Il Mali, travolto da decenni di instabilità, conflitto e penetrazione jihadista, alle prese con una delicata fase di transizione politica dopo due colpi di stato tra il 2020 e il 2021 nel giro di nove mesi, può scavare nel suo passato per cercare soluzioni ai suoi malanni.  Decine di migliaia di manoscritti, alcuni risalenti all’XI secolo, testimonianza di una cultura raffinata, di grandi capacità di governance politica e di abilità nella risoluzione dei conflitti, sono stati miracolosamente recuperati e, dopo un sapiente lavoro di bibliotecari, studiosi, esperti locali e internazionali, resi pubblici su Google Arts & Culture.

Nel 2012, truppe di jihadisti entrarono a Timbuctù e presero il controllo della città, ora divenuta secondaria, ma una volta considerata il più prestigioso dei numerosi centri di apprendimento islamico nell’Africa occidentale di epoca pre-coloniale. Dopo aver devastato varie opere d’arte, i fondamentalisti diedero alle fiamme biblioteche e libri scagliandosi contro i manoscritti antichi considerati blasfemi e devianti dalla vera fede.

La fortuna ha voluto che la furia anti-culturale e iconoclasta jihadista abbia portato gli estremisti a bruciarne solo una parte. Nel 2013, un’equipe di studiosi, con estremo coraggio e amore per il proprio patrimonio culturale, ha inscenato un’operazione di recupero degna di Hollywood, che prevedeva la sottrazione dei rimanenti manoscritti nonostante fossero letteralmente sotto il naso dei jihadisti. Così, come riporta il New York Times, dopo anni di meticolosa conservazione, catalogazione e digitalizzazione, sono stati prima tradotti in inglese, francese, spagnolo e arabo moderno e poi resi disponibili per chiunque su Google Arts & Culture.

Si tratta di più di 40mila pagine di una delle più grandi biblioteche di Timbuctù che raccoglie testi dall’XI secolo fino all’Ottocento. Al di là del grandissimo valore culturale, il miracoloso salvataggio ha il merito di riportare alla luce una serie di documenti che hanno diffuso scienza e sapere e regolato la vita pubblica del paese saheliano e dell’area, favorendo un clima di benessere e pace a milioni di individui. Il corpus fa parte di un tesoro di decine di migliaia di antichi documenti legali e notarili, copie del Corano, scritti scientifici e filosofici, componimenti poetici o trattati sulla pace e la convivenza, per secoli conservati dalle famiglie dei notabili della società maliana o affidati a biblioteche.

La scoperta è sensazionale. Innanzitutto dimostra che gli africani sapevano scrivere prima di molti altri popoli. La produzione scritta in tutto il continente è precedente a quella di altre aree, al contrario di quanto sostenuto dalle narrazioni dei colonialisti e degli studiosi occidentali che hanno descritto a lungo quelle africane come società orali piuttosto che letterate.

Poi rende disponibile la lettura di testi di giurisprudenza, scritti sul profeta Maometto e sul misticismo, così come trattati di scienza, medicina, matematica, astronomia e astrologia, oltre alla logica, alla filosofia, alle scienze esoteriche, dall’alto valore culturale. Ci sono testi che parlano di sessualità, diari di viaggio e documenti che rivelano che gli studiosi avevano scoperto che la terra girava intorno al sole più o meno nello stesso periodo in cui operava Galileo. Gli intellettuali maliani iniziarono a utilizzare la matematica, inoltre, molto prima degli scienziati di altre parti del mondo.

Infine, le perle più utili e attuali, sono rappresentate dagli scritti che trattano di pace e riconciliazione. Ce ne sono molti, alcuni esplicitano le tecniche per favorire dialogo e calma, altri si riferiscono all’impossibilità di sviluppo in situazioni di conflitto, altri ancora studiano e propongono metodi concreti di risoluzione. Tra i più noti vi sono i testi di Omar Tall, studioso, politico e leader militare nato negli anni Novanta del XVII secolo, nei quali l’intellettuale, utilizzando argomenti religiosi, cercava di mettere fine a un sanguinoso conflitto tra i due imperi di Borno e Sokoto, che ha interessato a lungo l’Africa occidentale e che ricorda molto da vicino le guerre e gli scontri che caratterizzano il Sahel ai giorni nostri.

Oppresso ormai da dieci anni dalla penetrazione jihadista a cui l’intervento francese e occidentale non ha saputo porre margine, il Mali deve fare i conti anche con una serie di conflitti locali che contribuiscono a una situazione di grave instabilità in cui il paese versa da molto tempo. Tra questi, si annoverano le secolari frizioni tra i Fulani (circa il 15 per cento della popolazione), nomadi e prevalentemente musulmani, e i Dogon (9 per cento della popolazione ), di varie fedi e sedentari. Nella zona del Mali centrale, con epicentri nelle cittadine di Mopti e Bandiagara, gli scontri causano morti ed esodi enormi.

Il tesoro, finalmente riportato alla sua immensa dimensione culturale dopo secoli di sottomissione a predatori coloniali e, in ultimo, degli jihadisti, rappresenta un patrimonio immenso per un paese tormentato come il Mali. Gli restituisce una storia di grande spessore, gli riconsegna quelle energie a cui attingere per provare a ritrovare pace, sviluppo a partire da sé.

Il Rapporto annuale Onu su bambini e conflitti 

È stato pubblicato lo scorso 11 luglio il rapporto annuale delle Nazioni unite sui bambini e i conflitti armati (Caac). Il report accende ciclicamente un riflettore sulla drammatica condizione dei minori intrappolati, coinvolti o costretti a partecipare alle guerre. Oltre ai traumi, le fughe, i ferimenti, le uccisioni di cui sono vittime, i bambini subiscono gravissimi danni in modo “accidentale” a causa di residuati bellici esplosivi, mine antiuomo e ordigni esplosivi improvvisati: nel 2021 quasi il 40 per cento di tutti i casi di morte e mutilazione di bambini sono riferibili a queste evenienze. Tra i cinque paesi più colpiti dal fenomeno ci sono due africani: insieme a Israele e Territori palestinesi occupati, Siria e Yemen, figurano Repubblica Democratica del Congo e Somalia. Ma destano grande preoccupazione per l’anno in corso le situazioni di Etiopia, Mozambico e Ucraina.

Secondo il rapporto, nel 2021 ci sono state 24mila gravi violazioni accertate contro i bambini, una media di circa 65 violazioni al giorno. L’uccisione e la mutilazione di bambini è la violazione grave più verificata, seguita dal reclutamento e dalla negazione dell’accesso umanitario. Tra gli effetti indiretti che colpiscono drammaticamente i bambini ci sono poi gli attacchi alle scuole e agli ospedali che hanno registrato un aumento lo scorso anno e allontanato tantissimi minori dall’istruzione e dall’accesso alle cure. Sarebbero poi poco meno di 3mila i bambini detenuti per la loro effettiva o presunta associazione con parti in conflitto: una situazione che li rende particolarmente vulnerabili alla tortura, alla violenza sessuale e ad altri abusi.

“Country Queen”, la prima serie Netflix prodotta interamente in Kenya

Debutta la prima serie Netflix prodotta interamente in Kenya. Da venerdì 15 luglio è disponibile sulla nota piattaforma, il dramma familiare Country Queen che segna l’inizio di un significativo investimento nel cinema africano da parte della società di streaming americana. Girata in inglese, swahili e in un mix di altre lingue locali (e disponibile con i sottotitoli in italiano), la serie presenta una protagonista femminile e racconta la vita di cittadini keniani che lottano contro il potere delle multinazionali e il fenomeno del land-grabbing.

La serie mostra il Kenya delle grandi città ma getta uno sguardo di denuncia sulle società rurali che soffrono per lo sfruttamento di terre e individui. Inevitabili gli intrecci amorosi, il tradimento e i colpi di scena, affiancati dai temi sociali delle denuncia. Country Queen segna il passaggio dall’“edutainment” di produzione locale al lancio di proposte che riflettono la complessa realtà della vita in Kenya. Come riporta Nigrizia, la compagnia americana ha già applicato la stessa logica dal 2016 in Nigeria e Sudafrica e punta ad allargare il mercato africano ancora tutto da esplorare.

NEWS DAL CONTINENTE:

  • REGIONI ANGLOFONE DEL CAMERUN                   

A Kumba, nel sud-ovest del Camerun, in una delle zone più critiche della regione anglofona, Il 15 luglio è stato ucciso un noto leader separatista, Leke Olivier Fongunueh, capo dei Red Dragons di Lebialem. Il colpo, giudicato decisivo dal governo centrale perché mette fine alla vita di uno dei più temuti leader delle milizie armate che chiedono l’indipendenza, è stato messo a segno dal Rapid Intervention Battalion, una forza speciale utilizzata in gran parte nel conflitto in quell’area. L’episodio ha una certa importanza proprio per il rilievo del personaggio ucciso, a capo di una frangia delle milizie indipendentiste tra le più agguerrite, causa di terrore in tutta l’area. Le autorità insistono sul fatto che questo successo militare dimostra il cambiamento radicale dell’equilibrio di potere nella guerra. Ma l’operazione rischia di esacerbare ulteriormente gli animi e aumentare le tensioni di cui sono le popolazioni civili le vittime principali, strette tra le violenze dei separatisti e le brutalità dell’esercito.

  • CIAD                    

Il governo ciadiano ha dichiarato che terrà un dialogo nazionale a partire dal 20 agosto, in vista delle elezioni promesse dal presidente ad interim Mahamat Idriss Deby, salito al potere dopo la morte del padre lo scorso anno. Deby, 38 anni, si è dichiarato capo di un Consiglio militare di transizione nell’aprile 2021 dopo che suo padre, Idriss Deby, a capo del Ciad per molto tempo, era stato ucciso mentre visitava le truppe che contrastavano una rivolta armata nel nord del paese.

  • UNIONE AFRICANA        

Il vertice di coordinamento dei capi di stato e di governo dell’Unione africana è iniziato il 17 luglio a Lusaka, in Zambia. L’incontro si concentra sulla sicurezza alimentare, sul rafforzamento dell’agricoltura, sull’accelerazione del capitale umano e sullo sviluppo sociale ed economico del continente.

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