A inizio anno, lo scorso martedì 17 gennaio, si è tenuto in Arabia Saudita un consiglio dei ministri che ha registrato l’accelerazione verso la conquista, da parte della locale monarchia, del settore cruciale per l’economia globale del Ventunesimo secolo: il settore dello svago e dell’intrattenimento, grazie al quale è possibile controllare, indirizzare e riplasmare gli stili di vita e consumo di una platea sterminata.

Nel corso della seduta dell’esecutivo saudita è stata infatti ufficializzata l’attivazione di un fondo dalla missione molto particolare. Denominato Events investment fund (Eif), e istituito con decreto reale del maggio 2019 ma fin qui rimasto inutilizzato, il fondo si presenta come lo strumento cruciale per compiere molti degli obiettivi scritti nel programma strategico Vision 2030, e fissa per l’inizio del prossimo decennio il traguardo di rendere l’Arabia Saudita paese leader nello scacchiere globale.

Il battesimo di Eif certifica anche il passaggio di poteri sostanziali dal quasi nonagenario sovrano, Salman Bin Abdal Aziz al Saud, al figlio Mohammad bin Salman Al Saud, principe ereditario nominato primo ministro a fine settembre 2022. Una mossa, quest’ultima, che oltre a segnare una tappa fondamentale nel percorso di transizione dinastica ha avuto l’effetto di conferire al principe ereditario uno status di immunità, mettendolo al riparo dalle eventuali ripercussioni giudiziarie dell’indagine in corso negli Usa sull’assassinio del giornalista saudita Jamal Kashoggi.

Invero, dal futuro sovrano saudita l’ombra dell’omicidio Khashoggi non è mai stata seriamente presa in considerazione. E ancor meno minaccia di turbarlo adesso, impegnato com’è a portare avanti tramite Eif la strategia di sviluppo del paese. Una strategia che punta su quattro settori: intrattenimento, turismo, sport e cultura. Rispetto a questi, come si legge nella pagina principale del sito Eif, l’Arabia Saudita vuole diventare una events infrastructure powerhouse. L’espressione pomposa sta a significare che il regno saudita intende diventare un grande centro infrastrutturale per attrarre eventi d’interesse globale, per ogni taglia e settore, ma anche che intende generarne di nuovi.

35 nuovi siti

Quanto agli aspetti attrattivo e generativo, i sauditi si sono già portati molto avanti come verrà illustrato fra poco. La vera novità sta dunque nell’elemento infrastrutturale, che è la parte più ambiziosa e impegnativa dello sforzo che Mohammed bin Salman dovrà condurre da qui al 2030. Il principe ereditario ha infatti annunciato che si procederà alla costruzione di 35 siti unici, concepiti per essere altrettanti catalizzatori di eventi.

Rispetto alla mappa dei nuovi siti, il quotidiano Al Riyadh è andato più nello specifico stilando una prima lista per tipi. Si parla di gallerie d’arte, centri congressi, teatri, ippodromi, poligoni di tiro, circuiti per gare motoristiche. L’articolo lascia intendere che la lista è incompleta, ma si premura anche di precisare che lo scopo del piano di opere non è soltanto «rafforzare la posizione del regno come centro globale per varie attività ed eventi relativi a questi settori», ma anche «aumentare le opportunità di attrarre investimenti stranieri». Il tutto in un’ottica che è già oltre la dipendenza da idrocarburi dell’economia nazionale.

Come si legge nel primo testo ospitato dal sito ufficiale del fondo: «Eif contribuisce anche a Vision 2030 con riferimento alla diversificazione dell’economia e all’incremento della quota non petrolifera del Pil, e allo stesso modo supporta la crescita del contributo del settore turistico al Pil annuale, dall’attuale tasso del 3 per cento a più del 10 per cento entro il 2030».

Viene da dire: vasto programma. Senza però omettere che altrettanto vaste sono le risorse disponibili per realizzarlo, così come ferrea è la volontà di realizzare l’obiettivo. Del resto, una parte già notevole del percorso verso la realizzazione di uno status da potenza leader nell’economia globale dello svago e dell’intrattenimento è stata compiuta. A tappe forzate, con un ritmo di crescita da Ogm che potrebbe anche provocare crisi di rigetto.

I tassi di incremento previsti da qui al 2030 sono stati fotografati da uno studio dell’istituto statunitense Research and markets (R&M) pubblicato nel 2021. Valutando le prospettive di sviluppo dell’industria saudita dell’intrattenimento, gli analisti di R&M hanno stimato un balzo da un asfittico punto di partenza, costituito dai 23,77 milioni di dollari prodotti dal comparto nel 2020, a un picco di 1,170 miliardi di dollari entro la fine del 2030. Si tratterebbe di tenere un passo di crescita medio annuo del 46,75 per cento. Una performance mostruosa, nella cui smisuratezza rientrano i 35 siti unici da realizzare entro l’inizio degli anni Trenta. La sua attuazione è stata posta sotto il coordinamento della General entertainment authority (Gea), altra creatura del programma Vision 2030, costituita con decreto del sovrano a maggio 2016 e posta sotto il diretto controllo del fondo sovrano Pif (Public investments fund).

Il mercato interno

La prima missione toccata a Gea è stata quella di edificare dalle fondamenta un mercato interno dell’intrattenimento, dato che un piano di trasformazione di un paese in hub globale non ha alcuna prospettiva di riuscire se manca un mercato interno che faccia da humus.

A questo proposito, un’analisi molto precisa è stata proposta in un articolo pubblicato ad agosto 2022 da Arab News, quotidiano saudita in lingua inglese stampato su carta verde. Nel testo viene descritto il vertiginoso mutamento del mercato interno di svaghi e consumi culturali, in un paese dove soltanto cinque anni fa il settore doveva fare i conti con numerose barriere. Le aggregazioni di massa erano “disapprovate”. La segregazione di genere era un imperativo. E quanto all’industria cinematografica, era un buco nero a causa della chiusura di sale e teatri decretata all’inizio degli anni Ottanta, per dare risposta a un’ondata di islamismo conservatore. Per un trentennio l’approdo della gente saudita ai prodotti dell’industria cinematografica è avvenuto quasi esclusivamente tramite tv satellitare.

Rispetto a una struttura così decrepita dei consumi culturali, gli anni più recenti hanno registrato una svolta. La riapertura delle sale cinematografiche avviata nel 2018 ha riportato gli spettatori in sala e in parallelo si sono moltiplicati concerti ed eventi pubblici. Soprattutto, sono state abbassate le barriere che impedivano la partecipazione mista alle manifestazioni di massa. A ispirare questa politica aperturista è certamente un indirizzo di modernizzazione, ma forse il peso più importante è esercitato da considerazioni di carattere strumentale. È stato infatti posto l’obiettivo di incrementare del 6 per cento i consumi culturali dei cittadini sauditi, a partire da quelli che dovrebbero rendere più florido il turismo interno nel contesto di un segmento di mercato che mira a espandersi fino a toccare il valore di 8 miliardi di dollari. 

Su questo punto è stato esplicito Kaswara Al Khatib, presidente di Webedia Arabia (divisione regionale del colosso globale che sviluppa piattaforme per l’intrattenimento elettronico) e del National events center. Intervistato da Arab News, Al Khatib ha dichiarato: «I sauditi non avranno più bisogno di viaggiare per cercare svago, e gli stranieri possono venire qui e trovare occasioni di intrattenimento nel Regno. Nel mondo contemporaneo non ci si può permettere di essere un paese chiuso che non ha attività di intrattenimento mentre la sua gente può andare all’estero, e questo è stato il principale fattore che ha influenzato il mutamento nella mentalità dei sauditi».

A tutto ciò va aggiunto un dato di carattere demografico che in pieno Ventunesimo secolo non può essere ignorato: la popolazione saudita, che è anche e di gran lunga la più vasta della penisola araba, è composta per circa la metà da under 30. Soggetti le cui esigenze di consumo non possono più essere ignorate, tanto meno represse.

Dunque il doppio versante interno-esterno è l’orizzonte di applicazione delle politiche saudite di sviluppo nel settore dei consumi culturali e di svago. Si punta a stimolare la propensione dei sauditi al consumo in questo settore  e al tempo stesso a raggiungere l’ambiziosa soglia di 100 milioni di visitatori entro il 2030. Obiettivi sempre smisurati, segnati da un’ansia di gigantismo che non prevede gradualità né prende in considerazione eventuali crisi di rigetto. E alla necessità di mixare lo sviluppo del mercato interno con l’espansione globale di un brand saudita costruito attorno al concetto di territorio eventful si è data risposta con un massiccio dispiegamento di forza economica e politica. Si è così avviata una strategia della “festivalizzazione”, che trova fra le principali attuazioni il ciclo delle Saudi seasons, una catena di undici festival regionali inaugurata nel 2019 a cura della Saudi commission for tourism and national heritage.

In ciascuna delle regioni scelte si provvede a esaltare le specificità della cultura locale, magari anche con l’intento di costruire una tipicità che nella logica dell’industria culturale glo-cal può produrre fascinazione sul turismo straniero. E se con l’organizzazione delle Saudi seasons l’accento viene posto soprattutto sull’identità e le tradizioni arabe, con la Saudi entertainment and amusement (Sae) expo l’intento è affondare le radici nell’industria globale del divertimento. Inaugurata nel 2022 e con una nuova edizione programmata per il 28-30 maggio 2023 presso il Riyadh international convention and exibition center, la Sae si propone come «il più grande raduno del medio oriente per l’industria dell’intrattenimento e del divertimento».

L’Opa sullo sport

Una straordinaria effervescenza. Stilare una lista di tutto ciò che la monarchia saudita sta mettendo in pista per alleviare la dipendenza da idrocarburi della propria economia e posizionarsi come un attore centrale nell’economia della cultura globale significherebbe intestarsi un compito di dimensioni esagerate e a rischio d’incompletezza. È già complicato compilare un elenco delle azioni programmate in ciascuno dei quattro settori scelti da Eif per il piano di investimenti. Per esempio quello dello sport, che nel sito del fondo d’investimento è l’unico la cui area tematica risulta al momento inattiva.

Proprio in quest’area l’azione della corona saudita nella realizzazione di Vision 2030 è stata più appariscente. Giunti secondi in un’inattesa sfida col Qatar, nella corsa allo sfruttamento dell’industria sportiva globale come strumento di una politica di potenza, gli Al Saud si sono fatti passare presto il disappunto per essersi lasciati sorprendere dai parvenu qatarioti Al Thani. Ci sono momenti in cui le superbie dinastiche devono cedere il passo al realismo, per non rimanere catturati nella trappola del superiority complex.

Smaltito il disappunto, i reali sauditi hanno capito che sarebbe stato molto meglio copiare il modello realizzato dall’emirato e provare a migliorarlo, mettendoci dentro il peso di una forza economico-politica e di una tradizione culturale di ben altro radicamento. E così è scaturita una campagna che procede a colpi di costose e clamorose acquisizioni successive.

Si è partiti con l’ospitalità delle manifestazioni sportive estere, come la Supercoppa del calcio italiano e quella del calcio spagnolo. Quest’ultima ha ridisegnato il format per andare incontro ai desiderata degli organizzatori sauditi, passando dalla finale secca alla Final four. Lo stesso viene richiesto alla Lega di serie A, in cambio di un piatto ricchissimo: 138 milioni di euro per sei anni, al netto di ogni spesa organizzativa che va a carico dei sauditi.

Ma è ovvio che l’impegno nel calcio non potesse limitarsi a ospitare eventi. Sicché sulla falsariga di quanto già fatto da Qatar (con Paris Saint Germain e Sporting Braga) ed Emirati Arabi Uniti (che hanno costituito il City football group, undici club in undici paesi diversi col Manchester City a fare da centro di rotazione), i sauditi hanno impegnato il fondo Pif nell’acquisizione del Newcastle United, entrando così nel campionato più ricco e mediatizzato del mondo.

Il calcio è soltanto un pezzo di una strategia a tutto campo. Dal 2020 l’Arabia ospita l’ex Parigi-Dakar, gara che al di là delle polemiche regolarmente generate a causa dell’alto rischio rimane un prestigioso pezzo di argenteria dello sport internazionale. I sauditi sono inoltre riusciti a portare a casa una tappa del mondiale di Formula 1, centrando un obiettivo già realizzato dai vicini del Bahrein (che ospitano quasi ininterrottamente dal 2004 una tappa del circuito e continueranno a farlo fino al 2036) e del Qatar (dal 2021). Nel 2021 è stata poi disputata la prima gara del Circus nel circuito di Riad, ma ai sauditi questo obiettivo sembra non bastare. Vogliono il raddoppio, intendono ospitare una seconda tappa annuale presso il circuito di Qiddiya, la nascente città dell’intrattenimento, della cultura e dello sport che punta a diventare il principale polo d’attrazione globale per i tre settori. E ancora, c’è la Saudi Cup inaugurata nel 2020 e salita immediatamente in cima per montepremi alle corse internazionali di cavalli: 20 milioni di dollari.

I sauditi sono fatti così: la concorrenza non si affronta, basta ammazzarla mettendo sul piatto offerte indecenti. Con la medesima logica si stanno annettendo il mercato mondiale degli esports, grazie a un investimento da 38 miliardi di dollari che non dà margini a chicchessia. Hanno realizzato il circuito Liv golf che di fatto è una superlega del golf e ha già drenato alla concorrenza la gran parte dei principali giocatori. Stanno provando a comprare la World wrestling entertainment (Wwe), anche se dopo i primi rumors l’affare è risultato più lontano dalla conclusione di quanto sembrasse. E, tornando al calcio, mirano in alto.

L’acquisizione di Cristiano Ronaldo da parte dell’Al Nassr è l’ennesimo colpo rumoroso, ma l’obiettivo grosso rimangono i mondiali del 2030, stesso anno in cui si mira a ospitare l’Expo internazionale: in termini regolamentari i mondiali non potrebbero tornare in Asia prima del 2034, poiché devono passare almeno due edizioni; ma per aggirare l’ostacolo, i sauditi si sono inventati la formula della candidatura tri-continentale, in associazione con una federazione africana (Egitto) e una europea (Grecia). Ci sarebbero anche da cambiare i regolamenti Fifa, che non contemplano una formula del genere, ma questo è davvero l’ultimo dei problemi per i sauditi. Giusto per rimarcare che qui lo sportwashing non c’entra nulla. Trattasi di pura politica di potenza.

Questione di hybris

Si diceva della dismisura. Una cieca ambizione che porta a voler realizzare tutto ciò che ad altri pare impensabile, agendo come se si avessero a disposizione risorse illimitate. Ma davvero sono illimitate quelle a disposizione della corona saudita? E davvero sono in grado di reggere tanta frenesia espansiva?

Gli interrogativi cominciano a sorgere intorno al più ambizioso fra gli ambiziosissimi progetti sauditi di sviluppo: Neom, la futura smart region che per volere del principe ereditario è in fase di realizzazione nella provincia di Tabuk, nord-ovest del paese. Un progetto super-avveniristico che, fra le altre cose, dovrebbe ospitare i Giochi invernali asiatici del 2029. Budget dell’opera: 500 miliardi di dollari. Ma intorno a Neom i dubbi crescono. La sua sostenibilità ambientale, cioè uno dei connotati maggiormente propagandati, è quantomeno discutibile. Ma anche la sua sostenibilità economico-finanziaria rimane un pesante punto interrogativo.

Le prime proiezioni sullo stato di avanzamento del progetto dicono che il passaggio da rendering e metaversi alla realtà rischia di essere brutale. E le analisi sulla fattibilità lanciano avvertimenti: occhio che qui si va a sbattere. Questione di hybris e di riconoscerla in tempo. Per il momento lo scatto di consapevolezza sembra lontano.

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