Quando nel marzo di quest’anno in Antartide si è sciolta la Conger ice shelf, una piattaforma di ghiaccio con una superficie pari a quella della città di Roma, il mondo degli analisti di politica internazionale e di geopolitica non ha risentito particolarmente del collasso avvenuto in una delle aree più remote e pacifiche del pianeta. Le periferie del mondo interessano infatti a fasi alterne, tra alti e bassi; oggi interessano soprattutto durante le guerre, anche se generalmente riescono a raggiungere la curiosità solo di pochi temerari e anticonformisti.

L’Antartide è, a ben vedere, uno scenario geopolitico squisitamente periferico, nel quale non si sono mai intersecate le rotte marittime tra grandi potenze né si è mai costituito un cosiddetto “mediterraneo”. La regione ha maturato un regime internazionale tra i più efficaci al mondo, ma del quale ci dimentichiamo spesso, fagocitati da crisi su scala globale. L’imprevedibilità della crisi climatica sembra non averci insegnato molto sull’arte di porci domande: per questo l’Antartide ci risulta sempre un po’ noiosa. È sostanzialmente assente nella grand strategy delle grandi potenze, è regolarizzata da un trattato ed è addirittura demilitarizzata.

Sarà la sua assenza nel dibattito internazionale forse il suo più grande successo? Oppure oggi qualcosa sta maturando, come sembra dirci il collasso del ghiacciaio Conger, e forse non ce ne siamo mai accorti?

Una storia di cooperazione

Quando qualcosa funziona, non ci si pone molte domande. L’Antartide ha funzionato per decenni – escluse le inevitabili tentazioni territoriali ed economiche che emergono ciclicamente, anche in sordina – e di fatto funziona ancora: sotto questo aspetto, la  differenza con l’Artico non è poca.

Le radici del regime antartico affondano nella Guerra fredda, relativamente pochi anni prima della crisi dei missili di Cuba. L’International geophysical year del 1958-1959 è stato uno straordinario momento di cooperazione scientifica internazionale, al quale hanno partecipato più di sessanta stati appartenenti a entrambi gli schieramenti, Unione sovietica inclusa (grande assente era la Repubblica popolare cinese). Non era la prima volta: l’evento è stato a tutti gli effetti una nuova edizione in tempo di Guerra fredda dell’Anno polare internazionale, tenutosi per la prima volta a fine Ottocento (1882-1883) e per la seconda volta durante gli anni Trenta (1932-1933).

In questo senso, l’Antartide ha avuto un peso notevole nella ricerca geofisica, fungendo da gigantesco laboratorio per la raccolta di dati fondamentali (anche) per provare l’aumento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera, lavoro già iniziato dalla Scripps institution of oceanography alle Hawaii e coordinato da uno dei fondatori della ricerca scientifica sul cambiamento climatico, Charles Keeling (da cui il famoso grafico della Keeling curve). Le misurazioni condotte in Antartide hanno rafforzato le ricerche già avviate precedentemente per scopi militari, ma presto abbandonate a favore di altri hot topic dell’agenda militare.

In questa storia di puro successo cooperativo non solo l’Antartide è stato uno dei nodi cruciali della storia della scienza, ma grazie alla cooperazione diplomatica e scientifica dell’International geophysical year sono state poste le basi anche per un regime antartico, entrato poi in vigore nel 1961. Alcuni tra i principali partecipanti (Stati Uniti e Unione sovietica compresi) hanno firmato e ratificato negli anni immediatamente successivi il Trattato di Washington, accordo multilaterale che avrebbe permesso di congelare le rivendicazioni territoriali in Antartide e sancito l’uso pacifico del continente. Da allora numerosi stati si sono aggiunti al regime antartico, cementando così una cooperazione scientifica internazionale straordinaria alla quale partecipano attori da tutto il mondo – alcuni già attivi sul fronte artico, altri addirittura privi di uno sbocco sul mare.

Il valore scientifico dell’Antartide, al di là della vicinanza geografica o politica, è fondamentale per il bene comune dell’umanità: non è necessario rivendicarne porzioni per essere interessati ai preziosissimi dati della storia del nostro pianeta, dati che emergono dall’atipica conservazione del territorio artico, con tutte le ricadute che ciò può avere sullo sviluppo di nuove tecnologie. Dalle quali, però, non è stato escluso nessuno.

Il confronto con l’Artico

Anche un paragone tra Artico e Antartide – con il secondo quasi sempre destinato a vivere nell’ombra del primo – è di fondo ingiustificato, per quanto ormai impossibile da evitare. Se pure i due scenari sono accomunati dal clima polare e da una collocazione globale paragonabile, in realtà giocano un ruolo e un peso diverso all’interno delle dinamiche internazionali.

Ancora una volta, troviamo una matrice geografica non indifferente. L’Artico è un perno attorno al quale si affacciano grandi potenze, tra cui ex-superpotenze caratterizzate da una portata geostrategica globale, corroborate da vettori militari che vanno via via aumentando e che negli anni della Guerra fredda hanno visto una militarizzazione fortissima; esso resta un mare – argomento puramente geopolitico, quindi – che permette una difficoltosa navigazione, così come una regione regolata da un trattato che, per la natura dell’oggetto e per il contenuto dell’accordo, lascia aperte diverse spirali di rivendicazione.

L’Antartide è invece un continente il cui attraversamento non garantisce significativi vantaggi, nonostante si trovi in mezzo a una galassia di medie potenze, tutte in ogni caso troppo lontane dal Polo Sud. Inoltre, scalfire il valore di prestigio risultante dalla cooperazione scientifica antartica – effettivo e plastico nella presenza e nel lavoro dei team di ricerca multinazionali in stazioni permanenti, a sua volta – risultato con ogni probabilità delle difficili condizioni d’accesso al continente e della “poco interessante” collocazione geografica, è un azzardo più che notevole. A livello globale, per decenni l’Antartide è rimasto un raccordo in quella che per il grande geopolitico edoardiano Halford Mackinder restava un anello marginale esterno, l’Outer Crescent.

L’Antartide oggi

Quando cambia la geografia, cambia la cornice che influenza (ma certamente non determina) l’azione umana. Quest’anno l’Antartide ha vissuto un record di temperatura mai sperimentato finora. Il collasso del ghiacciaio Conger, avvenuto nell’area più fredda del continente, porta con sé un’altra amara e sconcertante verità: nessuno lo aveva previsto, nemmeno gli scienziati. Se la crisi climatica diventa sempre più veloce e imprevedibile, non ci sarà più possibile “controllare” la geografia, l’unico elemento eterno nella costellazione dei fattori che condizionano politica, società, economia.

In questi ultimissimi anni, la crisi climatica trascina dietro di sé una catena di eventi, bistrattati per anni dal dibattito accademico, maneggiati (in modo serio) solo da una manciata di professionisti: conosciamo già la sorpresa che hanno generato una guerra di invasione in Europa e una pandemia. Anche in Antartide, come sempre, i sospettati (già prima di quest’anno) sono coloro che attaccano l’ordine internazionale: la Cina – la cui attività, dicono alcuni, presenta i prodromi di uno slancio predatorio in contrasto con i trattati in vigore – e la Russia, che nel 2021 per la prima volta inserisce l’Antartide nella propria National security strategy.

In un’èra di crisi strutturale, concentrarsi sull’Antartide, scenario silenzioso e rassicurante, è difficile: noi non possiamo più contare sull’eternità del dato geografico e l’Antartide resta a osservarci dall’ombra dell’imprevedibilità. Un continente dove diversi avevano immaginato, sotto il manto del ghiaccio e della pacifica cooperazione scientifica, mostruosi pericoli soffocati dalla terra e dal ghiaccio, dagli shoggoth di lovecraftiana memoria alla “Cosa” tanto cara alla fantascienza. E il ghiaccio si sta già sciogliendo.

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