A quasi un anno dai tragici fatti, c’è un passo avanti nell’inchiesta attorno agli omicidi dell’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Muastapha Milambo avvenuti lo scorso 22 febbraio in Congo. La Procura di Roma aggiunge all’elenco degli indagati, il nome dell’italiano Rocco Leone, vice direttore nazionale del Pam (Programma Alimentare Mondiale) Congo, all’epoca dei fatti direttore pro tempore, uno dei sette componenti il convoglio partito da Goma la mattina del 22 febbraio 2021 alla volta di Rutshuru, a quello di Mansour Rwagaza, il dirigente congolese d’area del Pam, responsabile della sicurezza della zona e della missione rivelatasi letale, già nella lista da giugno scorso.

Le inchieste

La notifica, inviata a Leone e Rwagaza dai Carabinieri del Reparto antiterrorismo del Ros nella mattinata del 9 febbraio 2022 a conclusione delle indagini preliminari, arriva al termine di un anno in cui le tre inchieste della Procura di Roma, della Procura di Goma e del Pam (affidata al Dipartimento di Sicurezza dell’Onu), partite all’indomani degli omicidi, hanno fatto pochissimi passi in avanti.

Fino a ieri, infatti, l’unico traguardo raggiunto, se si escludono gli arresti eseguiti in maggio e a gennaio scorsi dalla polizia congolese giudicati da molti poco più che propaganda, era stato l’iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma di Rwagaza per omesse cautele nella predisposizione della missione.

Gli scarsi risultati si debbono in gran parte alla inesistente collaborazione dei magistrati congolesi che hanno ricevuto due rogatorie dai nostri senza mai aver risposto e dal reiterato rifiuto dei funzionari Pam a rendere testimonianza, a fronte di continue pressione della stampa, degli inquirenti e, di recente, del ministro Luigi di Maio che in una lettera al direttore del Pam ha domandato «una rapida risposta alla richiesta di elementi utili per le attività investigative in corso». Su questo nuovo avviso, gli inquirenti italiani, ripongono rinnovate speranze di giungere a risultati più probanti, in grado di fare luce e aggiungere evidenze al percorso verso l’accertamento della verità.

Leone, infatti, oltre ad avere il massimo grado apicale dell’ente delle Nazioni Unite in Congo, era presente all’agguato essendo uno dei quattro sopravvissuti dei sette componenti l’equipaggio. È un testimone diretto, ha assistito in prima persona allo svolgersi dei tragici eventi e, in qualità di responsabile supremo, ha messo la sua firma di fatto su tutte le decisioni precedenti alla partenza del convoglio rivelatesi poi criminali oltre che fallimentari. È un personaggio chiave e da oggi dovrà rispondere non più solo come testimone dei fatti – così come avvenuto per tre volte,  nei mesi immediatamente successivi, in interrogatori svolti dai carabinieri del Ros  - ma come indagato.

Le accuse a carico suo e di Rwagaza sono pensatissime. La Procura gli contesta, in quanto  organizzatori della missione, una serie di omissioni per negligenza e imprudenza. In particolare, i due avrebbero presentato la richiesta di permesso alla missione solo 12 ore prima  e non 72 come previsto dal protocollo degli uffici locali del Dipartimento di sicurezza Onu. Con così breve lasso di tempo, il permesso viene rilasciato solo a funzionari interni al Pam e per ottenerlo i due avrebbero dichiarato il falso e fatto comparire i nomi di due dipendenti del Programma Alimentare mai partiti al posto di quelli di Attanasio e Iacovacci.

L’omissione

Ma la cosa ancora più grave, che avrebbe poi de facto decretato il finale tragico del viaggio, è che i due dirigenti avrebbero omesso, in piena violazione dei protocolli Onu, di informare cinque giorni prima del viaggio, la missione di pace Monusco che si occupa di fornire indicazioni specifiche in materia di sicurezza, di suggerire cautele da adottare e, nel caso, di predisporre una scorta armata e veicoli blindati.

Anche in questo caso, la comunicazione è arrivata in grave ritardo. A quanto sembra, Leone e Rwagaza avrebbero agito così per aggirare la burocrazia interna che prevede l’assegnazione di una sola macchina quando il preavviso è così breve.
Risultano poi omissioni anche nella valutazione di rischio del percorso da effettuare sulla strada RN2 , nota a tutti per la sua estrema pericolosità in molti dei suoi tratti, e definito "green” a rischio praticamente inesistente, dai funzionari Pam.

Ciò ha evitato ai componenti il convoglio di indossare o avere a disposizione il casco ed il giubbotto antiproiettile. Il Pam Congo, poi, ha a disposizione veicoli blindati proprio a Goma: non si capisce perché, a fronte di richieste esplicite da parte di Iacovacci, non siano stati utilizzati. Le autorità del Pam avrebbero rassicurato il carabiniere sostenendo che non ci sarebbe stato bisogno di veicoli armati e che le misure di sicurezza sarebbero state incrementate.

Sarà interessante, a questo punto, valutare come reagirà Rocco Leone e come si comporterà il Pam nel suo complesso. Ha destato infatti molta perplessità l’atteggiamento assunto fin qui dalla organizzazione delle Nazioni Unite di trincerarsi dietro un presunto “silenzio diplomatico” e rifiutarsi di fatto di collaborare con i nostri magistrati.

«Stiamo a vedere se opteranno ancora per la chiusura totale ora che un loro eminente rappresentante, dopo Rwagaza, è indagato - spiega una fonte diretta sentita alla Procura di Roma -. Ci auguriamo che finalmente accettino la competenza del tribunale di Roma e ci permettano di sentirli.  Per la seconda volta iscriviamo un funzionario Pam nel registro degli indagati, a testimonianza del fatto che noi rifiutiamo quell’immunità a cui si appellano. Speriamo che lasceranno liberi i due indagati di svolgere una loro attività difensiva e riconoscere la titolarità della nostra magistratura a procedere nelle indagini.

Negli ultimi mesi sono venute alla luce alcune
emergenze processuali, abbiamo verificato da un lato le responsabilità di quello che svolgeva la funzione di direttore pro tempore del Pam in Congo, dall’altra il fatto che non avrebbe rispettato gli organigrammi né chiamato in causa il dipartimento di sicurezza su questa vicenda ma investendo direttamente Rwagaza, un suo sottoposto, saltando così la catena gerarchica. Ne risponde come direttore pro tempore e organizzatore diretto delle attività».

L’operazione precedente

Nel frattempo, sul fronte delle indagini della magistratura congolese, dopo la notizia degli arresti di sei presunti membri del commando che avrebbe ucciso i nostri due connazionali e l’autista congolese, non sembrano esserci novità.

Sventolata come una svolta epocale, l’operazione di metà gennaio scorso, sembra essersi rivelata poco più che un’ azione di propaganda simile a quella del presidente della Repubblica Democratica del Congo Felix Tshisekedi, che, a maggio, aveva annunciato un importante traguardo a seguito di alcuni arresti di presunti esecutori degli omicidi, poi rilevatisi assolutamente inconsistenti.

« Sugli arresti effettuati a gennaio – riprende la fonte –  l’Italia attraverso la Farnesina ha chiesto di avere accesso agli atti e alle dichiarazioni rese.  Abbiamo inviato ben due rogatorie senza mai ricevere risposta dalle autorità congolesi. Chiediamo di avere copia degli atti delle indagini, i tabulati ma, malgrado rassicurazioni, qui non si è ancora visto nulla»

© Riproduzione riservata