A partire dall’affermarsi del mezzo televisivo, i dibattiti presidenziali sono sempre stati considerati molto utili da vari soggetti. In primis i candidati poco conosciuti, che possono farsi conoscere dal grande pubblico, come accaduto nel lontano 1992 per Bill Clinton, fino ad allora il governatore dell’Arkansas, uno degli stati più poveri dell’Unione. Ma anche nel 1960, quando ci fu il primo dibattito in assoluto tra Richard Nixon e John Fitzgerald Kennedy. Kennedy piacque di più in televisione, mentre Nixon apparve più preparato alla radio.

Oggi tutto questo sembra cambiato per i due principali candidati alla presidenza. Né Donald Trump né Joe Biden sembrano intenzionati ad affrontare i loro avversari alle primarie. In quest’ultimo caso è abbastanza comprensibile: si tratta del presidente uscente e il suo unico avversario degno di nota è un membro della famiglia Kennedy.

Joe Biden

Si tratta però di Robert Junior, figlio di Bobby, già procuratore generale durante la presidenza del fratello John Fitzgerald e senatore di New York, noto per le sue idee complottiste in tema di vaccini, avvelenamento dell’acqua ma anche sull’omicidio del padre e dello zio, dei quali ritiene responsabile nientemeno che la Cia.

Insomma, non il personaggio ideale a cui dare uno spazio mediatico, anche se i suoi numeri nei sondaggi, intorno al 20 per cento, lo rendono uno sfidante di tutto rispetto.

Secondo alcuni suoi sostenitori, tra cui il fondatore di Twitter Jack Dorsey, Biden rifiuta perché ha paura delle idee «scomode» dell’ultimo Kennedy sceso in politica. Per altri invece semplicemente perché Biden è sempre più fragile in ragione della sua età e quindi meno pronto alla risposta, nonché prono alle gaffe, ma quella è una costante della sua carriera politica che già gli costò cara alle primarie del 1988. Acqua passata, adesso il Comitato nazionale democratico ha già annunciato il suo sostegno. Pertanto i vertici del partito non sono propensi a organizzare dei dibattiti.

Donald Trump

Dal lato repubblicano invece la situazione è un po’ diversa: Trump gode indubbiamente di un ampio vantaggio, superiore ai venti punti, sullo sfidante più vicino che per ora è il governatore della Florida Ron DeSantis.

L’ex presidente ha detto in un’intervista a Bret Baier su Fox News: «Perché dovrei consentire a questi tizi di lanciarmi insulti?». Stavolta il dibattito c’è e sarà il prossimo 23 agosto, ospitato dalla stessa Fox News. La presidente del Partito repubblicano, Ronna McDaniel, ha chiesto a tutti i candidati di sostenere chi vincerà la nomination, chiunque sia. Un metodo per far sì che Trump accettasse. Cosa che invece non è avvenuta.

Trump non ci sarà, anzi, probabilmente organizzerà una controprogrammazione con l’aiuto di uno dei suoi giornalisti preferiti, quel Tucker Carlson licenziato proprio dal network conservatore.

Non è solo “codardia” in questo caso, come afferma uno dei suoi maggiori critici, l’ex governatore del New Jersey, Chris Christie. Secondo la strategia trumpiana sarà proprio Ron DeSantis a essere oggetto della maggior parte degli attacchi dei suoi avversari.

Anche in questo caso, però, ci sono dubbi da parte conservatrice: secondo Joe Concha, uno dei principali volti di Fox News, questa strategia rende entrambi i candidati vecchi, senili e trincerati dietro strutture partitiche pronte ad assecondare il loro volere.

Perché nessun altro può al momento impensierirli e sostituirli ed è troppo rischioso puntare su un volto nuovo che può spezzare due coalizioni elettorali contrapposte perdendo importanti segmenti di sostenitori.

Il “voto militante”

C’è anche un altro segno importante: nell’economia dei due partiti si sta tornando verso un modello di “voto militante” o quasi “militarizzato”, come quello descritto dallo storico Michael McGerr nel suo saggio del 1984 The Decline of Popular Politics dedicato alla militanza politica americana negli ultimi trent’anni dell’Ottocento.

Come allora le due tribù politiche contrapposte leggono giornali diversi e con un preciso orientamento, sono già convinte delle proprie idee e guardano con sospetto a moderati e indipendenti, visti sempre come potenziali traditori della causa.

Una similitudine che si vede anche nella partecipazione ai processi elettorali: per trovare una percentuale più alta di partecipazione rispetto alle elezioni presidenziali del 2020, che hanno toccato quota 66,6 per cento dei votanti, bisogna andare a quelle del 1900 dove il repubblicano William McKinley battè facilmente il dem William Jennings Bryan. Allora a recarsi alle urne fu il 73,5 per cento degli americani.

Un ritorno di fiamma per un modello elettorale che si pensava perduto e relegato ai libri di storia. C’è però una differenza rispetto ad allora: a contare più di tutto è la personalità del leader che più di ogni altro elemento politico sintetizza il credo ideologico dei maggiori partiti.

Troppo anziani?

Per questa precisa ragione i due senescenti inquilini della Casa Bianca si avviano a un nuovo scontro alle presidenziali del 2024, nonostante l’età ormai avanzatissima, se si pensa che alle primarie repubblicane del 2012 il deputato del Texas Ron Paul, allora settantasettenne, si è dovuto difendere dall’accusa di essere troppo anziano per i doveri della presidenza.

Trump l’anno prossimo avrà 78 anni mentre Biden il giorno del voto ne avrà quasi 82, un record assoluto. E per arrivare a quell’appuntamento, probabilmente, non ci sarà alcun dibattito.

Anche perché, con un clima politico così militante, ormai sono pochi i consensi che si spostano. Basti pensare alla netta vittoria dello sfidante repubblicano Mitt Romney contro Barack Obama nel primo dibattito delle presidenziali 2012, poi vinte facilmente dal presidente uscente.

Perché perdere tempo prezioso per la preparazione su questioni difficili e di scarso interesse per l’elettorato generale quando si può impiegare più proficuamente nel motivare la base? Questa la principale ragione per cui, forse, nemmeno nel 2024, avremo un match verbale tra i due sfidanti alla presidenza. Non solo per le loro difficoltà verbali (anche Trump nelle ultime apparizioni ha mostrato di uscire facilmente dal seminato), ma anche perché la maggior parte degli elettori ormai si serve di altri strumenti per decidere.

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