo rapimento di studenti a Kaduna l’aprile scorso). Ai rapitori interessano i soldi più di ogni altra cosa, anche se mantenere un velo di ambiguità e incertezza sul contatto con Boko Haram fa loro gioco.

Le cifre dell’industria gangster-terroristica nigeriana sono eclatanti: dopo i fatti del 2014, i rapimenti hanno iniziato a generalizzarsi dal 2018, toccando un picco di oltre 1.100 l’anno scorso. Per ora nel 2021 si è già superata quota 600. Anche sulle vittime civili della violenza esiste un parallelo tra Boko Haram e delinquenza comune: nel 2020 il gruppo jihadista ha provocato 3.000 vittime; la criminalità organizzata 2.700.

Mentre il sud rimane economicamente dinamico, il resto del paese sta subendo le conseguenze della varie crisi (finanziaria, pandemica). Per questo la manovalanza per azioni criminali e terroristiche è sempre disponibile.

Gli stessi peul-fulani si organizzano in milizie di autodifesa, rafforzando il ciclo della stigmatizzazione. D’altronde la politica del presidente Buhari (un peul anche lui) è di chiedere ai cittadini di autodifendersi, aumentando il tasso di violenza generale. In Sud Africa come in Nigeria tutto il settore informale dell’economia – si pensi ai minatori illegali, ai mandriani e pastori, ai trasportatori e così via – sta partecipando a un ciclo di violenza che potrebbe trasformarlo nel principale vettore della violenza jihado-criminale. In altre parole: il gangsterismo da sopravvivenza in Africa ha trovato nel jihad armato un modello e un moltiplicatore operativo ma anche una possibile copertura narrativa e simbolica. Nel Sahel qualcosa di simile sta accadendo, anche se in un ambiente molto meno ricco in risorse e uomini. Anche il nord Mozambico sta diventando un prototipo di ibridazione. Tale originale schema africano diventa la reazione violenta all’atomizzazione globalistica e al fallimento degli stati.

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