Non è chiaro se la monarchia di re Salman creda effettivamente nel contrasto al cambiamento climatico oppure stia compiendo scelte guidate dalla necessità economica di dipendere sempre meno dal petrolio, ma l’ambizioso programma Saudi Vision 2030 del principe ereditario Mohammed bin Salman, punta, tra le altre cose, a far diventare il settore minerario il terzo pilastro economico del paese.

E il messaggio è stato recepito anche dal ceo del Saudi geological survey, Abdullah bin Muftar al Shamrani, il quale ha annunciato tramite il quotidiano vicino alla famiglia reale, Arab News, che il governo triplicherà la spesa per l’esplorazione dei metalli nei prossimi tre anni.

In totale, il programma prevede un costo di circa 3,8 miliardi di riyal sauditi (quasi un miliardo di euro). Una scelta che, come spiegato dalla leadership del regno, è dettata dall’aumento del prezzo delle risorse minerarie nell’ultimo anno, che frutterebbero all’Arabia Saudita guadagni per le future estrazioni più alti rispetto alla stima del governo di qualche anno fa, che si aggirava su 1.300 miliardi di dollari.

Cobalto, litio, titanio, rame, zinco sono solo alcuni degli elementi presenti nel territorio e che sono fondamentali per la costruzione di pannelli solari e delle batterie delle auto elettriche, simboli della transizione ecologica globale verso fonti di energia sostenibili e un’economia green.

Infatti, l’Arabia Saudita ha posto il 2060 come l’anno in cui spera di raggiungere la neutralità dal carbone, ma i nuovi investimenti hanno sia l’obiettivo di creare nuovi centri industriali, in zone lontane dalle città per limitare anche la migrazione rurale-urbana nel regno, sia di dare vita a più di 200mila posti di lavoro diretti e indiretti nel settore entro il 2030.

Per facilitare il raggiungimento del suo obiettivo, nel giungo del 2020 la monarchia ha approvato una nuova legge, entrata in vigore lo scorso anno, che facilita l’accesso degli investitori stranieri e nazionali ai finanziamenti e sostiene le attività di esplorazione e di indagine geologica.

A oggi, il settore minerario dell'Arabia Saudita ha creato circa 250 mila posti di lavoro. Di cui una grande fetta ha transitato per la Saudi Arabian Mining Co. Ma’aden, l’azienda posseduta per il 65 per cento dal Public investment found (Pif), il fondo sovrano reale, che stando ai dati più recenti ha un utile netto pari a 2,2 miliardi di riyal sauditi. A facilitare la transizione ecologica saranno anche i paesi terzi. È di qualche giorno fa la visita del presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, nel regno che ha portato alla stipula di diversi accordi per lavorare insieme nello sviluppo dell'economia dell'idrogeno. Seoul sarà così in grado di assicurarsi forniture di idrogeno e ammoniaca a zero emissioni dal reegno, mentre aiuterà Riyadh a gestire la questione delle auto a idrogeno e le stazioni di rifornimento.

Future minerals forum

Lo stile saudita presuppone di accogliere ogni iniziativa in grande stile: eventi, conferenze e festival a cui partecipano ospiti illustri e dalla caratura internazionale. È il modo più diretto e semplice per far entrare soldi stranieri nel paese.

E così, dall’11 al 13 gennaio al King Abdulaziz International Conference Center di Riyadh si è tenuto la prima edizione del Future minerals forum. Alle conferenze parteciperanno 96 speaker tra membri del governo, ministri di altri stati, ceo di aziende e funzionari delle Nazioni unite e della Banca Mondiale. Tra questi solo 8 sono donne.

La giornata dell'11 gennaio si è aperta con un meeting a porte chiuse con i ministri sauditi e le controparti di Egitto, Oman, Bahrain e Iraq, con l’obiettivo di discutere le opportunità minerarie in Africa e Asia centrale.

L’evento, organizzato con i soldi dei più importanti fondi di investimento del regno e sponsorizzato sia da aziende aziende nazionali sia da altre occidentali, ha sì l’obiettivo di attrarre gli investimenti delle imprese straniere ma anche di capire quale sia la reale domanda per il settore minerario nei prossimi 20 anni e studiare le strategie per sfruttare il territorio nel miglior modo possibile. Per questo il know how delle aziende estere che partecipano al forum è cruciale per raggiungere l’obiettivo.

Ma l’evento è un’occasione anche per i grandi annunci, come quello della scoperta di un nuovo sito minerario nella città di Al-Khunayqiyah a sud della capitale, ricco di zinco e rame, e che potrebbe entrare in funzione nei prossimi due anni.

Il ministro dell’Industria e delle risorse minerarie, Khaled Al-Mudaifer, ha annunciato che gli attuali investimenti che ammontano a circa 46 miliardi di dollari, dovrebbero aumentare del 150 per cento nella prossima decade.

Gli investimenti stranieri

Dagli Stati Uniti all’Italia i governi spingono le proprie aziende a investire nel settore minerario in Arabia Saudita. Un campo ancora largamente inesplorato e redditizio. Dopo l’annuncio pubblicato sul sito ufficiale del Dipartimento del commercio americano, anche l’Ice, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, spinge le aziende del Bel Paese a investire nel regno.

Il terreno è fertile, in tutti i sensi, dato che la Saudi Ma’aden è l’unica azienda nazionale che opera nel settore. Con circa 5700 dipendenti le sue estrazioni riguardano elementi come oro, zinco, bauxite, fosfato e alluminio. Ma ciò che preoccupa gli ambientalisti sono le modalità «aggressive» con le quali vengono estratte le risorse.

A questo si sommano diverse incognite, tra cui il rispetto dei diritti dei lavoratori, in un paese in cui la manodopera straniera proveniente da paesi in via di sviluppo, come sottolineato da diversi report, è sistematicamente sfruttata.

Il mercato mondiale

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Nonostante l’entusiasmo interno, l’Arabia Saudita, a oggi, non può competere con altri paesi che hanno dei minerali più richiesti. Poco più del 75 per cento di tutti i minerali estratti si trovano infatti in Cina, Sudamerica e Africa.

Gli scienziati stimano, per esempio, che le riserve globali di cobalto (altamente richiesto nell’industria tecnologica) sono 7,2 milioni di tonnellate e quelle di litio di 14,5 milioni di tonnellate, e si trovano soprattutto in Cile e Cina. Mentre di nichel ne sono ricche Russia, Canada, Indonesia e Filippine.

Tuttavia, il margine di profitto netto dell'industria mineraria è diminuito dal 25 per cento nel 2010 all’11 per cento nel 2020, anno in cui comunque il settore è stato colpito come tanti altri dalla crisi economica dovuta alla pandemia.

Nel 2020, le entrate delle prime 40 aziende minerarie al mondo sono state di circa 656 miliardi di dollari. Un bottino che, nonostante tutto, rimane non indifferente e su cui anche il principe bin Salman vuole metterci le mani.

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