Oggi il collegio dei porporati celebrerà i secondi vespri. Poi inizia la battaglia sul futuro dell’alto prelato sardo. Le congregazioni si fanno via via più intense: «Non sanno come uscirne, è un problema serio», si dice in Vaticano
Celebrate le esequie di papa Francesco e traslate le sue spoglie a Santa Maria Maggiore, il collegio dei cardinali gli rende l’ultimo omaggio nel pomeriggio del 27 aprile, e lo fa liturgicamente. Il giorno e il luogo sono molto significativi.
Davanti alla tomba del pontefice vengono infatti celebrati i secondi vespri della domenica anticamente detta in albis perché il riferimento è alle vesti bianche battesimali deposte una settimana dopo la Pasqua (e i primi vespri sono alla sera del sabato). Questa domenica dal 2002, per volontà di Giovanni Paolo II, è anche denominata della Divina misericordia. Il concetto, radicato nei testi biblici e centrale nella tradizione cristiana, è al centro dell’enciclica Dives in misericordia, una delle quattordici di Wojtyła, e si è diffuso popolarmente grazie alle visioni della giovane religiosa polacca Faustyna Kowalska, che il pontefice suo connazionale ha canonizzato.
Un luogo caro
Santa Maria Maggiore, la basilica sull’Esquilino detta liberiana dal nome di papa Liberio, è invece uno dei pochissimi luoghi della città davvero cari a Bergoglio per la presenza dell’antica icona della madre di Dio, la Salus populi Romani («salvezza del popolo di Roma»). Tanto che qui ha disposto di essere sepolto, come sette suoi predecessori tra il 1227 e il 1669. Ma certo non per questi precedenti, e meno ancora perché è la più bella delle basiliche papali, peraltro alterata da recenti maldestri interventi, per di più modestissimi.
Il motivo della scelta di Bergoglio, espressa nel suo brevissimo testamento, è infatti legato alla sua personale devozione mariana, ricevuta dai salesiani e poi soprattutto dai gesuiti. Qui – nella Betlemme romana, così detta per le reliquie tradizionalmente connesse alla natività di Cristo – il loro fondatore Ignazio di Loyola celebrò nel Natale del 1538 la sua prima messa. E qui papa Francesco si è recato oltre un centinaio di volte, sin dalla mattina successiva alla sua elezione.
Bergoglio è stato onorato da riti esequiali che in sostanza sono quelli radicalmente semplificati da Paolo VI, nonostante la retorica delle prime volte che ha invaso i media. Nuovo è stato però un episodio, sullo sfondo della tragica guerra provocata dall’attacco russo all’Ucraina. A margine della liturgia si sono infatti incontrati – fronte a fronte, su due sedie portate in fretta e furia all’interno di San Pietro – i presidenti statunitense e ucraino.
La forza delle immagini
Era prevedibile e prevista la possibile dimensione diplomatica dei funerali. Ma nemmeno Fellini avrebbe potuto escogitare le straordinarie immagini di Trump e Zelensky che parlavano sullo sfondo della Porta della morte di Giacomo Manzù – uno scenario davvero senza precedenti – e poi quella, sempre nella basilica vaticana, dei due capi di stato in piedi insieme al presidente francese Macron e al primo ministro britannico Starmer, quasi nuovi tetrarchi.
Al termine della liturgia esequiale presieduta dal cardinale decano, il novantunenne Giovanni Battista Re, la bara con le spoglie del pontefice è stata trasportata sulla papamobile scoperta – in una lentissima processione che ha attraversato il centro di Roma – fino a Santa Maria Maggiore. Una prima assoluta? Non proprio.
Guardando alla storia del papato i precedenti non sono pochi, anche se molto diversi. In tempi moderni il più drammatico è senz’altro, nella notte tra il 12 e il 13 luglio 1881, la traslazione notturna del corpo di Pio IX, che era morto tre anni e mezzo prima. L’episodio è storicamente famoso e nel 2007 diviene il prologo e la chiave del godibilissimo romanzo Immortale odium (Rizzoli) di Rino Cammilleri.
«Lungo lo stradale e la piazza di San Pietro fu scritto che ben più di centomila persone attendessero il passaggio del carro», si legge in una cronaca del tempo, lacerato dal contrasto tra papalini e anticlericali. Su ponte Sant’Angelo si levano grida: «A fiume il papa», e – a stento represso dalla forza pubblica, poi accusata di inerzia se non di connivenza dai giornali cattolici – poco ci manca che il tentativo riesca. Finché la processione arriva a San Lorenzo al Verano, nel luogo dove il pontefice viene sepolto come aveva chiesto.
Cortei di macchine, proprio come nel caso di papa Francesco, accompagnano molto più tardi le spoglie di due suoi predecessori morti nella residenza pontificia di Castel Gandolfo: nel 1958, in un ottobre caldo e umido, Pio XII; vent’anni dopo, nel 1978, all’inizio di agosto, Paolo VI. Macabro è quanto avviene dopo il rientro in Vaticano di Pacelli, perché la maldestra imbalsamazione del corpo del pontefice lo danneggia a tal punto che si rende necessario un nuovo intervento sul cadavere così malamente trattato.
Responsabile fu l’archiatra, cioè dal suo medico personale, l’infedele Riccardo Galeazzi Lisi, che tra l’altro vendette ai rotocalchi le foto del papa in agonia. Senza storia, nel pieno delle vacanze, è invece il trasporto di Montini, morto quasi all’improvviso, come voleva.
In attesa di appello
Alle solenni esequie papali ha naturalmente preso parte il cardinale Angelo Becciu, del quale è in discussione il diritto del voto attivo in conclave che gli sarebbe stato negato dal papa, ma in un modo che resta tutto da chiarire. Il caso, del resto prevedibile, è stato rivelato nei dettagli da questo giornale e s’imporrà molto presto nelle riunioni dell’intero collegio cardinalizio. Le congregazioni riprendono infatti lunedì e si faranno sempre più intense man mano che si avvicineranno al conclave, il cui inizio è previsto nei primi giorni di maggio.
Il prelato sardo è stato tra i più stretti collaboratori del pontefice, e ora Becciu è in attesa del giudizio di appello dopo la condanna a cinque anni e mezzo in un controverso e criticatissimo processo intentatogli per peculato dal tribunale del piccolo stato vaticano.
José Beltrán – direttore di Vida Nueva, la più autorevole rivista cattolica spagnola che Bergoglio leggeva ogni settimana – ha scritto che il caso, delicatissimo, è la maggiore preoccupazione del collegio dei cardinali, l’unica autorità a poter decidere e al cui giudizio Becciu si è rimesso. «Non sanno come uscirne, è un problema serio», hanno rivelato a Beltrán fonti vaticane.
Oltre al diritto, i precedenti storici sembrano inclinarsi a favore del cardinale sardo. Le esclusioni dal collegio cardinalizio – grazie a dimissioni forzate o spontanee – sono infatti rare e intricate: in nove secoli, una cinquantina. Difficile invece sembra essere l’esclusione dal conclave, per ragioni soprattutto giuridiche, sostenute dalle leggi che nel tempo hanno regolato le elezioni papali.
Il caso O’Brien
L’episodio più recente, ma certo non paragonabile al caso Becciu, riguarda quello del cardinale scozzese Keith O’Brien, scoppiato proprio pochi giorni dopo la rinuncia di Benedetto XVI, e dunque il conclave dal quale uscì eletto l’arcivescovo di Buenos Aires.
Il prelato, poi morto nel 2018, era allora tra gli elettori e venne accusato di aver commesso in passato atti sessuali «inappropriati» con uomini adulti. Di fronte allo scandalo – e a presumibili forti pressioni vaticane – O’Brien decise di non partecipare al conclave. Poi nel 2015, ammesse le sue responsabilità, rinunciò ai diritti connessi al cardinalato.
Risale invece a quasi tre secoli fa il caso, turbinoso, di Niccolò Coscia. Nel 1724 entra in conclave come aiutante del cardinale Pietro Francesco Orsini. Il suo protettore viene eletto, prende il nome di Benedetto XIII e crea cardinale Coscia, che si arricchisce e spadroneggia senza scrupoli. Caduto in disgrazia subito dopo la morte nel 1730 del pontefice, il prelato prende parte all’elezione del successore, Clemente XII.
Bersaglio di accuse diverse (tra cui quella di frequentare donne «di conversazione»), il cardinale è mandato a processo e nel 1733 condannato a dieci anni di detenzione e alla sospensione, per lo stesso periodo, del diritto di voto attivo e passivo in conclave. Alleggeritagli la pena, nel 1738 il pontefice gli restituisce, con un documento da rendersi pubblico durante la sede vacante, il diritto di voto attivo.
Coscia, che aveva chiesto ai colleghi di poter partecipare all’elezione del papa, entra così nel conclave del 1740 e due anni più tardi viene reintegrato da Benedetto XIV, il papa apprezzato da Voltaire e interpretato da Gino Cervi nel film Il cardinale Lambertini.
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